Massimo Cacciari in un’intervista al Fatto (5.5) ha dichiarato: “La Romania è tra i Paesi la cui maturità democratica è tutta da verificare”. Non capisco il senso di questa affermazione: la Romania è un membro della Ue e come tale ha tutti i requisiti per restarci a differenza dell’Ucraina che questi requisiti non ha e può ambire solo ad entrare nella Nato dove ci sono ogni sorta di manigoldi a cominciare dal dittatore turco Recep Tayyip Erdogan. Che poi a Bucarest si usino tutti i mezzi per bloccare gli oppositori (caso Georgescu, cui probabilmente si riferiva Cacciari) non è una specialità della Romania ma di buona parte delle cosiddette democrazie, lo si è tentato anche con Trump nelle ultime Presidenziali americane. Quale era la colpa di Georgescu agli occhi non dei rumeni, che l’hanno votato in grande maggioranza, ma delle classi dirigenti occidentali? Essere, oltreché indipendente, un politico filo-russo. La Russia anche se non è strettamente confinante preme sulla Romania ed è quindi naturale che i rumeni abbiano interesse ad avere buoni rapporti con la Potenza ex sovietica.
Devo dire che in Occidente si hanno molti pregiudizi nei confronti della Romania. La Romania fu alleata del nazismo, vero (Codreanu) ma lo è stata anche l’Ucraina con la differenza che in Romania non ci sono stati, o per lo meno non risultano, i bestiali pogrom anti-ebraici perpetrati dagli ucraini. Né in Romania ci sono attualmente forze che si ispirano direttamente al nazismo, fino a portarne le insegne, come il ‘battaglione Azov’.
La Romania è molto sottovaluta anche culturalmente. Certo non ha avuto Dante o Leopardi, ma più recentemente rispetto a quelle nostre glorie nazionali, ha espresso pensatori e artisti di prim’ordine da Cioran a Ionescu a Mircea Eliade, il massimo esperto di religioni (Trattato di storia delle religioni, 1949). Inoltre a Bucarest c’è il più importante Centro di studi neroniani, il che può parer strano, ma strano non è perché la Romania, come dice il nome stesso, deriva da Roma ed è molto interessata alla cultura latina. Infatti è una lingua neolatina. Il che ha importanti ripercussioni. Ho avuto in epoche diverse tre domestiche rumene. Una, Uka, non solo parlava perfettamente l’italiano ma ne conosceva anche sfumature che ai nostri connazionali, anche quando si credono colti, sfuggono. Inoltre, oltre a essere spiritosa, era, ed è, onestissima. Io in casa perdo continuamente soldi, un po’ per la mia avversione a tutto ciò che è denaro, o meglio, lo simboleggia, un po’ per i limiti della mia vista. Un giorno Uka mi si presenta con un biglietto da 500 euri e mi dice, usando il lei, mentre abitualmente ci davamo del tu: “Dottore, ci sono qui 500 euro”. Con quella cifra avrebbe potuto vivere senza far niente per qualche mese. E questa onestà l’ho ritrovata nelle domestiche che ho avuto successivamente, sempre rumene, non italiane. Qui a Milano vivono circa 50 mila rumeni, i rumeni della diaspora (in Italia sono circa un milione) e oltre a essere dei gran lavoratori sono estremamente solidali fra di loro. Quando possono si aiutano come possono.
La Romania ha avuto anche grandi calciatori, la mezzala Hagi che tutti conoscono e il meno noto Belodedici, libero, l’unico ad aver vinto due Champions con due squadre diverse, la prima con la Steaua e l’ultima con la Stella Rossa (’90-’91) quando non era stato avviato ancora il malvezzo per cui le squadre più titolate oggi si assicurano i calciatori migliori di ogni continente. La Steaua era una squadra fortissima tanto che nel 1989 arrivò alla finale della Coppa dei Campioni contro il Milan di Berlusconi. Perse clamorosamente 4 a 0. Come mai? Perché il malfattore di Arcore, che non se n’è mai lasciata sfuggire una, comprò i calciatori rumeni che erano poveri in un Paese povero. Non fu quindi difficile.
