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                                                                                                                                                           “Il lavoro nobilita l’uomo, ma lo rende simile alla bestia

 

Nei prossimi giorni, il 1° maggio, si celebrerà la Festa del Lavoro e dei lavoratori. Cioè noi, senza accorgercene, festeggeremo la nostra schiavitù.

In epoche pre-moderne il lavoro non è mai stato un valore, tanto che San Paolo, che pur essendo un Santo e quindi disponibile al sacrificio, lo definisce “uno spiacevole sudore della fronte”.

Il lavoro diventa importante, anzi decisivo, con la Rivoluzione industriale il cui feticcio è la produttività. Scrive Dino Buzzati: “La produttività, ecco la sola cosa che veramente conti e davvero non si riesce a concepire come per millenni l’umanità abbia ignorato questa verità fondamentale…Produrre, costruire, spingere sempre più in su le curve dei diagrammi, potenziare industrie, commerci, sviluppare le indagini scientifiche rivolte all’incremento della efficienza nazionale, convogliare sempre maggiori energie nella progressiva espansione dei traffici…Tecnica, calcolo, concretezza merceologica, tonnellate, mercuriali, valori del mercato…” da Era proibito, racconto del 1958 dove lo scrittore si schiera contro la produttività in favore della poesia, cioè della vita (se non fosse nato prima di me direi che Buzzati mi ha copiato).

La Festa del lavoro fu istituita negli anni Sessanta dell’Ottocento per difendere i lavoratori dagli eccessi degli industriali che facevano lavorare anche i bambini di sei anni. E furono gli stessi industriali a darsi una qualche calmata quando si accorsero che a furia di massacrare i lavoratori con orari disumani finivano per ammazzarli perdendo così il proprio “capitale umano”, espressione che di per sé già dice tutto. Anche i sindacati sulla linea del pensiero marxista e socialista cercarono di metterci una pezza. Ma, nella sostanza, inutilmente. Per Marx il lavoro resta “l’essenza del valore”, del resto Stachanov è un eroe dell’Unione Sovietica (La classe operaia va in paradiso, 1971, con la straordinaria interpretazione di Gian Maria Volonté) per i liberisti, che non vanno confusi con i liberali, cioè Adam Smith, Ricardo e compagnia cantante, il lavoro è esattamente quel fattore che, combinandosi con il capitale, dà il famoso “plusvalore”.

Intendiamoci la sete di lucro e la voglia di ricchezza non è solo degli imprenditori ma come nota sarcasticamente Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904, riguarda “camerieri, medici, cocchieri, artisti, cocottes, impiegati corruttibili, soldati, banditi, i frequentatori di bische, i mendicanti, si può dire presso all sorts and conditions of men…”. Ma che la ricchezza dovesse essere raggiunta, non alla Ruota della fortuna o per dirla adeguandoci ai nostri tempi con una vincita al Totocalcio o al Lotto o all’Enalotto, questa era la novità inaudita.

Nel maggio del 1987 feci un reportage dal Sudafrica dell’Apartheid. Ciò che dirò appresso riguarda in particolare il Ciskei dove mi fermai una settimana, uno degli Stati interni del Sudafrica mai riconosciuti dalla cosiddetta Comunità internazionale. Mi accompagnava mio cugino, Valerio Baldini, geologo, che da quelle parti aveva vissuto a lungo. Ne riporto qui alcuni stralci (se è consentito a Feltri, lo sarà anche a me spero). “Le case delle campagne, le classiche huts a forma di cono, sono decorose, sia per la costruzione (i tetti sono di paglia, perché è il migliore riparo dal caldo, ma il corpo è di cemento) che per la disposizione. I campi sono coltivati, in genere a granoturco, quel tanto che serve. Sulla strada si colgono scene d’un’antica Arcadia: donne alla fonte; donne che portano in equilibrio sul capo fascine di legna, cesti di frutta, secchi di acqua; pastori, immobili, avvolti in lunghi mantelli; fieri cavalieri; adolescenti, graziose come gazzelle, che giocano a pallamano”. Fui circondato, per curiosità, da alcuni adolescenti che facevano scuola all’aperto, ragazzi e ragazze. Mi guardavano con occhi curiosi, limpidi, privi di malizia. Per essere felici gli mancava solo, e fortunatamente, la consapevolezza di esserlo. Valerio mi disse: “Vedi, il nero ha una cultura completamente diversa dalla nostra. Non ha voglia di guadagnare, di andare avanti, di fare profitti, si accontenta di quello che ha. Un bianco vuole sempre di più, se ha un campo lo coltiva tutto, il nero lo coltiva solo per quella parte che gli serve. Questa mentalità resiste fino a quando il nero non viene in contatto con il modello dei bianchi. Se vive vicino ai bianchi, vedendo come vivono i bianchi, alla fine assume i loro costumi. Quello che ha non gli basta più”. Ecco spiegato in due parole, senza bisogno di Weber, di Sombart, di Simmel e anche di Marx, lo spirito del capitalismo.

