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Appena eletto Donald Trump ha stabilito, con un ordine esecutivo, l’uscita degli Stati Uniti dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, seguito a ruota dal presidente dell’Argentina, l’iper-liberista Javier Milei piuttosto caro, a quanto pare, a Giorgia Meloni (al G20 di Rio de Janeiro del novembre 2024, breve stretta di mano a Lula, che pur era il padrone di casa e appresso il ritiro di una statuetta raffigurante Milei alla casa Rosada).

Siamo all’apice, per il momento, della crisi delle grandi Organizzazioni internazionali che avrebbero dovuto garantire pace e bene sulla terra. L’invasione all’Iraq (2003) fu fatta contro la volontà dell’Onu (650 mila morti), idem per l’aggressione alla Serbia del 1999 mentre l’Onu disse sì all’aggressione della Libia del colonnello Mu’ammar Gheddafi attraverso membri della Nato come Stati Uniti, Francia e la sudditanza politica dell’Italia di Berlusconi che con Gheddafi aveva ottimi rapporti.

In realtà dalla fine della Seconda guerra mondiale la posizione di “poliziotti del mondo” è stata presa dagli americani, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Durante la “Guerra fredda” la Russia, soprattutto sotto le presidenze di Eltsin e Gorbaciov, era diventata lo zerbino, anche culturalmente, degli Stati Uniti e l’aggressione all’Ucraina, parlando con voce di Putin, può anche essere letta così: se voi americani vi permettete di aggredire chiunque per i vostri interessi allora posso permettermelo anche io per quelli del mio Paese.

In mezzo sta un’altra grande Organizzazione internazionale in crisi, l’Unione Europea, che divisa in 27 Paesi, che non sono d’accordo su quasi niente di importante ma inflessibili sulle sciocchezze come mettere il tappo alle bottiglie di acqua minerale.

Esiste all’Aia un Tribunale speciale per sanzionare i “crimini di guerra” e i “crimini contro l’umanità”. Peccato che si siano sottratti a questo tribunale gli Stati Uniti (loro, si sa, non commettono mai crimini), la Russia, Israele e in un primo tempo, l’Ucraina. Però una certa efficacia le sanzioni di questo Tribunale ce l’hanno: nel senso che se un Capo di stato, poniamo Netanyahu, è ritenuto responsabile di questi crimini non può metter piede in nessuno dei 125 Paesi che vi aderiscono senza essere arrestato (anche se i cagasotto italiani, più americanisti degli americani, hanno detto, tramite Salvini, che se Netanyahu venisse in Italia “sarebbe il benvenuto” cosa che non può avvenire senza il consenso di Giorgia Meloni in contrasto con la sua sempre strombazzata “indipendenza nazionale”).

Nella sua sostanziale impotenza, poiché non ha un esercito, l’Onu ha perso anche la più modesta funzione di moral suasion. L’attuale segretario generale dell’Onu, il portoghese Antonio Guterres, ha chiesto più volte una maggiore ragionevolezza a Israele e all’esercito sionista che a Gaza e dintorni stanno facendo dei palestinesi carne di porco. Non si tratta solo dei 50 mila morti civili palestinesi, secondo Lancet 70 mila, un rapporto di cinquanta a uno rispetto ai 1300 civili israeliani uccisi da Hamas nell’ottobre 2023, ma del fatto che questa gente è stata ridotta alla fame e gli viene limitata la possibilità di curarsi perché uno degli obiettivi preferiti dell’Idf sono gli ospedali col pretesto che vi si nasconderebbero i guerriglieri di Hamas (non si contano i bambini morti per denutrizione, non si contano perché nessuno si è preso la briga di contarli). Naturalmente delle parole di Guterres Israele si è fatto un baffo. Anzi. Solo nell’anno 2024 sono stati uccisi in Palestina 178 “operatori umanitari” non solo delle Ong ma anche della Croce rossa internazionale e della Mezzaluna rossa. Ed è la prima volta che si spara sulla Croce rossa, eccesso che non era stato raggiunto nemmeno nella Seconda guerra mondiale dove i combattenti, nazisti compresi, rispettarono la neutralità di questa organizzazione che si occupa dei feriti di entrambe le parti.

La guerra all’Afghanistan talebano è stata forse l’unica a vedere concorde quasi tutta la maggioranza dei Paesi del mondo (dico “quasi” perché non vi parteciparono i Paesi latinoamericani, c’erano però americani, tedeschi, polacchi, albanesi, italiani cioè i Paesi occidentali, sull’onda dell’emozione causata dall’attacco alle Torri gemelle). Quando però ci si dovette render conto che i Talebani non c’entravano nulla con l’attacco alle Torri gemelle, l’Onu ritirò il suo avallo e l’operazione, a guida americana, prese il nome, vagamente irridente, di Enduring Freedom (“libertà duratura”). I civili afghani uccisi, civili cioè che non facevano parte delle forze combattenti talebane, sono stati, a seconda delle stime, dai 400 mila ai 700 mila, stime probabilmente in difetto perché agli occidentali non è mai fregato nulla degli afghani che, come si sa, non sono persone come tutte le altre. Quell’occupazione, durata vent’anni, finirà nella più umiliante delle sconfitte. Avrebbe potuto essere una lezione salutare perché dimostra che un popolo, se ha ideali per combattere, giusti o sbagliati che siano, è più forte del più forte e più vasto esercito del mondo.

