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Conosco e frequento le Riviere liguri, di Levante ma ancor più di Ponente, dall’età di due anni. Dopo la guerra un fratello di mio padre, toscano, si era trasferito a Savona (“Sann-a”) dove aveva aperto un piccolo ufficio postale. Quindi noi passavamo le vacanze estive lì. A quei tempi non c’era ancora la smania dei viaggi esotici, inoltre mancavano i soldi. I figli dei proletari, milanesi, si dovevano accontentare dell’Idroscalo peraltro pericoloso perché crea dei gorghi insidiosi un po’ come il Tirreno che sembra così tranquillizzante rispetto alle burrasche del Mar Ligure. A quattro anni ho imparato a nuotare ai mitici bagni Umberto che avevano una rotonda appunto umbertina che avrebbe fatto gola ai Vanzina. A nuoto ero il più veloce della mia compagnia, adesso in piscina mi superano certe vecchie babe che nuotano con la maschera e il boccaglio. Che cosa si possa vedere sul fondo di una piscina e quali pesci per me resta un mistero. Ero scarso invece nei tuffi, qualche volta dagli Umberto si nuotava fino alla punta del pontile dove ormeggiavano le carboniere, in diagonale 700-800 metri circa. A volte i marinai ci facevano salire e noi ci tuffavamo, i miei amici di testa, io di piedi, una vera barbarie. Quel pontile mi ricorda anche che Genova, che noi savonesi detestiamo, ci ha tolto buona parte del traffico mercantile ridotto al porto di Vado. Da Savona partiva una funivia che portava carrelli carichi di carbone a Bragno. Una volta balzai su uno di questi carrelli. Fu un viaggio affascinante anche se estremamente pericoloso, anzi affascinante proprio perché pericoloso.

In particolare conosco bene l’entroterra del Finalese. Col mio amico Ino, figlio del gestore dei bagni, Gaetanin, la notte, lasciati gli amici, facevamo estenuanti perlustrazioni nell’entroterra. Alla ricerca di che? Di Dio, naturalmente. E una volta quasi lo acchiappammo ma non nel Finalese ma nell’entroterra francese. Era una notte buia e tempestosa, il cielo coperto di spesse nubi. Dopo una serie di fulmini e un tuono terrificante in cielo apparve una figura luminosa, oblunga, che non corrispondeva a nessuno degli astri conosciuti. Era la luna. Per la delusione ci precipitammo a Juan-les-Pins, allora, per i giovani una sorta di Woodstock, a berci una vodka pepata. A proposito di liquori e pub, in questo percorso zigzagante tra la Liguria di ieri e quella di oggi, non posso non ricordare Finale Ligure. Noi, appena avemmo l’età, ci fiondavamo a Finale dove c’erano le tedesche che, almeno così si diceva, “la davano”. Mai presa una. A ballare si andava al Boncardo, che esiste ancora insieme ai Bagni, una sterminata fila di ombrelloni. Ma a bere si andava al Vittoria, sull’Aurelia, a una certa distanza dal mare. La clientela era sceltissima, strano perché si trattava di milanesi e torinesi. Ma chi aveva un maggior stile era il gestore, Renzino, un ragazzo perché aveva circa trent’anni ma che non aveva la postura dei ragazzi. Aveva arredato il suo locale in stile medievale, armature, elmi, scudi, spade. Renzino, se lo stuzzicavi, lui non prendeva mai l’iniziativa, poteva parlare di Kafka e di Bosch. Avendo fatto moltissimi soldi a un certo punto, ancora molto giovane, pensò di ritirarsi alle Maldive, che non erano ancora le Maldive super turistiche di oggi. Ma quasi subito gli venne un ictus. Perché Dio non ama i sogni degli uomini.

Ho detto che conosco molto bene la Liguria. Non posso dire la stessa cosa dei liguri. Il ligure è stundaiu, una crasi fra il dialetto della Liguria di Ponente e il piemontese, scontroso, diffidente, misterioso. Tu cerchi di trovarne il fondo, ma è inutile: perché non c’è.

Un tempo per andare da Milano a Savona si prendeva il treno che ci metteva quattro ore. E pareva anche questa un’avventura. Mi ricordo nell’immediato Dopoguerra delle vecchie in nero che sgranavano continuamente il rosario perché l’anno prima era crollato un ponte sul Po.

