La drammatica storia di Ana Sergia Alcivar Chenche, 46 anni, morta per un intervento di liposuzione ha riproposto il tema tutto attuale della superiorità dell’apparire sull’essere. Non mi permetto di giudicare questa donna perché si può inventare di tutto, anche che “vecchio è bello”, ma non “grasso è bello”.
La bellezza alla quale quella donna tanto aspirava fino a rischiare e poi perderci la vita non va confusa con la grazia.
La bellezza è un fatto statico, la grazia dinamico e non può essere comprata ai supermarket del beauty. La grazia è un coincidere del nostro essere con il nostro apparire. Nella grazie c’è qualcosa di primigenio, di infantile, di candido, di casto, di spontaneo, di non lezioso, di non manierato, di non artefatto e, insieme, di malizioso. La grazie si esprime in uno sguardo, in un sorriso, in un gesto, in un movimento e talora anche in un’imperfezione birichina che anima il viso. Proprio per questi motivi la grazia non ha nulla a che fare con la perfezione. Quando frequentavo Catherine Spaak che aveva allora trentotto anni e non era più la ‘ninfetta’ di un tempo (La voglia matta, Il sorpasso) lei voleva farsi aggiustare i due dentini accavallati. E io le dicevo: “Tu sei matta Cat, noi ti abbiamo amato proprio per quello”.
Le donne di oggi sono sicuramente più belle, più curate, più levigate, più perfettine di quelle di un tempo, ma raramente hanno grazia. Sono troppo catafratte nei canoni standard della bellezza, troppo rigide. Col lifting si può essere belle ma è impossibile avere grazia. Del resto basta pensare che il prototipo attuale della bellezza femminile è la modella: gambe lunghissime, vita sottile, fianchi ad anfora, seno canonico. I guai arrivano col viso: nessun musetto spiritoso, nessun nasetto impertinente, sguardi senz’anima, sorrisi stereotipati e quelle labbra tumefatte, atroci, tutte uguali. “Sotto il vestito niente” come recitava un fortunato best seller di qualche anno fa.
Nessuna grazia hanno pressoché tutte le donne dello show business televisivo, in loro c’è sempre qualcosa di falso, di costruito, di artefatto, di plastificato, di inverosimile, una forzatura, un’esagerazione, un’enfasi che disturba e infastidisce. Perché una cosa è certa: la grazia non ha niente a che fare con la volgarità, ne è esattamente l’opposto.
Peraltro la grazia è stata sempre rara anche fra le bellissime. La giovane Brigitte Bardot aveva grazia, Marylin Monroe no, era anzi decisamente sgraziata, con quegli sfregi di rossetto, quei tacchi a spillo, quelle tette, quella capigliatura, quell’aria da donna umiliata dalla vita. Ciò che la rendeva sopportabile se non addirittura affascinante era anche qui un difetto: aveva un problema all’anca per cui camminava in modo sbilenco, deliziosamente sbilenco (si diceva infatti, allora, “camminata alla Marylin”).
Ava Gardner, una delle donne più belle di tutti i tempi (mi ricordo una copertina mozzafiato su Tempo illustrato diretto da Arturo Tofanelli) era troppo statuaria per avere grazia. Rita Hayworth troppo aggressiva, Jessica Lange, nei suoi bei dì, troppo sensuale. Julia Roberts è legnosa nei movimenti, può essere inquadrata solo di viso. Nicole Kidman è, a volte, una discreta attrice (Babygirl) ma, a conti fatti, resta pur sempre una bella pupattola americana.
Il fatto è che la grazia non si concilia con la vamp. Va ricercata in ambiti più discreti. Grazia, un’indimenticabile grazia, ha Bibi Anderson quando offre il cesto di fragole all’immalinconito Cavaliere nel Settimo Sigillo di Bergman. Ma altre bellissime del regista svedese, come Ingrid Thulin e Liv Ulmann, sono troppo intense, troppo drammatiche, per avere grazia, che ha a che fare con la leggerezza. Audrey Hepburn aveva il manierismo della grazia, non la grazia, che non va confusa né con l’eleganza né con la classe in cui c’è inevitabilmente qualcosa di ricercato e di voluto. La grazia non è mentale è naturale.
Grazia ha avuto Stefania Sandrelli – donna che ragiona, benissimo, con i cinque sensi, che non ha la razionalità tipica, in genere, del maschile – fino a che non si è imbattuta nei film di Tinto Brass ed è diventata una culona come tante.
Grazia hanno certi monelli dall’aria ribalda (Gavroche). Una grazia canagliesca era del giovane Alain Delon. Grazia e garbo e simpatia aveva, da ragazzo e da vecchio, l’inimitabile Walter Chiari. La grazia di un angelo caduto aveva il divino Laurent Terzieff (Kapò, Peccatori in blue jeans, Il deserto dei Tartari) una sua foto in piedi, a torso nudo, glabro, con l’acqua del mare che gli arriva alle ginocchia dei jeans, mentre porta a cavalcioni, sul collo, come una bimba, una Brigitte Bardot solare, anch’essa in jeans e t-shirt bianca, è l’emblema della grazia, della giovinezza, della bellezza degli anni Sessanta e della loro innocente malizia. Grazia ha, forse, Brad Pitt. Ma la sola donna dei nostri giorni (ahimè non proprio dei nostri giorni) sulla cui grazia mi sentirei di giurare è Pilar Labella (nomen omen) la ventenne, incantevole figlia dell’allora ambasciatore spagnolo in Italia.
E’ difficile trovare grazia anche nelle eroine della letteratura e in pittura, dove pur si può lavorare di fantasia. Nessuna grazia ha la Lucia del Manzoni, incatramata nella sua intollerabile castità. Anna Karenina è troppo signora, ed è troppo tormentata, per avere grazia. Emma Bovary troppo melodrammatica. Non ha grazia Odette de Crecy, eccessivamente concreta. Una sua misteriosa grazia ha invece Rachel o del Signore, la prostituta ed è lo stesso tipo di grazia, legata alla sventatezza, della Bocca di rosa di De André. Una grazia astata ha l’adolescente di Cardarelli (“Non sanno le tue mani bianche il sudore umiliante dei contatti”).
Grazia ha la Venere del Tiziano (ed è proprio quel movimento, pudico e malizioso, del braccio e della mano a coprire il pube a donargliela). Una grazia antica ha La muta di Raffaello, anche perché si ha la garanzia che starà zitta. Grazia suprema, eterna, e quindi modernissima, ha l’eterea e sensuale Venere del Botticelli che, nel genere, è l’Assoluto. Pur appartenendo, di norma, alla scabra e riottosa adolescenza o alla prima giovinezza, la grazia si può trovare anche in certe vecchiezze estreme che l’età ha prosciugato e reso essenziali. Perché, in definitiva, la grazia è fatta della qualità più difficile da ottenere in ogni campo: la semplicità. Che è proprio quanto il mondo contemporaneo ha perduto.
18 giugno 2025, il Fatto Quotidiano