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Nel maggio 2017 Angela Merkel in un discorso pubblico tenuto a Monaco di Baviera disse: “I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti… Noi europei dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani… Dobbiamo essere noi stessi a combattere per il nostro futuro”. Noi sul Fatto demmo alla notizia il risalto che meritava, ma fu praticamente ignorata non solo dagli Stati europei ma anche dai media europei. Ora che la situazione geopolitica si sta facendo sempre più inquietante, qualcuno comincia a svegliarsi. Manfred Weber, il capogruppo del Partito popolare europeo, ha affermato: “L’Europa deve diventare militarmente così forte che nessuno voglia misurarsi con noi”. E sul Corriere della Sera Mara Gergolet e Stefano Montefiori si chiedono: “Servono armi nucleari proprie alla Ue, ossia c’è bisogno di uno scudo atomico?” e ancora “Anche il tabù di una bomba atomica europea - tale per tutto il dopoguerra - si sta incrinando. Quantomeno in Germania e in Francia”.

Quello di mettere in piedi un’autonoma difesa europea, autonoma rispetto alla Nato cioè agli americani che l’hanno in mano, è, direbbe De Gaulle, “un vasto programma”. Del resto è da quasi un quarto di secolo che gli americani, o sub specie Nato o con coalizioni dei cosiddetti “volenterosi”, trascinano i Paesi del Vecchio Continente in guerre che sono venute tutte in culo agli europei: guerra alla Serbia (1999), guerra all’Iraq (2003-2007, dai 600mila ai 700mila morti civili), guerra alla Libia del colonnello Muammar Gheddafi (2011). Poi c’è la guerra all’Afganistan dei Talebani, iniziata sotto l’egida dell’Onu in risposta agli attentati dell’11 settembre ma poi trasformata in una coalizione di “volenterosi” quando divenne chiaro che i Talebani del mullah Omar non c’entravano niente con l’11 settembre. Questa guerra puramente ideologica (non ci piaceva come viveva quella gente) è durata vent’anni con un numero di vittime civili afgane incalcolabile, nel senso che non è mai stato calcolato perché, si sa, gli afgani sotto guida talebana non erano propriamente esseri umani come gli altri. Siccome ho seguito molto da vicino quella vicenda posso fare una stima approssimativa di 300 o 400mila caduti, stima depurata dai combattenti talebani morti. Quella guerra, dopo vent’anni di occupazione, siamo riusciti anche a perderla nel modo più vergognoso contro gente che combatteva pressoché a mani nude (kalashnikov e Yed).

Allora quale sarebbe la road map, termine sinistro e malaugurante perché ogni volta che è stato usato non ha portato a nulla, per dare all’Europa un’effettiva difesa che prescinda dalla Nato e dagli americani? Il primo passo è togliere alla Germania l’anacronistico divieto di possedere l’Atomica. Non è possibile che l’atomica la abbiano, oltre a Stati Uniti, Russia e Cina anche Pakistan, Israele e persino la Corea del Nord, e non il più importante Paese europeo. La Germania di oggi, democratica, non ha più nulla a che vedere con quella nazista da cui nel dopoguerra nacque il tabù. Attualmente in Europa la Bomba ce l’hanno solo i francesi e gli inglesi, ma è opinione comune che né Francia né Gran Bretagna abbiano la deterrenza necessaria per sventare aggressioni. Peraltro la Gran Bretagna è troppo storicamente alleata degli Stati Uniti perché si possa pensare che usi quell’Arma a prescindere dagli interessi americani.

