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In un mondo in cui tutto ciò che è reale appare irreale e tutto ciò che è irreale appare reale e dove si organizzano a Bologna dei simil Sanremo dove non ci sono autori, non ci sono cantanti, non ci sono musiche ma pur non essendoci ci sono, geniale parodia della nostra società, voglio qui ricordare un uomo vero, non solo nel senso che è realmente esistito, ma che ha vissuto degnamente da uomo e che è morto pochi giorni fa nel dimenticatoio generale come è accaduto per Sergio Endrigo, triestino anche lui, accusato di essere troppo “crepuscolare” (sarà stato anche “crepuscolare” ma Aria di neve è una delle più belle canzoni da quando la musica italiana, supportata da quella americana, dei Platters, dei Paul Anka, dei Champs, dei Little Richard, ma da noi anche da Tony Dallara, il terzinato, il singhiozzo, l’urlo, si lasciò alle spalle le lagne delle Nille Pizzi e dei Claudi Villa).

Nino Benvenuti nasce a Isola d’Istria. Del triestino conserverà sempre, come Sergio Endrigo, la riservatezza, non farà mai il personaggio.

Dopo vari incontri minori e più o meno dilettantistici diventa famoso alle indimenticabili Olimpiadi di Roma (le ultime veramente umane, Berruti che vince i 200 piani contro gli sprinter americani, Kaufmann che sul traguardo dei 400 piani, fianco a fianco con l’americano Otis Davis, sviene sul traguardo, l’etiope Abebe Bikila che vince la maratona nella straordinaria cornice, che nessuno potrà mai toglierci, nemmeno i politici di oggi, della Roma imperiale) conquistando il titolo di campione olimpico nella categoria welter. Ma tutta la sua carriera si svilupperà tra i “medi”. Anche questo non è casuale perché il “medio” è, come dice la parola stessa, un uomo normale, né piccolo né eccessivamente muscolare, tipo Rocky Marciano o Cassius Clay che erano dei massimi. Diciamo che se lo si può assimilare a qualcuno per la classe questi è “Sugar” Ray Robinson, medio anche lui, cinque volte campione del mondo nella categoria, solo che ogni tanto Robinson lasciava il ring per fare il ballerino, poi rientrava e si riprendeva il titolo. A Benvenuti queste sregolatezze, fra il genio e la pazzia, sono sempre state estranee (diciamo di sfriso che boxe e ciclismo sono gli sport in cui si soffre di più. Se sei un ciclista, un campione, ma hai una giornata storta, in una tappa in salita, devi comunque andare su per non essere definitivamente tagliato fuori. Se sei un boxeur saltellare per tre minuti sul ring anche senza prendere un pugno, cercando solo di evitare quelli dell’avversario, è una fatica bestiale. Ci sono stati incontri in cui un boxeur ha perso non perché incassava cazzotti ma perché era sfinito al punto di non avere più la forza di darli).

Vinte le Olimpiadi Nino Benvenuti dovette risolvere la rivalità italiana con Sandro Mazzinghi, un picchiatore. L’incontro decisivo si svolse a San Siro davanti a 40 mila spettatori il 18 giugno 1965. Me lo ricordo nitidamente perché c’ero (allora la boxe mi affascinava, era ancora la “noble art”, oggi, in pratica, non esiste più perché le organizzazioni mondiali si sono divise in cinque e hanno a disposizione personale umano ridottissimo perché oggi nessuno è tanto povero da sentirsela di andare a prendere botte su un ring). Mazzinghi sferra un destro, Nino lo schiva piegandosi leggermente e colpisce l’avversario al mento che è il punto più debole dei pugili perché ti fa ballare il cervello. K.O. secco.

Verranno poi i tre memorabili incontri per il titolo mondiale dei “medi” con Emile Griffith, un nero delle Isole Vergini pari a Benvenuti per classe e sensibilità. Ed è per questi tre incontri che Benvenuti è passato alla storia. Il primo match si svolse il 17 aprile 1967 al Madison Square Garden e vinse Benvenuti ai punti. Vidi anche quello, svenandomi, utilizzando la borsa di studio che mi aveva dato l’Università. La rivincita si svolse, curiosamente, allo Shea Stadium, vinse Griffith di stretta misura. La “bella” fu combattutissima ma prevalse ancora Benvenuti che divenne quindi campione incontrastato dei “medi”.

Nel ’62 ci fu un episodio che segnerà profondamente la vita di Griffith. Incontrava Benny “Kid” Paret, un cubano, con in palio il titolo mondiale dei pesi welter. Griffith era anche un disegnatore di modelli di moda (con quelle mani) e si era quindi fatto la nomea di “finocchio”. Al dodicesimo round Paret, in un corpo a copro, gli sibilò: “Maricón!” che in lingua spagnola vuol dire appunto “culattone”. Griffith perse il lume degli occhi e cominciò a colpire Paret furiosamente finché l’avversario andò a sbattere sfortunatamente contro uno dei quattro pali che tengono insieme il ring. Morirà dieci giorni dopo. Lo shock per Griffith fu tale che per un anno si rifiutò di combattere rinunciando a contratti notevoli perché allora era al massimo della fama. Comunque la carriera di Griffith finì dopo l’ultimo scontro con Benvenuti.

Ma anche Nino non ne uscì indenne. Quei tre incontri avevano sfibrato entrambi. Gli fu imposto o accettò un incontro, nel 1971, a Montecarlo, con Carlos Monzón, un fortissimo medio-massimo, argentino, che per trovare avversari era sceso nella categoria dei “medi”. Quindi nei fatti era un incontro fra un ex welter e un medio-massimo naturale. Ma non è per questo che Benvenuti perse. E’ che non c’era più come pugile. Bastava che Monzón lo colpisse sulle braccia, sulle braccia, e sul volto di Nino si disegnava una smorfia di dolore. Ero presente anche quella volta. Allora avevo appena cominciato a lavorare all’Avanti!, guadagnavo niente e dovetti accontentarmi di una modestissima pensione mentre i miei colleghi della Gazzetta o di altri giornali sportivi alloggiavano in alberghi sontuosi. Ma non fu certo per questo che per me quell’incontro ebbe un sapore molto agro, avrei preferito non vederlo. 

Benvenuti si ritirò in punta di piedi, non amava gli addii che si allungano come elastici, a differenza di un altro mio idolo, nel tennis questa volta, Novak Djokovic. “Nole” a 38 anni non è più in grado di tenere scambi lunghi, deve quindi accorciare il più possibile la partita e abbreviare i colpi. Gli avversari lo sanno e ovviamente ne approfittano. Se sono di una mezza categoria inferiore a Djokovic, Nole ce la fa ancora, ma quando sono suoi pari, adesso, dico adesso, perché negli anni passati non ce n’era per nessuno, come Sinner o Alcaraz, è costretto a soccombere.

Nel frattempo Griffith si era ammalato e aveva gravi problemi economici. Si sa come è la Sanità americana. Nino lo sovvenzionava in segreto e non rese mai la cosa pubblica. Venne fuori in un’intervista di qualche anno fa per iniziativa dell’intervistatore non dell’intervistato che tra l’altro chiamava Griffith affettuosamente “Emilio”. Quelli che erano stati due grandi, favolosi, avversari si rispettavano e si volevano bene anche dopo che tutto si era concluso.

Benvenuti è uscito dalla vita in punta di piedi, dimenticato da tutti, come non avrebbe meritato ma, probabilmente, avrebbe voluto. Era nella sua natura.

 

15 giugno 2025, il Fatto Quotidiano