Sul dittatore Ceausescu i rumeni hanno opinioni differenti. C’è chi lo considera solo un dittatore che li ha costretti ad espatriare, c’è invece chi lo sente come un nazionalista (evidentemente non c’è solo Orban su questa linea) impegnato a far tornare grande la Romania. Comunque tutti lo stimano, io compreso, per il modo in cui ha saputo affrontare la morte. Fucilato senza processo fermò la moglie che voleva protestare e gridare qualcosa.
Tutti i rumeni, almeno quelli che io conosco, sono indignati per il servizio, chiamiamolo così, che è stato fatto a Georgescu annullando la sua vittoria alle Presidenziali del 2024 (22,94 per cento) con pretesti risibili, accusandolo, nientemeno, di aver utilizzato per la sua propaganda TikTok. Naturalmente i mezzi gli sarebbero stati forniti dalla Russia, insomma “ha stato Putin”.
Nell’ambito della questione Georgescu, considerato evidentemente un nemico della democrazia, Maurizio Ferrera si pone la domanda: “Una democrazia liberale può prendere dei provvedimenti contro chi si propone di minarne i fondamenti?” (Corriere, 5.5). La risposta è sì se si dà ascolto a Karl Popper che sintetizzando, afferma che per proteggere se stessa, la democrazia ha il diritto/dovere di difendersi, imponendo restrizioni a movimenti e organizzazioni che si propongono di sovvertirla. Un liberale senza se e senza ma come Norberto Bobbio ha contestato questa posizione. Del resto non c’è bisogno di ricorrere a Bobbio, basta Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”. Insomma la Democrazia nel pensiero di Popper è un totalitarismo come un altro.
Del resto sorge qui una domanda ancora più fondante: che cos’è realmente la Democrazia? E’ un animale sfuggente e polivalente che può essere utilizzato a proprio comodo. Non c’è nessun elemento della Democrazia che, preso in sé, non appartenga anche a sistemi che democratici non sono. Di queste aporìe della democrazia ho dato puntuale conto nel mio libro Sudditi. Manifesto contro la Democrazia del 2004. In realtà la Democrazia è un sistema di regole e procedure, è un sacco vuoto che andrebbe colmato. Purtroppo l’edonismo contemporaneo, liberista, non è stato in grado di riempirlo se non con contenuti mercantili. Cosa che ha una conseguenza ancora più grave: l’estrema difficoltà per i giovani di trovare un modello spirituale. C’è la religione, si capisce, ma la religione soprattutto quella cattolica in Occidente si è ridotta a un puro simulacro, a una questione di eventi. Durante il papato di Wojtyla che utilizzò a manetta tutti i moderni strumenti della comunicazione moderna (Tv, jet, viaggi spettacolari, creazione di eventi, concerti, gesti pubblicitari, papamobile, papaboys) crollarono le vocazioni e si svuotarono i monasteri. E Papa Bergoglio non ha migliorato la situazione perché anche se forse in un modo un po’ più ingenuo e meno cinico ha utilizzato gli stessi mezzi. Ai funerali di Papa Bergoglio c’erano centinaia di migliaia di giovani, ma mai che se ne veda uno in chiesa.
Comunque il mio pensiero di fondo è tutto un altro ed è quello delle popolazioni animiste secondo le quali “la vita va avanti bene quando tutte le forze della natura sono in equilibrio”. Noi la Natura la stiamo distruggendo e questi popoli li abbiamo spazzati via. Democraticamente, s’intende.
11 maggio 2025, il Fatto Quotidiano
Dopo il tragico trapasso di Papa Bergoglio, tragico ma inevitabile perché nessuno foss’anche un Papa può sfuggire al Tempo, Chronos che mangia i suoi figli secondo la mitologia greca, né tantomeno alla falce della Nobile Signora (“Niente è più universale della falce senza martello”, Nanni Delbecchi).