È possibile pensare a una difesa europea che prescinda dalla Nato? Teoricamente sì, ma ci vorrebbe una Nato europea che raccolga tutti gli Stati del Vecchio Continente. Questi Stati dovrebbero quindi uscire dalla Nato propriamente detta, crearne una propria e configurare un’alleanza con gli Stati Uniti meno sperequata. Gli Usa hanno in Europa un’infinità di basi militari, alcune atomiche, almeno 120 in Germania e altrettante in Italia. Non c’è alcuna base militare europea negli Stati Uniti. Ed è noto che in Italia il personale militare americano/Nato gode di fatto dell’impunità. Si ricorderà la vicenda del Cermis dove un Rambo americano tagliò i cavi della funivia facendo venti morti senza andare sotto processo né in Europa né, a maggior ragione, negli Stati Uniti. Si ricorderanno meno le decine di ragazze italiane, soprattutto a Napoli, stuprate dai militari Usa, anche qui senza processo. Siamo ancora alla Pelle di Curzio Malaparte.

Avendone la forza si dovrebbe intimare agli Stati Uniti di diminuire di molto la loro presenza militare in Europa. Se Donald Trump ridiventerà, come crediamo, Presidente degli Stati Uniti, possiamo contare sul suo “isolazionismo”. A “The Donald”, che prima di diventare politico è stato imprenditore e ne ha quindi la mentalità, non garba punto di spendere milioni di dollari per una difesa europea che nei suoi programmi è marginale (gli interessa di più la competizione, economica e non militare, con la Cina). E fu per questo motivo, economico, che ritirò le truppe dall’Afganistan per una guerra che, come affermava lo stesso Pentagono, “non si poteva vincere”. L’Afganistan è noto come “tomba degli Imperi”: gli afgani, non ancora talebani, ci hanno messo trent’anni per cacciare gli inglesi, dieci per cacciare i sovietici e venti per cacciare gli americani e i loro servi, fra i quali c’era naturalmente l’Italia, che in Afghanistan si è comportata come sempre si comporta: facendo di nascosto alleanze con i comandanti talebani (fare tresche col nemico è la nostra specialità, si veda il comportamento del generale Angioni in Libano nel periodo 1982-84).

Se Trump ridiventerà Presidente si può scommettere che la guerra russo-ucraina terminerà in pochi mesi. Non contano tanto i suoi buoni rapporti con Putin ma il fatto che, come si sgola da tempo il generale americano Mark Milley, anche questa “è una guerra che nessuno può vincere”.

“Vasto programma” quindi, con un percorso molto lungo e accidentato. Per quanto riguarda l’Italia, Meloni non può essere allo stesso tempo nazionalista, europeista e superatlantista, perché questo vuol dire avere sul collo lo scarpone americano per un altro secolo.

Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2024

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Io tengo un archivio cartaceo. Una pazzia, in epoca digitale. Tanto più che io non raccolgo ovviamente solo i miei articoli (e già questo basterebbe perché ho pubblicato per un centinaio di giornali circa, tra cui Penthouse) ma ritagli di ogni genere disseminati in più di cinquant’anni per il mio mestiere di osservatore, come giornalista, della vita pubblica e privata italiana. Ciò che starebbe in un semplice smartphone occupa tutta la casa, stipato in armadi, in ripostigli, in cumuli accatastati sui pavimenti e persino nel sinistro sgabuzzino dove la mia madre zarista costringeva a vivere la domestica. Però questo sistema, perenne motivo di litigio con le donne che hanno vissuto con me, ha anche qualche vantaggio. Può succedere che, in un pomeriggio di noia, tu ti metta a sfogliare quei vecchi ritagli trovando una notizia dimenticata non solo da te ma dal contesto pubblico. È quello che mi è capitato l’altro pomeriggio. La fidanzata era andata al cinema con la Franca (ma sarà poi vero, chi va più al cine, le sale sono semideserte, il cinema si fruisce ormai in casa con Netflix) e, quel che è peggio, non c’era nemmeno una partita da vedere in Tv, cosa quasi impossibile perché fra anticipi, anticipi di anticipi, posticipi, Campionato, Champions League, Europa League, Conference League, Coppa Italia, Supercoppa, non c’è giorno senza “frubal” (Gianni Brera), cosa che non fa bene al calcio che finirà per morire di overdose.