Naturalmente noi questo modo di vivere sereno lo abbiamo smantellato soprattutto in Africa nera e cerchiamo di sconvolgerlo, ad uso naturalmente di predazione, ulteriormente con i vari ‘Piani Mattei’.

Ultimamente c’è una certa rivolta giovanile nei confronti di questa Konkurrenzkampf che ci fa vivere male tutti, in particolare i giovani ma non solo loro. Negli Stati Uniti è nato un movimento, il Luddite club, ispirato al Luddismo, che però non distrugge ingenuamente le macchine, ma si rifiuta di usarle, a cominciare dai micidiali smartphone. Più limitatamente i giovani si rifiutano di fare un solo minuto di straordinario, non vogliono essere disturbati a casa dalle telefonate dei dirigenti. Al lavoro preferiscono la vita.

 

19 aprile 2025, il Fatto Quotidiano

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Ho sempre avuto stima di Silvio Garattini. E la conservo nonostante il fondatore dell’Istituto Mario Negri, cogliendo al balzo l’occasione di Vinitaly, si sia espresso decisamente contro il vino in quanto ritenuto causa di tumori (Fatto, 10.4). Del resto il professore non è solo in questa battaglia, in questo senso si erano già espressi gli americani che peraltro per galvanizzare le proprie truppe nelle tante guerre assassine che hanno inanellato nell’ultimo quarto di secolo non utilizzavano il vino ma la droga propriamente detta (i tedeschi invece, i nazisti, facevano ascoltare ai soldati della Wehrmacht Beethoven) gli irlandesi e perfino il governo della Nuova Zelanda imponendo che sulle bottiglie di vino sia scritto “questo prodotto è dannoso alla salute” (bella fine per gli affascinanti Maori). Questa d’altronde è la linea dell’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, un’organizzazione Onu screditata come tutte le organizzazioni Onu e l’Onu stessa insieme al diritto internazionale la cui esistenza si è scoperta solo dopo l’aggressione di Putin all’Ucraina.

Ma, dico, non viene in mente al professor Garattini che forse una delle maggiori cause dei tumori è ciò che mangiamo, vale a dire carne di animali stabulati, 24 ore su 24 sotto potenti riflettori per farli crescere più rapidamente e che sviluppano malattie tipicamente umane, obesità, diabete, depressione, nevrosi e appunto tumori?

Ma, dico, non viene in mente al professore che una delle maggiori cause di tumori sia per caso l’aria mefitica che respiriamo, un concentrato di co2 tre volte maggiore di quant’era al tempo dei “secoli bui”, cioè nel Medioevo?

Non è il vino a essere sbagliato, è il modello di sviluppo che abbiamo imboccato a partire dalla Rivoluzione industriale preda del compulsivo meccanismo produzione-consumo-produzione. Anzi la pura follia vuole che noi non si produca più per consumare ma si consumi per poter produrre. Inoltre nevrosi e depressione fra cui l’uomo contemporaneo bascula perennemente, sono malattie della Modernità e probabilmente il vino e i super alcolici sono un modo per allentare questa pressione.  Inoltre un’altra causa del malessere delle popolazioni occidentali, ma ormai non solo occidentali, è la stratosferica sproporzione fra la ricchezza dei pochi e la povertà di tutti gli altri compresa la classe media che sta scomparendo. La causa è il capitalismo che, come se ciò non bastasse, è diventato iper-capitalismo secondo la logica del Presidente dell’Argentina Javier Milei per cui “il socialismo è un cancro che impoverisce”, tesi sposata da quella madonnina infilzata di Giorgia Meloni tutta “Dio, Patria, Famiglia”. Proudhon diceva che la proprietà è un furto, no è la ricchezza di per se stessa che è un furto.