Del resto è su questa inevitabilità della morte e quindi sulla speranza di “un’altra vita dopo la vita” che la Chiesa, come tutte le Chiese, ha costruito la propria fortuna. Esulano da questo schema il Buddismo e alcune religioni orientali che aggirano la questione rinunciando, in pratica, a vivere, mentre le metempsicosi sposta solo un po’ più in là il problema.
I media nazionali e internazionali, com’è naturale, si sono scatenati in un’orgia di commenti, tante erano le pagine dedicate al “tragico evento” che chi non era interessato poteva fare anche a meno di leggere i giornali.
Commenti su Bergoglio innanzitutto, se era progressista o conservatore, se era di destra o di sinistra, anche se a me sembra blasfemo utilizzare categorie temporali in ambito spirituale.
Insomma la storia della Chiesa è stata sondata in lungo e in largo e anche, ma senza rendersene conto, in profondità come quando si è ricordato l’apologo del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Questo l’apologo. Siamo nella Spagna del Cinquecento e Cristo, come promesso, è ridisceso sulla Terra. Il Grande Inquisitore, il novantenne Cardinale di Siviglia, lo fa immediatamente arrestare, sprofondandolo nelle più profonde segrete. E gli dice: “Tu non vuoi bene agli uomini perché hai dato loro il libero arbitrio, siamo noi ad aver tolto all’uomo questo tormento togliendogli la libertà della scelta e assumendola su di noi”.
Si sono fatti poi inevitabili, anche se problematici, confronti coi i Pontefici più recenti, dallo ieratico Pio XII al cosiddetto “Papa buono”, Giovanni XXIII, a Karol Wojtyla il più ‘politico’ dei Pontefici del Dopoguerra perché a lui si deve, così si dice, il collasso dell’Unione Sovietica e la liberazione della cattolica Croazia dal giogo della Jugoslavia serba che portò poi alle sanguinosissime guerre balcaniche.
Si è giocato poi molto al ‘toto-Papa’. Mi spiace che non sia compreso, per limiti di età, il cardinal Ravasi, uomo dalla cultura impressionante, teologo finissimo e, avendo viaggiato pressoché in tutto il mondo, cristiano e no, di grande apertura mentale.
In quanto a Ratzinger, che non è eleggibile poiché defunto, morto ad onta di tutte le acrobazie di quell’essenza misteriosa che è lo Spirito Santo, definito da Borges uno “spettro” non proprio raccomandabile, quando era ancora Cardinale pose una questione attualissima, che ci riguarda tutti, affermando: “il Progresso non ha migliorato né l’uomo né la società e si presenta come un rischio gravissimo per la sorte dell’intero genere umano”. Nonostante la questione fosse posta da una tale Autorità, fu passata sotto silenzio perché non faceva certo comodo ai padroni del vapore che sul Progresso e le ‘crescite esponenziali’, basano la loro fortuna e il loro potere.
In quest’orgia di commenti non è mai stata centrata la vera questione fondante posta dal cristianesimo e che segnerà l’intera storia, o quasi, del mondo: l’evangelizzazione. Se io posseggo la Verità perché non annunciarla anche agli altri e farli partecipi? Il vizio non è qui nell’annunciare la ”buona novella” ma nel tentativo di obbligarvi anche gli altri. Uno slancio generoso che però ci ricadrà come una tegola sulla testa, al modo di tutti i favori non richiesti.
