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Ho sempre avuto stima di Silvio Garattini. E la conservo nonostante il fondatore dell’Istituto Mario Negri, cogliendo al balzo l’occasione di Vinitaly, si sia espresso decisamente contro il vino in quanto ritenuto causa di tumori (Fatto, 10.4). Del resto il professore non è solo in questa battaglia, in questo senso si erano già espressi gli americani che peraltro per galvanizzare le proprie truppe nelle tante guerre assassine che hanno inanellato nell’ultimo quarto di secolo non utilizzavano il vino ma la droga propriamente detta (i tedeschi invece, i nazisti, facevano ascoltare ai soldati della Wehrmacht Beethoven) gli irlandesi e perfino il governo della Nuova Zelanda imponendo che sulle bottiglie di vino sia scritto “questo prodotto è dannoso alla salute” (bella fine per gli affascinanti Maori). Questa d’altronde è la linea dell’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, un’organizzazione Onu screditata come tutte le organizzazioni Onu e l’Onu stessa insieme al diritto internazionale la cui esistenza si è scoperta solo dopo l’aggressione di Putin all’Ucraina.

Ma, dico, non viene in mente al professor Garattini che forse una delle maggiori cause dei tumori è ciò che mangiamo, vale a dire carne di animali stabulati, 24 ore su 24 sotto potenti riflettori per farli crescere più rapidamente e che sviluppano malattie tipicamente umane, obesità, diabete, depressione, nevrosi e appunto tumori?

Ma, dico, non viene in mente al professore che una delle maggiori cause di tumori sia per caso l’aria mefitica che respiriamo, un concentrato di co2 tre volte maggiore di quant’era al tempo dei “secoli bui”, cioè nel Medioevo?

Non è il vino a essere sbagliato, è il modello di sviluppo che abbiamo imboccato a partire dalla Rivoluzione industriale preda del compulsivo meccanismo produzione-consumo-produzione. Anzi la pura follia vuole che noi non si produca più per consumare ma si consumi per poter produrre. Inoltre nevrosi e depressione fra cui l’uomo contemporaneo bascula perennemente, sono malattie della Modernità e probabilmente il vino e i super alcolici sono un modo per allentare questa pressione.  Inoltre un’altra causa del malessere delle popolazioni occidentali, ma ormai non solo occidentali, è la stratosferica sproporzione fra la ricchezza dei pochi e la povertà di tutti gli altri compresa la classe media che sta scomparendo. La causa è il capitalismo che, come se ciò non bastasse, è diventato iper-capitalismo secondo la logica del Presidente dell’Argentina Javier Milei per cui “il socialismo è un cancro che impoverisce”, tesi sposata da quella madonnina infilzata di Giorgia Meloni tutta “Dio, Patria, Famiglia”. Proudhon diceva che la proprietà è un furto, no è la ricchezza di per se stessa che è un furto.

Ma veniamo a cose meno teoriche e più pratiche. Andate a dire a un friulano, soprattutto se abita sui monti della Carnia, ma anche se non abita su quei monti, che non deve farsi un grappino la mattina prima di andare a lavorare. L’alcool, ma in questo caso soprattutto il super alcool, è un modo per proteggersi dal freddo. I cani San Bernardo, quelli che salvano gli alpinisti finiti nei guai, portano al collo una botticella con la grappa. Del resto, uscendo dall’area del freddo e anche del caldo (io quando c’è troppo caldo mi faccio un gin scaldando così la temperatura del corpo e rendendo meno percepibile quella che c’è fuori, tesi avvalorata da due mie amiche medichesse, una specializzata in chirurgia del seno l’altra in radiologia nucleare) quando una persona sviene in casa o in luogo pubblico non si dice subito, o per lo meno si diceva, “dategli un cordiale”? E da che cosa era composto questo ‘cordiale’? Da purissima acqua di fonte?