Savona, credo di averlo già detto, è una delle città più brutte d’Italia insieme ad Alessandria. Patetico è quel cartello all’inizio, mi pare di via Pia, che dice “besuchen Sie diese Straße” che porta all’unico monumento della città, la Campanassa. Ma anche Sann-a, siamo pur sempre in Liguria, ha delle sue risorse misteriose. Al Circolo Calamandrei poi diventato cineclub, vicino al teatro Chiabrera, si radunavano alcuni che diventarono poi dei genietti della tv, da Tatti Sanguineti ad Aldo Grasso ad Antonio Ricci (che, sia detto di passata, ho battuto nove a uno, nove a uno, al calciobalilla, gioco che andava allora molto forte e adesso viene esposto da qualche locale ma come oggetto vintage. Sia detto di passata il mio gancio da fermo, da destra, era imprendibile. Col mio amico Giagi, docente di Storia Giovanni Assereto, savonese pure lui, abbiamo vinto un torneo che abbracciava l’intero territorio del Ponente). Come una città torpida come Savona abbia potuto partorire quei genietti tv di cui parlavo è un altro mistero. 

Le coste della riviera di Levante sono state devastate, da Rapallo a Santa Margherita e anche più in là, dai milanesi non solo nel senso della cementificazione selvaggia ma anche dal punto di vista estetico. Si salva, ma solo in parte, Camogli nelle cui acque Beppe Grillo, genovese anche lui, si preparava per l’impresa di attraversare lo Stretto di Messina. A Ponente ai milanesi si sono aggiunti i piemontesi ed è una lunga striscia di cemento, da Arenzano, a Celle, ad Albisola (una sola s) a Bergeggi, a Spotorno, dove c’è una delle baie più ampie e belle del Mediterraneo, a Noli, a Varigotti che conserva però un suo centro elegante ma tanto caro da diventare inabbordabile per persone comuni (non per nulla ci passa una parte della sua estate Michelle Hunziker) a Finale Ligure, ad Alessio, ad Ospedaletti, a Bordighera. I francesi sono stati più abili perché non hanno costruito sulle coste ma nell’immediato entroterra. Un altro inciso: la Promenade des Anglais, tutta a livello del mare, mi fa una sega rispetto a quella di Nervi, tutta sugli scogli, per cui quando il mare impazza i pescatori sono costretti a portare le loro barche più a monte possibile.

Dicevo prima del carattere dei liguri. Forse dipende dal fatto che sono stati per secoli marinai e il marinaio è per sua natura silenzioso, quando hanno dovuto diventare albergatori perché il pesce non rendeva più si sono rivelati un disastro proprio per quel loro carattere stundaiu.

Ho fatto, di recente, un meraviglioso bagno nella Baia dell’Esterel con quella terra rossa incorniciata da quello che noi oggi chiamiamo “il verde”. Bagni simili li ho fatti in certe baie della Corsica che peraltro con la Liguria ha molto a che vedere (c’è chi dice che la Corsica si sia staccata dal Golfo ligure, chi dalla Toscana). La terra del Ponente è rossa perché c’è il ferro e ancora oggi puoi trovare nell’entroterra ligure molte trattorie, rimaste miracolosamente intatte che si chiamano appunto “le terre rosse”. In una ti servono ancora il “Nostralino” che non è un vino vero e proprio ma è fatto di residui di altri vini. Lo si vendeva a 20 lire sulle bancarelle di Savona. E devo dire da alcolista impenitente che aveva la sua efficacia.

Per noi che abitiamo “al di là delle colline” il mare, come ha scritto Cesare Pavese e cantato Paolo Conte, ha un fascino che anche la montagna più alta, non potrà mai avere. Mi ricordo che quando ebbi la macchina mi resi conto che raggiungevo Savona o Finale Ligure in due ore e anche meno (andavo naturalmente come un pazzo, non c’erano tutti i limiti di oggi). E fu uno shock perché era come passare in due ore da un mondo a un altro. Ho l’impressione che chi abita sul mare non abbia la consapevolezza di questo suo privilegio. In Corsica, nell’entroterra, si incontrano delle indicazioni stradali: u mare con un implicito segno di disprezzo. Invece il mare costituisce un radicale scambio di prospettive, in tutti i sensi. Io, bambino malinconico e solitario a Milano, al mare mi aprivo, trovavo la gioia di vivere. Del resto è Albert Camus, nato a Dréan, sul mare, che scrive: “col sole e col mare anche un ragazzo povero può vivere felice”. Ogni tanto, nelle interviste, mi chiedono la mia passione più grande. Si aspettano che io dica, le donne, il gioco o altre sciocchezze. Io rispondo invariabilmente: “il Mare”. Per me mare ed estate coniugano la più proibita delle parole, felicità. come faccio dire a una delle mie attrici nel Cyrano: “una parola proibita che non dovrebbe essere mai pronunciata”.

 

28 giugno 2025, Il Secolo XIX