Ma veniamo a cose meno teoriche e più pratiche. Andate a dire a un friulano, soprattutto se abita sui monti della Carnia, ma anche se non abita su quei monti, che non deve farsi un grappino la mattina prima di andare a lavorare. L’alcool, ma in questo caso soprattutto il super alcool, è un modo per proteggersi dal freddo. I cani San Bernardo, quelli che salvano gli alpinisti finiti nei guai, portano al collo una botticella con la grappa. Del resto, uscendo dall’area del freddo e anche del caldo (io quando c’è troppo caldo mi faccio un gin scaldando così la temperatura del corpo e rendendo meno percepibile quella che c’è fuori, tesi avvalorata da due mie amiche medichesse, una specializzata in chirurgia del seno l’altra in radiologia nucleare) quando una persona sviene in casa o in luogo pubblico non si dice subito, o per lo meno si diceva, “dategli un cordiale”? E da che cosa era composto questo ‘cordiale’? Da purissima acqua di fonte?

In Russia, Paese freddo per eccellenza, anche se può avere estati molto calde, c’è quel freddo che consentì ai russi di sconfiggere Napoleone e anche la ben più temibile armata tedesca. Si è tentato più volte di sconfiggere il mitico e famigerato alcolismo russo (vodka essenzialmente, Moskovskaya naturalmente, state attenti perché oggi vengono smerciate delle vodke di produzione yankee, Absolut, o con bottiglie in caratteri cirillici, che è come bere acqua fresca. Lo dico per incidence: la vodka va servita, fredda naturalmente, ma senza ghiaccio e i bicchierini, che devono essere alti sei centimetri, non un millimetro in più ma neanche di meno, non devono avere il manico). A cercare se non di sconfiggere ma di tamponare il mitico alcolismo russo ci pensò per primo Lev Trotskii ma benché il grande comandante dell’Esercito sovietico (“I dieci giorni che sconvolsero il mondo” sono opera sua, Lenin se ne stava prudentemente nascosto, sotto una parrucca bionda, alla stazione di Finlandia) usasse metodi molto persuasivi (la soppressione nel sangue dei marinai anarchici di Kronstadt) non ne cavò un ragno dal buco. Mentre il Mullah Omar, con metodi altrettanto persuasivi, riuscì per alcuni anni a bloccare la produzione di oppio che fu una delle cause dell’aggressione all’Afghanistan perché i mercanti di stupefacenti erano legati a insospettabili classi dirigenti di altrettanto insospettabili Paesi, americani in testa. Ci riprovò più o meno un secolo dopo l’imbelle Gorbaciov che aveva fatto della Russia lo zerbino degli Stati Uniti (“distruggi un Impero e andrai a Sanremo”). E fu una tragicomica. Gorbaciov aveva stabilito che nei ristoranti prima delle due del pomeriggio non fosse servita vodka. Risultato: prima delle due nei ristoranti non c’era nessuno. Aveva poi stabilito che nei grandi magazzini la vodka potesse essere venduta solo in orari limitati, dalle due alle quattro, mi pare. Ero a Mosca in quel periodo e si vedevano file interminabili di persone, uomini, che si attorcigliavano per chilometri attorno agli orrendi grattacieli di Mosca, di stile fascista ma corretto in peggio dal cattivo gusto sovietico (la vera Mosca non la trovate più a Mosca, ma nei quadri esposti alla Tetriakov, con quei graziosi cortili di aceri e di pioppi). Bene. Chi riusciva ad entrare in questi grandi store e soprattutto a uscirne, con le tre bottiglie di vodka consentite, le spartiva immediatamente con i compagni in attesa e tutti andavano a sbronzarsi nel primo giardinetto disponibile.

L’alcool serve a vincere la timidezza maschile nei confronti delle ragazze. Quante occasioni mancate per non avere avuto il coraggio di avvicinare una ragazza (Le passanti, De André).

Ma tutto questo attacco ai vizi fa parte di una questione più generale e più grande: la tutela a tutti i costi della salute. E’ quello che ho chiamato il “terrorismo diagnostico”. Tu fin da giovane dovresti fare almeno sei controlli clinici l’anno, dovresti vivere da malato anche se sei sano, dovresti vivere da vecchio (categoria da sterminare al più presto) quando sei ancora giovane. Cioè per evitare l’inevitabile dovresti rinunciare a vivere. E’ talmente chiaro: è vivere che ci fa morire.