In Russia, Paese freddo per eccellenza, anche se può avere estati molto calde, c’è quel freddo che consentì ai russi di sconfiggere Napoleone e anche la ben più temibile armata tedesca. Si è tentato più volte di sconfiggere il mitico e famigerato alcolismo russo (vodka essenzialmente, Moskovskaya naturalmente, state attenti perché oggi vengono smerciate delle vodke di produzione yankee, Absolut, o con bottiglie in caratteri cirillici, che è come bere acqua fresca. Lo dico per incidence: la vodka va servita, fredda naturalmente, ma senza ghiaccio e i bicchierini, che devono essere alti sei centimetri, non un millimetro in più ma neanche di meno, non devono avere il manico). A cercare se non di sconfiggere ma di tamponare il mitico alcolismo russo ci pensò per primo Lev Trotskii ma benché il grande comandante dell’Esercito sovietico (“I dieci giorni che sconvolsero il mondo” sono opera sua, Lenin se ne stava prudentemente nascosto, sotto una parrucca bionda, alla stazione di Finlandia) usasse metodi molto persuasivi (la soppressione nel sangue dei marinai anarchici di Kronstadt) non ne cavò un ragno dal buco. Mentre il Mullah Omar, con metodi altrettanto persuasivi, riuscì per alcuni anni a bloccare la produzione di oppio che fu una delle cause dell’aggressione all’Afghanistan perché i mercanti di stupefacenti erano legati a insospettabili classi dirigenti di altrettanto insospettabili Paesi, americani in testa. Ci riprovò più o meno un secolo dopo l’imbelle Gorbaciov che aveva fatto della Russia lo zerbino degli Stati Uniti (“distruggi un Impero e andrai a Sanremo”). E fu una tragicomica. Gorbaciov aveva stabilito che nei ristoranti prima delle due del pomeriggio non fosse servita vodka. Risultato: prima delle due nei ristoranti non c’era nessuno. Aveva poi stabilito che nei grandi magazzini la vodka potesse essere venduta solo in orari limitati, dalle due alle quattro, mi pare. Ero a Mosca in quel periodo e si vedevano file interminabili di persone, uomini, che si attorcigliavano per chilometri attorno agli orrendi grattacieli di Mosca, di stile fascista ma corretto in peggio dal cattivo gusto sovietico (la vera Mosca non la trovate più a Mosca, ma nei quadri esposti alla Tetriakov, con quei graziosi cortili di aceri e di pioppi). Bene. Chi riusciva ad entrare in questi grandi store e soprattutto a uscirne, con le tre bottiglie di vodka consentite, le spartiva immediatamente con i compagni in attesa e tutti andavano a sbronzarsi nel primo giardinetto disponibile.

L’alcool serve a vincere la timidezza maschile nei confronti delle ragazze. Quante occasioni mancate per non avere avuto il coraggio di avvicinare una ragazza (Le passanti, De André).

Ma tutto questo attacco ai vizi fa parte di una questione più generale e più grande: la tutela a tutti i costi della salute. E’ quello che ho chiamato il “terrorismo diagnostico”. Tu fin da giovane dovresti fare almeno sei controlli clinici l’anno, dovresti vivere da malato anche se sei sano, dovresti vivere da vecchio (categoria da sterminare al più presto) quando sei ancora giovane. Cioè per evitare l’inevitabile dovresti rinunciare a vivere. E’ talmente chiaro: è vivere che ci fa morire.

Inoltre sono precauzioni inutili. Perché tutto, o quasi, dipende dal nostro Dna. Che responsabilità ha un neonato se è nato paraplegico? Ce l’hanno probabilmente i suoi genitori anche se hanno fatto una vita castissima in tutti i sensi. E’ che il Fato, il vero padrone delle nostre vite insieme a Krónos, il Tempo, ha deciso così. Verè chi!

 

16 aprile 2025, il Fatto Quotidiano

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Dopo le mie prese di posizione sulla guerra e sulla necessità del riarmo della Germania mi sono arrivate, come era prevedibile, molte email di dissenso. Lettere pacate però, direi pacifiste prive di quegli insulti che ho ricevuto in altre occasioni quando ho espresso opinioni lontane dalla linea del Fatto che non sempre condivido anche se una cosa fondante mi lega a Marco Travaglio, “che Allah l’abbia sempre in gloria” e alla comunità del Fatto: la difesa ad oltranza della legalità e di quella sua espressione più sottile che è l’onestà intellettuale, valori spazzati via, anche fra la cosiddetta gente comune, dai decenni berlusconiani (vedendo che quello e i suoi accoliti violavano l’intero Codice penale il cittadino normale si è chiesto: ma devo essere solo io il più cretino del bigoncio?).