Ho trovato quindi questa notizia, dimenticata, che risale al 2005. In quegli anni gli scienziati, indefessi, avevano trovato il gene responsabile della timidezza, chiamato in gergo 5-HTTLPR. La notizia l’aveva data la prestigiosa rivista “Archives of General Psychiatry” e la scoperta era dovuta ai ricercatori dell’università “Vita-Salute” del San Raffaele di Milano (dove è morto Silvio Berlusconi) in combutta coi loro colleghi dell’Istituto Eugenio Medea – Nostra Famiglia di Bosisio. Lavorando su una quarantina di bambini di età compresa tra i sette e i nove anni gli scienziati avevano scoperto – detto in estrema sintesi – che i possessori del 5-HTTLPR (che è una variante di un altro gene) sono timidi, introversi, stanno in disparte, preferiscono il silenzio al chiasso, “non socializzano, hanno difficoltà a giocare coi coetanei”. Embè, che male c’è? Che male c’è se un bambino invece di essere petulante, appiccicoso, rompicoglioni è timido, educato e preferisce starsene per i fatti suoi? Eh no, replicano gli scienziati indefessi, questi soggetti, secondo loro, sono bambini “a rischio” (termine quantomai sinistro). Perché sono predisposti, una volta adulti, a diventare delle persone ansiose e in seguito degli alcolisti “dal momento che l’alcol è uno dei più potenti ansiolitici che si conoscano” e magari anche degli aspiranti suicidi o dei suicidi tout-court. Vanno curati con una opportuna terapia psico-clinica fin da subito, quando sono ancora a balia, è quello che ho chiamato “terrorismo diagnostico”.

In realtà c’è qui la tendenza, peculiarmente moderna, a standardizzare e a omologare tutto: i nostri stili di vita, attraverso un unico modello di sviluppo economico e istituzioni e codici etici validi da New York a Ulan Bator, e adesso, risolvendo così il problema alla radice, anche direttamente le persone. Si va verso l’idealtipo, il normotipo, un individuo che non deve essere né troppo timido né troppo ansioso né troppo introverso, ma nemmeno eccessivamente aggressivo, non troppo geloso o possessivo, non sessuomane ma nemmeno asessuato, e così via, una specie di Alfa Minus del “Mondo nuovo” di Aldous Huxley che rumini tranquillamente il suo betel, la sua droga quotidiana – il consumo in sostanza – senza porre problemi a sé ma soprattutto alla società. Un uomo senza personalità, senza identità, “senza qualità” per dirla con Musil. Un automa.

Per quanto poi riguarda, in particolare, la timidezza, la ritrosia, la riservatezza, che cosa c’è di più attraente? Chi non ha nostalgia dei rossori e dei pudori delle ragazze d’antan, essendo attorniato dalla sfacciata aggressività di quelle di oggi, ombelichi di fuori e sederi al vento, una cosa che farebbe passar la voglia anche a un mandrillo (ma le ragazze, dico, si sono dimenticate dell’elettrizzante gioco del “ti vedo, non ti vedo”)?

Eppoi tutti i geni (quelli veri, non quelli del Dna) sono stati, quasi senza eccezione, dei timidi, degli introversi, degli individui che avevano difficoltà a relazionarsi con gli altri. Diversamente non sarebbero geni. Se Nietzsche non fosse stato un introverso forse avrebbe vissuto meglio ma non avrebbe mai scritto “Così parlò Zarathustra”, se Leopardi non fosse stato quello che era non avremmo mai avuto “L’infinito”, se Schopenhauer non fosse stato così nevrastenico da non sopportare nemmeno il rumore delle frustate dei cocchieri delle carrozze che passavano nella sua via (si legga il divertente, e preveggente, “Del chiasso e dei rumori” in Parerga a paralipomena) non avrebbe mai pensato il mondo come “volontà e rappresentazione”, così come Maupassant non avrebbe mai ideato il personaggio di “Bel Ami”.