Gli ebrei, bisogna dirlo, non hanno questo vizio, la generosità è loro estranea. Non fanno proseliti e gli altri vadano pure a scopare il mare. O meglio a farsi ammazzare dagli stessi ebrei (a mettere Cristo in croce non fu il romano Ponzio Pilato che di queste disquisizioni, da pagano, non poteva, giustamente, capir nulla ma fu spinto dalla canea tumultuante degli ebrei). Nel loro Dna c’è la vendetta e non certo il misericordioso “porgi l’altra guancia” del Cristo, questo affascinante borderline che, con magie da “illusionista”, alla Iniesta, moltiplicava i pani e i pesci, camminava sulle acque, risuscitava i morti, ridava la vista ai ciechi (anche se in questo caso l’operazione gli fu più difficile). Del resto sono o non sono il “popolo eletto”, il prediletto da Dio quello nato sul territorio sacro della Palestina mentre altri pur originari di quei luoghi, i palestinesi appunto, devono essere cancellati dalla faccia della Terra con i metodi più brutali come stiamo vedendo in questi giorni e in verità dal 1948? Peraltro con questa concezione del “popolo eletto” gli ebrei hanno declassato tutte le altre genti a popoli di serie B, ponendo le basi di quel razzismo antropologico di cui poi saranno tragicamente vittime.
Torniamo all’evangelizzazione. Nell’evangelizzazione c’è in nuce il “vizio oscuro” che segnerà l’intera storia dell’Occidente, sul quale anzi esso si fonderà: il tentativo di reductio ad unum dell’intero esistente. Con l’evangelizzazione non solo avrà, di fatto, inizio l’eurocentrismo, ma essa è, ideologicamente, alla base del colonialismo, dell’imperialismo, del totalitarismo. L’evangelizzazione partorirà molti figli, apparentemente fra loro diversissimi ma tutti con la stessa tabe genetica: la convinzione di avere la Verità in fronte e la necessità di farvi partecipi anche gli altri, con le buone o, se necessario, anche con le cattive.
Un primo figlio sarà il colonialismo che si basa, almeno a partire dal quindicesimo secolo, sulla distinzione fra “culture superiori e inferiori” e il dovere delle prime di portare la civiltà, laica e religiosa, alle seconde. Il secondo figlio, anche se ciò può apparire strano, sarà l’Illuminismo che a Dio sostituirà, assolutilizzandola, la Dea Ragione, e la Rivoluzione francese e le truppe napoleoniche si incaricheranno di esportare, sulla punta delle baionette, questa inedita “buona novella”. Il terzo figlio, il che può apparire ancora più strano, è la Rivoluzione sovietica che, sotto il manto del materialismo scientifico e in nome dell’internazionalismo proletario, tenterà di ricondurre tutto il mondo sotto un unico modello. Il quarto figlio è quello più riuscito e compiuto. Ed è la società industriale. La sua formidabile espansione si basa su una sorta di “evangelizzazione”, mercantile e tecnologica, che ha al suo fondo la convinzione che quello industriale sia “il migliore dei mondi possibili”. E’ una società dinamica che ha sopraffatto tutte quelle ‘statiche’. E’ in virtù di questa convinzione che ci siamo intromessi in tutte le altre culture, assimilandole, o, quando questo non è stato possibile, ghettizzandole oppure togliendole brutalmente di mezzo (tutte le guerre americane dell’ultimo quarto di secolo, in particolare quella totalmente ideologica all’Afghanistan talebano, hanno questo senso). Dio ha preso le forme della ruspa.
Alla società industriale sta riuscendo quello che il cristianesimo, il colonialismo classico, la Rivoluzione francese, il marxismo-leninismo hanno potuto solo tentare: la riduzione del mondo a un unico modello. Oggi siamo, finalmente, tutti battezzati. In un mare di cherosene.
8 maggio 2025, il Fatto Quotidiano
Il faccia a faccia fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, enfaticamente definito “l’ultimo miracolo di Papa Francesco”, dovrebbe invece, molto pragmaticamente, servire da traccia per futuri incontri fra Capi di Stato politicamente ostili.