Perché le proteste contro i miei pezzi sono state civili e, oserei dire, caute? Perché chiunque si rende conto che una questione, eccezionale, di importanza storica come quella della guerra e della pace non può essere risolta con un secco, sì sì, no no e infatti Lev Tolstoj, un pacifista convinto, dà come titolo al suo memorabile libro non ‘guerra o pace’ ma Guerra e pace.

Tutte le guerre sono ingiuste e tutte le paci sono giuste? Non è così. Giuste sono sicuramente le guerre di indipendenza. Senza la nostra guerra di indipendenza non si sarebbe fatta l’Unità d’Italia assolutamente necessaria perché molti altri Stati europei l’unità l’avevano raggiunta. Giuseppe Mazzini, uomo di pensiero, che a quell’indipendenza diede corpo, era anche un terrorista. Giuseppe Garibaldi non era certamente un uomo di pace visto che combatté in Italia e in Sudamerica e l’inno che Goffredo Mameli compose nel 1847 e che è attualmente il nostro inno nazionale, non è certo pacifista quando declama “stringiamci a coorte, siam pronti alla morte”. E’ un inno di guerra sia pure difensiva che è perfettamente allineato con l’articolo 11 della Costituzione. Quella guerra di indipendenza mise anche fine al vergognoso “Franza o Spagna purché se magna” un detto, oserei dire, romanesco (pensando agli italiani imbelli di oggi quel “siam pronti alla morte” fa sorridere amaro, oggi gli italiani nella loro maggioranza - ci sono per fortuna eccezioni - non solo non sono “pronti alla morte” ma non sono nemmeno disposti a rischiar nulla tanto che in tante, troppe, occasioni, abbiamo visto ragazze violentate nel pieno centro di una città senza che nessuno pensasse che era suo dovere intervenire).

Senza la guerra di indipendenza talebana l’Afghanistan sarebbe ancora sotto il giogo degli occupanti occidentali, americani in testa.

Senza la guerrilla del Che e Castro Cuba sarebbe ancora governata da Batista che aveva fatto dell’isola caraibica un resort per i giocatori d’azzardo e per coloro che erano dediti allo stupro sistematico delle ragazze. Cuba oggi non è più una dépendance americana, certo è comunista e molto vicina alla Russia ma per lo meno, secondo i dettami del socialismo, l’istruzione e la sanità sono gratuite. E qualcuno ricorderà, forse, che medici cubani vennero in nostro aiuto all’epoca del Covid.

Comunque, per tornare al presente, i pericoli di guerra non vengono certo dalla Germania e dall’Europa in generale, non vengono nemmeno dai cinesi che più intelligentemente si limitano a conquiste economiche, vengono dagli Stati Uniti, da Israele e, in prospettiva, dall’Isis.

Nell’ultimo quarto di secolo gli americani hanno inanellato una serie di guerre d’aggressione, disastrose, che sono venute regolarmente in culo all’Europa. Tutte guerre a parte l’eccezione di cui dirò, contro la volontà dell’Onu. Si è cominciato con l’aggressione alla Serbia, 1999, circa seimila morti fra cui anche quegli albanesi che si pretendeva di difendere, si è continuato con l’invasione dell’Afghanistan del 2001 (400 mila morti, calcolo in difetto) che ebbe all’inizio il consenso dell’Onu ma che fu però ritirato quando ci si dovette rendere conto che i Talebani non avevano avuto nessun ruolo nell’attacco alle Torri Gemelle. Peraltro l’11 Settembre fu un ottimo pretesto, se così si può dire, per la successiva aggressione all’Iraq che secondo il Wall Street Journal e il Washington Post era in preparazione da tempo. Bisogna ammettere che la stampa americana è più libera della nostra, tutta allineata sul filo-atlantismo. Si è proseguito nel 2003 con l’aggressione appunto all’Iraq, basata su presupposti rivelatisi falsi (dai 650 ai 750 mila morti) poi con quella alla Somalia del 2008 per interposta Etiopia. Infine con la più disastrosa e disgustosa di tutte: l’aggressione alla Libia del colonnello Mu’ammar Gheddafi che non minacciava nessuno, aveva anzi allacciato ottimi rapporti con l’Italia di Berlusconi e la Francia di Sarkozy. Sono stato in Libia all’epoca in cui governava Gheddafi per visitare gli straordinari resti romani, era un Paese tranquillo. Gheddafi si limitava a favorire i componenti della sua tribù, i Warfalla, come fa qualsiasi capataz di un Paese democratico. Le prigioni libiche non erano zeppe di detenuti politici. Oggi la Libia è un groviglio di milizie che si combattono l’un l’altra e dove domina l’Isis. Per salpare dalle coste libiche i ‘mercanti di morte’ devono pagare una taglia agli uomini dello Stato Islamico e non mi meraviglierei affatto se Isis che ha conquistato il potere in Siria con le milizie guidate da al-Jolani, un ex terrorista, riprendesse gli attacchi mirati in Europa come fece nel 2015/2016. Spero di sbagliare. Del resto Isis, sia pur per ora parzialmente dormiente, è presente nei Balcani, cioè a due passi da noi, proprio grazie alla guerra che gli americani fecero alla Serbia ortodossa e socialista favorendo la componente islamica dei Balcani nel 1999. Isis è esattamente lo specchio rovesciato dell’Occidente. Come l’Occidente vuole imporre i suoi valori all’universo mondo così vuol fare l’Isis che ha una grande capacità di attrazione e di fascinazione. Furono molti gli europei, uomini e donne, che a suo tempo accorsero nello Stato Islamico di al-Baghdadi (vedi Sottomissione di Houellebecq).