Ma la società attuale è nemica non dico del genio ma anche dell’intelligenza e del semplice buon senso. Se ne avesse conservato un barlume, i suoi scienziati la pianterebbero di andare a trafficare ossessivamente col Dna e in ogni caso, dovendolo fare, per così dire, per dovere d’ufficio, invece di dare la caccia al gene della timidezza lo darebbero a quello dell’arroganza di cui è pieno il mondo. A cominciare da quello scientifico.

Il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2024

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 “Io non mi sento italiano”, Giorgio Gaber, 2002

“Il Bel Paese”, così aveva fama l’Italia, tanto che a fare il cosiddetto “tour d’Italie” venivano i grandi intellettuali e artisti europei, da Goethe a Stendhal a Oscar Wilde.

E in effetti l’Italia è un “unicum”, dal punto di vista storico, culturale, artistico, e anche geografico e ortografico. Abbiamo le Alpi, col monte Bianco di quasi cinquemila metri, gli Appennini, il Delta del Po che ricorda un po’ quello del Mississippi e soprattutto 8.300 chilometri di coste. Peccato che le coste ce le siamo rovinate da soli cementificandole, coinvolgendo in questa cementificazione anche alcuni siti archeologici di grande importanza, come quello di Agrigento.

L’Italia è unica per la cultura. Viene dalla latinità e anche dal pensiero greco (la “Magna Grecia”) e lo è rimasta col Rinascimento (Leonardo da Vinci, Michelangelo, Botticelli per dire solo di alcuni).

L’Italia rimarrebbe un “Bel Paese” se non fosse abitata dagli italiani di oggi. Colpisce il suo cinismo da mercato. Si dirà che questo cinismo ormai riguarda tutti nel mondo globalizzato ad eccezione di poche enclaves, ridotte al margine, dove gli autoctoni hanno conservato la propria dignità. Ma un padre che specula sulla morte della propria figlia è un “unicum”, questa volta negativo, di noi italiani. A questa speculazione ha aderito anche la sorella della vittima, Elena, e perfino la nonna. Un tempo, in fondo non poi così lontano se anch’io ho avuto il modo di viverlo, una famiglia colpita da una disgrazia si chiudeva in un dignitoso e silenzioso riserbo.

Fa impressione anche la sciatteria degli italiani di oggi, che coinvolge artigiani, giornalisti e quasi ogni altra categoria (giornalismo: ma è mai possibile trovare certi strafalcioni sul Corriere della Sera, il più importante quotidiano italiano?). Un tempo l’artigiano aveva l’orgoglio del suo manufatto, il “capolavoro”, tanto che, ancora oggi, a Milano puoi vedere certi tombini sui quali l’artigiano aveva messo in sigla il proprio nome. Adesso l’artigiano fa il suo lavoro alla bell’e meglio, contando sull’ignoranza del committente. Tu chiami, e qui comincio a parlare di esperienze personali, un fabbro. L’appuntamento è per le due del pomeriggio e quello alle cinque non si è ancora fatto vedere. Ho un garage dove, non potendo più guidare la macchina, tengo una vecchia bicicletta, una Rossignoli con cinque cambi che mi è emotivamente cara perché mi ricorda un’altra stagione della mia vita. Che fanno gli operai della commendevole ditta Di Falco che in Milano hanno ottenuto tutti gli appalti dell’Ecobonus (e anche questo meriterebbe un’indagine della magistratura, perché così siamo in un regime che viola la concorrenza)? Entrano nel garage, probabilmente rubano la bici, a meno che non ci abbia pensato prima qualcun altro, e vi mettono i loro arnesi e le loro masserizie, dimenticandosi, anzi sfottendolo, il proprietario. C’è un furto e una violazione di domicilio. Potrei, naturalmente, rivolgermi alla magistratura, ma con i tempi delle nostre procedure penali e civili otterrei soddisfazione tra una mezza dozzina d’anni e forse più. Anche perché in Italia s’è venuto creando un doppio diritto, uno per “lorsignori”, fra cui oltre ai politici ci sono anche gli imprenditori, e l’altro per i comuni mortali. È vero che gli artigiani sono tartassati dal fisco, si fa per dire, perché lavorano quasi sempre in nero (ed è anche per questo che possono non presentarsi ad un appuntamento già fissato). Ma prova tu, lettore, a fare un’infrazione stradale e il fisco ti è subito addosso con gabelle, tasse e sovrattasse (ricordo una bella vignetta di Giovanni Mosca, l’umorista: si vede un tasso, inteso come animale, con in groppa un tasso più piccolo. “Che cos’è?”, chiede, nella vignetta, l’omino al compagno: “È il tasso col sovrattasso, è un animale che esiste solo in Italia”). Del resto se sei ricco e famoso le cose si svolgono molto diversamente. Ricordo i casi di Valentino Rossi e di Luciano Pavarotti che patteggiarono col fisco ottenendo una riduzione della metà, milioni di euro o miliardi di lire.