Inoltre sono precauzioni inutili. Perché tutto, o quasi, dipende dal nostro Dna. Che responsabilità ha un neonato se è nato paraplegico? Ce l’hanno probabilmente i suoi genitori anche se hanno fatto una vita castissima in tutti i sensi. E’ che il Fato, il vero padrone delle nostre vite insieme a Krónos, il Tempo, ha deciso così. Verè chi!

 

16 aprile 2025, il Fatto Quotidiano

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Dopo le mie prese di posizione sulla guerra e sulla necessità del riarmo della Germania mi sono arrivate, come era prevedibile, molte email di dissenso. Lettere pacate però, direi pacifiste prive di quegli insulti che ho ricevuto in altre occasioni quando ho espresso opinioni lontane dalla linea del Fatto che non sempre condivido anche se una cosa fondante mi lega a Marco Travaglio, “che Allah l’abbia sempre in gloria” e alla comunità del Fatto: la difesa ad oltranza della legalità e di quella sua espressione più sottile che è l’onestà intellettuale, valori spazzati via, anche fra la cosiddetta gente comune, dai decenni berlusconiani (vedendo che quello e i suoi accoliti violavano l’intero Codice penale il cittadino normale si è chiesto: ma devo essere solo io il più cretino del bigoncio?).

Perché le proteste contro i miei pezzi sono state civili e, oserei dire, caute? Perché chiunque si rende conto che una questione, eccezionale, di importanza storica come quella della guerra e della pace non può essere risolta con un secco, sì sì, no no e infatti Lev Tolstoj, un pacifista convinto, dà come titolo al suo memorabile libro non ‘guerra o pace’ ma Guerra e pace.

Tutte le guerre sono ingiuste e tutte le paci sono giuste? Non è così. Giuste sono sicuramente le guerre di indipendenza. Senza la nostra guerra di indipendenza non si sarebbe fatta l’Unità d’Italia assolutamente necessaria perché molti altri Stati europei l’unità l’avevano raggiunta. Giuseppe Mazzini, uomo di pensiero, che a quell’indipendenza diede corpo, era anche un terrorista. Giuseppe Garibaldi non era certamente un uomo di pace visto che combatté in Italia e in Sudamerica e l’inno che Goffredo Mameli compose nel 1847 e che è attualmente il nostro inno nazionale, non è certo pacifista quando declama “stringiamci a coorte, siam pronti alla morte”. E’ un inno di guerra sia pure difensiva che è perfettamente allineato con l’articolo 11 della Costituzione. Quella guerra di indipendenza mise anche fine al vergognoso “Franza o Spagna purché se magna” un detto, oserei dire, romanesco (pensando agli italiani imbelli di oggi quel “siam pronti alla morte” fa sorridere amaro, oggi gli italiani nella loro maggioranza - ci sono per fortuna eccezioni - non solo non sono “pronti alla morte” ma non sono nemmeno disposti a rischiar nulla tanto che in tante, troppe, occasioni, abbiamo visto ragazze violentate nel pieno centro di una città senza che nessuno pensasse che era suo dovere intervenire).

Senza la guerra di indipendenza talebana l’Afghanistan sarebbe ancora sotto il giogo degli occupanti occidentali, americani in testa.

Senza la guerrilla del Che e Castro Cuba sarebbe ancora governata da Batista che aveva fatto dell’isola caraibica un resort per i giocatori d’azzardo e per coloro che erano dediti allo stupro sistematico delle ragazze. Cuba oggi non è più una dépendance americana, certo è comunista e molto vicina alla Russia ma per lo meno, secondo i dettami del socialismo, l’istruzione e la sanità sono gratuite. E qualcuno ricorderà, forse, che medici cubani vennero in nostro aiuto all’epoca del Covid.

Comunque, per tornare al presente, i pericoli di guerra non vengono certo dalla Germania e dall’Europa in generale, non vengono nemmeno dai cinesi che più intelligentemente si limitano a conquiste economiche, vengono dagli Stati Uniti, da Israele e, in prospettiva, dall’Isis.