Scrive Goffredo Buccini sul Corriere (7.4), interpretando un pensiero comune, che con l’aggressione della Russia all’Ucraina si è scardinata la distinzione fra “aggressore e aggredito” e violata la Carta dell’Onu che stabilisce “principi come l’integrità territoriale, la sovranità, la non ingerenza negli affari interni altrui”. Ma questa sottile distinzione fra aggressore e aggredito noi non l’abbiamo fatta né in Serbia né in Afghanistan (una guerra puramente ideologica) né in Iraq né il Libia quando eravamo noi gli aggressori. Quindi a demolire l’Onu, che oggi non conta più nulla e i principi del diritto internazionale che non esiste più, siamo stati innanzitutto noi occidentali.

Infine c’è Israele. Con la disinvoltura con cui sta uccidendo, massacrando, decine di migliaia di palestinesi, costringendo quelli che sono rimasti vivi alla fame, alle notti all’addiaccio e alla quasi impossibilità di curarsi, c’è poco da sperare. Tra l’altro Israele vìola più di altri Stati quel poco che resta del diritto internazionale, spara sulla Croce Rossa, sulla Mezzaluna Rossa, sulle Ong anche le più accreditate come Medici Senza Frontiere, sui giornalisti. Secondo uno studio della Brown University “la guerra a Gaza in 18 mesi ha ucciso più giornalisti della Guerra Civile statunitense, della Prima e della Seconda guerra mondiale, della Guerra di Corea, della Guerra del Vietnam, delle guerre in Jugoslavia e della guerra in Afghanistan messe insieme”. Israele ha l’Atomica. E noi dovremmo temere la Germania…

 

13 aprile 2025, il Fatto Quotidiano

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La via l’aveva indicata Angela Merkel nel 2017 quando in un coraggioso discorso nell’ambito del G7 affermò: “Gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo imparare a difenderci da soli” cioè a riarmarci ma prima, e oltre che riarmarci, dovremmo smetterla di disarmarci. A favore dell’Ucraina. La capacità di guerra dell’Ucraina secondo il Global Firepower Index è superiore a quella della Germania, rimpinzata delle armi più sofisticate molte delle quali provenienti proprio dagli arsenali tedeschi. L’Ucraina quindi invece di essere l’avamposto dei valori democratici dell’Occidente (così dice la narrativa ufficiale, ma l’Ucraina è in realtà un sistema totalitario dove comanda un unico partito, quello di Zelensky, e i media che possono esprimersi sono solo quelli che piacciono a Zelensky) potrebbe rivelarsi, mutata la situazione geopolitica (e con Trump cambia in continuazione) un pericolo per i Paesi dell’Unione europea. I soldati ucraini hanno poi esperienze di guerra da quando nel 2014 aggredirono il Donbass e poi nel 2022 furono costretti a difendersi dall’aggressione russa. I soldati europei non hanno di queste esperienze tranne forse i francesi quando furono gli artefici dello smantellamento, pro domo sua e contro l’Italia, del regime del colonnello Mu’ammar Gheddafi, un’operazione sciagurata come dimostra la situazione attuale della Libia, dove nel groviglio di milizie che si combattono l’un l’altra emerge l’Isis. I cosiddetti “mercanti di morte” per lasciare le coste libiche devono pagare una tangente allo Stato Islamico che vinto a al-Raqqa e Mossul nel 2019 si è espanso poi in mezzo mondo, oltre che in Libia spadroneggia oggi in Somalia, dove gli al-Shabaab gli hanno giurato fedeltà, in Kenya, in Pakistan, in Bangladesh e poi in molti altri Paesi dell’Africa nera. Isis è anche presente in Afghanistan nonostante i Talebani siano stati gli unici a combatterlo seriamente, ma stretti fra la necessità di fronteggiare gli occupanti occidentali e gli stessi Isis, hanno dovuto cedere un po’ di terreno. Nella sciagurata invasione dell’Afghanistan del 2001, oltre agli americani, c’erano forze francesi, tedesche e anche italiane. Gli italiani, secondo il loro costume di passare al momento opportuno dalla parte del vincitore (Prima guerra mondiale, Seconda guerra mondiale dopo il tracollo del regime nazista) fecero subito degli accordi con i comandanti talebani.