Io sono un “fragile”, sia per età che per la menomazione della mia vista. Mi è capitato di essermi perso in un quartiere a me poco noto. Chiedevo indicazioni ai passanti e quelli tiravano dritto. Siccome ho ancora buoni riflessi, sono caduto solo una volta, inciampando in un gradino in piazza Cavour, finendo lungo disteso sul marciapiede. Nessuno che si sia fatto avanti per darmi una mano. 

L’individualismo e l’avidità di denaro sembrano la cifra soprattutto nella media borghesia. Io abito in un palazzo abitato da questo tipo di individui. Non si sono accontentati dei vantaggi dell’Ecobonus, supposto che esistano (credo di più a Giorgia Meloni che ha detto che l’Ecobonus ci è costato oltre cento miliardi) ma hanno voluto anche un telo pubblicitario che per due anni ci ha tolto la vista, il sole, l’aria. Credo, come ho già detto altra volta, che se tu proponessi a un bangla: ti do del denaro ma tu per due anni rinunci all’aria, al sole, alla vista, quello ti manderebbe a dar via il culo.

Non abbiamo più valori né ideali. Il Fascismo li aveva, forse sbagliati, ma li aveva.

Siamo il Paese record con quattro mafie: la Mafia propriamente detta, la ‘ndrangheta, la camorra, la Sacra Corona Unita. Ma al di sopra di queste si eleva una supermafia, più occulta, che si chiama partitocrazia. È quello che oggi si chiama “amichettismo”, che ha gli stessi metodi della mafia: offre protezione in cambio di sudditanza. Anzi oggi che la mafia ha rinunciato, intelligentemente, a spargere sangue, la similitudine è perfetta. In peggio, perché la mafia conserva un codice d’onore (si veda la dignitosa morte di Matteo Messina Denaro) quella dei colletti bianchi no. Basta pungerli con uno spillo e spifferano tutto, tanto sanno che, in un caso o nell’altro, la galera è solo un’idea platonica, al peggio andranno ai “domiciliari” evidenziando anche qui una sperequazione fra i reati dei ceti sociali alti, per così dire, e quelli da strada, commessi in genere dai poveracci, per i quali vale il brocardo di madama Santanchè: “In galera subito e buttare via le chiavi”.

Scrivevo in un libro pubblicato nel 2010 da Chiarelettere: “Un’Italia ormai inguaribilmente corrotta, nelle classi dirigenti come nel comune cittadino, intimamente, profondamente mafiosa, come sempre anarchica ma senza più essere divertente, priva di regole condivise, di principi, di valori, di interiorità, di dignità, di identità. Un’Italia senz’anima”.

Il Bel Paese? Una fogna a cielo aperto.

Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2024