Innanzitutto, anche se questo par ovvio, deve avvenire in un Paese neutrale, anche se ovvio non è, visto il disastroso faccia a faccia Trump-Zelensky alla Casa Bianca, finito come sappiamo. Perché in un Paese neutrale il più possibile lontano dai luoghi d’origine dei due contendenti (e questo vale per qualsiasi incontro internazionale ad alto livello, non solo per Trump e Zelensky) i due Capi di Stato si trovano, almeno momentaneamente, lontani dai loro Paesi, dalla loro cultura, dalle loro origini, dalle loro famiglie. E poiché sono pur sempre uomini emergono le questioni personali. Così come emergono, poniamo, per Giorgia Meloni che pur non è implicata direttamente in una guerra ma costretta dal defaticante impegno che si è assunta, lontana da casa per mesi o, anche se non è lontana da casa, ma costretta a Piazza Colonna, soffre, come mi confessò quando mi invitò gentilmente a Palazzo Chigi, di aver perso molto del suo controllo sulla figlia di dieci anni, Ginevra, non riuscendo a staccarla neanche per un breve momento dall’uso compulsivo dello smartphone.
Un’altra sofferenza, ma ciò esula dall’attuale discorso che riguarda in sostanza l’essere e l’apparire, è di essere circondata da persone che ne spiano ogni movimento.
Trump e Zelensky, hanno età molto diverse, The Donald 78 anni, quasi 79, Zelensky 47 e quindi, al di là della politica e oltre la politica, hanno esigenze personali molto diverse. Trump sa che può morire da un momento all’altro e quindi, probabilmente, preferirebbe giocarsi gli ultimi spiccioli che gli rimangono in un modo differente da quello cui è costretto dal ruolo, per Zelensky, sia pur a parti invertite, vale lo stesso discorso: anche a Volodymyr, come a tutti i suoi coetanei, farebbe piacere sentir musica, andare in discoteca, fare qualche sport invece di essere costantemente impegnato sui campi di battaglia con l’unico sfizio di esibire una ‘mimetica’.
In fondo anche questi grandi e potenti Capi di Stato hanno le esigenze di ogni essere umano (così come, sia detto di passata, e per alleggerire un po’ il discorso, le donne bellissime hanno le stesse esigenze di quelle brutte, per cui molti uomini non osano avvicinarle temendo di dover fornire chissà quali prestazioni).
Ma torniamo al “faccia a faccia” Trump-Zelensky e agli insegnamenti che ci può fornire. Niente consiglieri presenti perché sono tentati di far vedere che esistono anche loro, e non solo il capo, e quindi diventano particolarmente aggressivi come è stato il caso di J.D. Vance. Niente giornalisti al seguito e soprattutto niente Televisione dove ognuno, anche fuori dal campo della politica, non è mai se stesso, ma recita una parte.
I contraccolpi positivi di questo incontro, avvenuto a caso e per caso, si sono visti subito, soprattutto nei rapporti fra Trump e il ‘convitato di pietra’, alias Vladimir Putin. Trump ha condannato con una durezza insolita i bombardamenti russi su Kiev e sulla sua piattaforma ha scritto “Stop Vladimir!”.
Chissà se un incontro Putin-Zelensky, organizzato nello stesso modo, potrebbe avere un uguale successo. In fondo anche Putin, 72 anni, è un vecchio e ha i pensieri, e soprattutto le esigenze, di tutti i vecchi.
Quando sei in un incontro personale, faccia a faccia, senza testimoni, non senti il bisogno di fare il fenomeno e di recitare una parte. Classici esempi, uscendo dall’agone politico, sono Vittorio Sgarbi e Giuseppe Cruciani. Li conosco molto bene, personalmente, entrambi. Vittorio è un ragazzo molto dolce, docile, quasi umile, ma basta che si accenda un riflettore o siano presenti più di tre o quattro persone e diventa quello che conosciamo. Cruciani, della cui spavalderia e a volte blasfemia sappiamo, grazie alla Zanzara, è un uomo timidissimo.
Quindi direi che non è stato Papa Francesco a fare il miracolo. Il miracolo è che, almeno per un lasso di tempo, sia pur breve, questi uomini abbiano recuperato la propria umanità. Un miracolo laico quindi. Non religioso.
3 maggio 2025, il Fatto Quotidiano