C’è da aggiungere che nessuna esercitazione può sopperire all’esperienza sul campo. Quando il soldato sa di poter morire in battaglia la sua forza insieme al suo coraggio si moltiplicano.

E allora cosa possiamo fare per rafforzare un’Europa attualmente imbelle e in balia, anche se in modo diverso, delle grandi Potenze, Stati Uniti, Russia, Cina? Innanzitutto e forse soprattutto bisogna che si riarmi la Germania. La Germania è oggi un Paese democratico che ha pagato tutti i suoi debiti con la storia. Ed è oggi incomprensibile che alla Germania sia proibito di essere una potenza nucleare secondo il Trattato di non proliferazione nucleare del 1968. La Bomba ce l’hanno oggi, oltre che le grandi Potenze, Stati Uniti, Russia e Cina, anche il Pakistan, la Corea del Nord e Israele che nega di averla ma ci tiene a far sapere che ce l’ha. Ce l’ha anche la Francia ma sulle capacità militari dei francesi c’è sempre da dubitare, sono bravissimi a sedersi al tavolo dei vincitori anche quando una guerra l’hanno persa, come è stato nell’ultimo conflitto mondiale tanto che oggi siedono, insieme a Stati Uniti, Russia e Gran Bretagna, i veri vincitori della Seconda guerra mondiale, nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Quindi, innanzitutto, riarmare la Germania con Atomica compresa. Si obietta che c’è l’accordo del 1968. Ma gli accordi valgono, secondo il diritto internazionale, rebus sic stantibus e siccome le cose cambiano in continuazione si può dire che gli accordi sono fatti solo per essere violati. In ogni caso da quegli accordi di “non proliferazione” è passato più di mezzo secolo e molta acqua sotto i ponti. Quindi Deutschland über alles, quindi viva la Germania che potrà portare in campo oltre alle armi che adesso non ha la rigida disciplina tedesca (vedi l’estraniante racconto di Christian De La Mazière raccolto nel libro Il sognatore con l’elmetto, un francese che si arruolò nelle Waffen SS e, nonostante la guerra perduta – i russi erano già davanti a Berlino – i tedeschi si sottoponevano a esercitazioni di tutti i tipi, pratiche e teoriche, nonostante l’obiettivo fosse diventato impossibile).

Sì quindi al riarmo urgente dell’Europa. Del resto gli antichi Romani che non erano gli ultimi della pista in queste questioni dicevano: Si vis pacem, para bellum. Un orientamento che Mussolini tentò di imitare anche se gli italiani che aveva a disposizione per le sue ambizioni non avevano la tempra degli antichi Romani. Aggiungo anche che il Duce fu il migliore alleato degli Alleati: aprì il fronte greco, “spezzeremo le reni alla Grecia” e dovette intervenire la Wehrmacht, aprì il fronte africano a cui Hitler non pensava e le forze nazifasciste furono sbaragliate ad Al Alamein dove gli italiani, per una volta, si batterono valorosamente come riconobbe il feldmaresciallo Rommel, la “volpe del deserto”.

Quindi in definitiva, e per concludere, e con buona pace, è il caso di dirlo, dei lettori del Fatto, viva la guerra, abbasso la pace.

 

8 aprile 2025, il Fatto Quotidiano