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Questa volta parliamo davvero di Rik Van Steenbergen, il signore delle volate, il più grande velocista di tutti i tempi. Persino la Rizzoli-Larousse, che di sport si occupa pochissimo, lo dice «famoso per le sue vittorie in volata». Il fatto è che era imbattibile. Mi ricordo che negli anni '50 quando al Giro o al Tour si preannunciava un arrivo in volata mio padre, che dirigeva II Corriere Lombardo, quotidiano del pomeriggio, ordinava ai tipografi di comporre già sul bancone il nome di Van Steenbergen per guadagnare preziosi secondi sui rivali della Notte. In linea vinse tutto: Parigi-Roubaix, San remo, Fiandre, Freccia Vallone, Parigi-Bruxelles e tre Campionati del mondo, impresa riuscita solo a Binda. Il primo lo conquistò ne11949, a 25 anni, sul piatto circuito di Copenaghen, davanti a Kubler e a Coppi. A Copenaghen si ripete nel '56. Ma il Campionato del mondo più esaltante fu quello che vinse nel '57 a Waregem, in Belgio, il primo trasmesso per tivù. Fino a dieci chilometri dal traguardo la corsa era stata monotona perché gli organizzatori belgi, per favorire i propri velocisti, Van Steenbergen e Van Looy, avevano scelto un circuito liscio come un biliardo. Improvvisamente lo speaker belga che stava sul traguardo e parlava attraverso un rudimentale megafono annunciò che erano fuggiti in sei: tre francesi e tre belgi. Un' immensa folla assiepata sul rettilineo d'arrivo ascoltava col fiato sospeso, in silenzio, le parole dello speaker: «i francesi sono: Louison Bobet, Jacques Anquetil e Dede Darrigade; i belgi Fred De Bruyne, Rik Van Looy e...». Qui lo speaker fece una pausa sapiente, che parve lunghissima, quindi aggiunse «... e Rik Van Steenbergen». Dalla folla si levò un grand'urlo: se c'era Van Steenbergen la partita, per i belgi, era vinta. A ottocento metri dal traguardo si affrontava uno stretto ponte dalle alte spalliere in pietra. Sullo schermo i corridori sparirono alla vista (c'erano solo telecamere fisse, allora). Ma a un tratto la spalliera fu sormontata da una gobba enorme. Era Van Steenbergen (un omone alto un metro e ottantotto per novanta chili) che si inarcava per lanciare il lunghissimo sprint. Van Looy avrebbe dovuto proteggere il suo capitano. Ma era giovane, ambizioso e talentoso, coprì quindi il «buco» e, trascinandosi dietro gli altri, si mise alla ruota di Van Steenbergen con l'intenzione di uccellarlo negli ultimi metri. E infatti in vista del traguardo si spostò di scatto sulla destra. E qui si assistette a una scena ridicola e penosa: uscito dalla potente scia di Van Steenbergen, Van Looy, invece di avanzare e rimontarlo, fu come risucchiato indietro e scomparve. Van Steenbergen fu primo, Bobet secondo, terzo Darrigade, il più grande sprinter che la Francia abbia avuto. A proposito della rivalità fra i due Rik, Van Steenbergen e Van Looy, si è detto e scritto che il secondo è stato più completo perché era valido anche nelle corse a tappe mentre il primo era solo un velocista. E certamente la struttura di Van Steenbergen non era tale da predisporlo per le corse a tappe che generalmente si vincono -Pantani docet -in salita. Nelle frazioni alpine o pirenaiche Van Steenbergen preferiva quindi vivacchiare in mezzo alla corsa, «scortato dal fido Soorgelos», e risparmiarsi per quelle di pianura. Ma era una sua scelta. Una volta che, nel Giro del '51, decise di correre anche per la classifica arrivò secondo a 1'46” da Lagni, mettendosi alle spalle gente come Kubler, terzo, e Coppi, quarto. fu grande anche in pista dove è stato il solo stradista al mondo a battere Coppi ad inseguimento (poi «il Campionissimo» si rifece nella rivincita e nella bella) e lo specialista, e recordman dell'ora, Roger Rivière. Sul finire della carriera, ormai quasi quarantenne, Van Steenbergen incontrò sulla sua strada un formidabile rivale, lo spagnolo Miguel Poblet che, a differenza sua, aveva uno sprint brevissimo, d'una cinquantina di metri, ma fulminante. Il loro scontro al Giro d'ltalia del '57 fu epico, insieme vinsero nove tappe su ventidue. Alla ventesima tappa Poblet era in vantaggio per quattro vittorie a tre. lo soffrivo terribilmente. In altri tempi il grande Rik avrebbe polverizzato quel presuntuoso microbo spagnolo, ma adesso lo vedevo anch'io che era invecchiato, che non era più invincibile. La ventunesima tappa andò a Rik: 4 a 4. Lo scontro decisivo, una specie di sfida all'O.K. Corral fra il vecchio re in declino e il giovane rampante che aspirava alla sua corona avvenne alla ventiduesima e ultima tappa che si concludeva sulla pista magica del Vigorelli. In testa  entrò Soorgelos, alla sua ruota c'era Rik: ricordo come fosse oggi la scritta CORA che si stagliava sul suo ampio petto, ricavata in caratteri bianchi sulla maglia nera, tenebrosa come colui che la indossava. Terzo, in agguato, Poblet. Van Steenbergen cambiò e partì alla campana dell'ultimo giro con Poblet alla ruota. Soorgelos e il gruppo furono inghiottiti dalla nebbia della telecamera che non riusciva più a tenerli a fuoco. Ai 50 metri, al solito, Poblet schizzò fuori come un proiettile, affiancandosi. Ma Van Steenbergen tirò fuori dai lombi stanchi il suo formidabile colpo di reni ( era un uomo dalla forza impressionante, una volta, in una volata, aveva staccato il manubrio ed era finito per le terre) e passò il traguardo con mezza ruota di vantaggio. Fu il suo ultimo, grande, trionfo. Il tramonto di Rik Van Steenbergen fu melanconico. Divenne il boss di Sei Giorni truccate e si diede alla droga. Finì anche in carcere. Oggi è da tutti dimenticato. Non da me.