Nell’ultimo quarto di secolo gli americani hanno inanellato una serie di guerre d’aggressione, disastrose, che sono venute regolarmente in culo all’Europa. Tutte guerre a parte l’eccezione di cui dirò, contro la volontà dell’Onu. Si è cominciato con l’aggressione alla Serbia, 1999, circa seimila morti fra cui anche quegli albanesi che si pretendeva di difendere, si è continuato con l’invasione dell’Afghanistan del 2001 (400 mila morti, calcolo in difetto) che ebbe all’inizio il consenso dell’Onu ma che fu però ritirato quando ci si dovette rendere conto che i Talebani non avevano avuto nessun ruolo nell’attacco alle Torri Gemelle. Peraltro l’11 Settembre fu un ottimo pretesto, se così si può dire, per la successiva aggressione all’Iraq che secondo il Wall Street Journal e il Washington Post era in preparazione da tempo. Bisogna ammettere che la stampa americana è più libera della nostra, tutta allineata sul filo-atlantismo. Si è proseguito nel 2003 con l’aggressione appunto all’Iraq, basata su presupposti rivelatisi falsi (dai 650 ai 750 mila morti) poi con quella alla Somalia del 2008 per interposta Etiopia. Infine con la più disastrosa e disgustosa di tutte: l’aggressione alla Libia del colonnello Mu’ammar Gheddafi che non minacciava nessuno, aveva anzi allacciato ottimi rapporti con l’Italia di Berlusconi e la Francia di Sarkozy. Sono stato in Libia all’epoca in cui governava Gheddafi per visitare gli straordinari resti romani, era un Paese tranquillo. Gheddafi si limitava a favorire i componenti della sua tribù, i Warfalla, come fa qualsiasi capataz di un Paese democratico. Le prigioni libiche non erano zeppe di detenuti politici. Oggi la Libia è un groviglio di milizie che si combattono l’un l’altra e dove domina l’Isis. Per salpare dalle coste libiche i ‘mercanti di morte’ devono pagare una taglia agli uomini dello Stato Islamico e non mi meraviglierei affatto se Isis che ha conquistato il potere in Siria con le milizie guidate da al-Jolani, un ex terrorista, riprendesse gli attacchi mirati in Europa come fece nel 2015/2016. Spero di sbagliare. Del resto Isis, sia pur per ora parzialmente dormiente, è presente nei Balcani, cioè a due passi da noi, proprio grazie alla guerra che gli americani fecero alla Serbia ortodossa e socialista favorendo la componente islamica dei Balcani nel 1999. Isis è esattamente lo specchio rovesciato dell’Occidente. Come l’Occidente vuole imporre i suoi valori all’universo mondo così vuol fare l’Isis che ha una grande capacità di attrazione e di fascinazione. Furono molti gli europei, uomini e donne, che a suo tempo accorsero nello Stato Islamico di al-Baghdadi (vedi Sottomissione di Houellebecq).

Scrive Goffredo Buccini sul Corriere (7.4), interpretando un pensiero comune, che con l’aggressione della Russia all’Ucraina si è scardinata la distinzione fra “aggressore e aggredito” e violata la Carta dell’Onu che stabilisce “principi come l’integrità territoriale, la sovranità, la non ingerenza negli affari interni altrui”. Ma questa sottile distinzione fra aggressore e aggredito noi non l’abbiamo fatta né in Serbia né in Afghanistan (una guerra puramente ideologica) né in Iraq né il Libia quando eravamo noi gli aggressori. Quindi a demolire l’Onu, che oggi non conta più nulla e i principi del diritto internazionale che non esiste più, siamo stati innanzitutto noi occidentali.

Infine c’è Israele. Con la disinvoltura con cui sta uccidendo, massacrando, decine di migliaia di palestinesi, costringendo quelli che sono rimasti vivi alla fame, alle notti all’addiaccio e alla quasi impossibilità di curarsi, c’è poco da sperare. Tra l’altro Israele vìola più di altri Stati quel poco che resta del diritto internazionale, spara sulla Croce Rossa, sulla Mezzaluna Rossa, sulle Ong anche le più accreditate come Medici Senza Frontiere, sui giornalisti. Secondo uno studio della Brown University “la guerra a Gaza in 18 mesi ha ucciso più giornalisti della Guerra Civile statunitense, della Prima e della Seconda guerra mondiale, della Guerra di Corea, della Guerra del Vietnam, delle guerre in Jugoslavia e della guerra in Afghanistan messe insieme”. Israele ha l’Atomica. E noi dovremmo temere la Germania…

 

13 aprile 2025, il Fatto Quotidiano