Ma torniamo all’Onu. Che questa Organizzazione non potesse funzionare lo si poteva capire fin dall’inizio perché nel Consiglio di sicurezza siedono cinque Paesi che hanno diritto di veto (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina). In un famoso discorso all’Assemblea dell’Onu del 2008 Gheddafi denunciò questa sperequazione oltre a mettere seri dubbi sulla legittimità dell’occupazione occidentale in Afghanistan. E infatti per questo, anche se non solo per questo, verrà regolarmente fatto fuori nel 2011 nel più ignominioso dei modi, modi che avrebbero fatto orrore persino all’Isis (sodomizzato dai suoi antagonisti interni alla presenza delle truppe francesi). Quando Gheddafi era leader del Paese africano, la Libia era un Paese ordinato e sicuro, il rais si limitava ad avere una particolare attenzione per i componenti della sua tribù, i Warfalla e in prigione finivano pochissimi oppositori. Oggi basta un qualsiasi tagliagole libico, probabilmente legato all’Isis, Almasri, promosso dalle diplomazie e dalle opinioni pubbliche occidentali a “generale”, per far piombare in una grave crisi il governo italiano.

Io non credo ai Tribunali speciali per “crimini di guerra” o “crimini contro l’umanità” perché sono i tribunali dei vincitori, come furono, nell’immediato dopoguerra, i tribunali di Norimberga e di Tokyo che condannarono i generali nazisti e giapponesi e come ho scritto, a chiare lettere sull’Europeo in un articolo intitolato La legge dei vincitori (6.9.1986). Ma se questi tribunali avessero una vera consistenza dovrebbero essere impiccati al più alto pennone Barack Obama e Nicolas Sarkozy. Berlusconi no, perché nel frattempo è morto, anche se oggi si tenta di farne un santo insieme a Craxi e altri manigoldi della Prima Repubblica.

 

12 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano

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“Tu sei futuro” dice una fortunata pubblicità immaginando che il futuro grazie al Progresso ci darà se non proprio la felicità qualcosa di simile. Peraltro questo futuro orgiastico, come ho scritto altrove, arretra costantemente davanti a noi come a chi abbia la pretesa di raggiungere l’orizzonte. Per di più il futuro è un tempo inesistente, esiste il passato, esiste il presente, non esiste il futuro perché è indeterminabile. Noi pensiamo alla Storia, cioè al passato e al presente, come a una linea coerente che sia pure fra varie convulsioni, avanzamenti e retrocessioni, ci ha portato all’oggi. Ma il Futuro non ha niente a che vedere con le nostre immaginazioni.

Per fare un raffronto fra passato e presente prendiamo come linea di demarcazione la Rivoluzione industriale che ha di fatto segnato l’inizio della Modernità.

Cominciamo con le cose più semplici. Nevrosi e depressione nascono con la Modernità tanto che contemporaneamente nasce la psicoanalisi cioè il bisogno di frugare nel nostro inconscio per capire da dove hanno avuto origine queste depressioni e queste nevrosi. E Freud, alla fine della sua vita, ammise di non aver mai guarito nessuno perché l’inconscio è talmente complesso da risultare insondabile. Dostoevskij lavorando sull’inconscio, sul suo inconscio, ha scritto grandi romanzi (I demoni, I Karamazov) ma nemmeno lui è riuscito a chiarire che cosa mai sia l’inconscio. Del resto sul piano del pensiero, su quello sociologico, sui rapporti familiari e umani, avevano già detto tutto i Greci nelle loro tragedie. I Greci non credevano al Futuro, per loro la Storia è “il passato visto con gli occhi del presente” (Tucidide ripreso poi da Croce). Immaginavano quindi di vivere in un eterno presente come in contemporanea il pensiero buddista o, più tardi, Nietzsche (l’eterno ritorno dell’identico). In era illuminista i vari Kant, Hegel, Feuerbach si sono limitati a descrivere e a razionalizzare il presente. Quindi non mi pare che sul piano della cultura si siano fatti grandi passi avanti, ma piuttosto indietro. Con la sola eccezione di Heidegger che ha posto il fondamentale problema dell’ambiguità della Tecnica.

E’ grazie alla Tecnica che nel Novecento ci sono state due grandi guerre mondiali che hanno causato circa settanta milioni di morti. Ma anche la guerra che ha avuto e potrebbe ancora avere un’utile funzione perché scarica l’aggressività naturale che è in noi, in termini tradizionali non si fa più salvo rari casi circoscritti, è diventata una faccenda di droni e di missili supersonici, cioè un mestiere non per combattenti ma per “ingegneri dell’assassinio”. Ha perso la sua epica e anche la sua etica. La Tecnica ci ha portato vicini alla molto concreta possibilità di un conflitto nucleare cioè alla fine del mondo.

Sullo stesso piano di negatività, e anche più in alto, va messa la questione ambientale. Secondo un report del CNR del 2023 “la concentrazione attuale di CO2 ha superato i 420 ppm, segnando un incremento del 50% rispetto ai livelli ricostruiti alla fine del XVIII secolo”. Peraltro non c’è bisogno di tante statistiche. E’ evidente che più produciamo e consumiamo prodotti utili, ma anche assolutamente inutili, più inquiniamo. Siamo arrivati al punto che, in nome del progresso economico, noi non produciamo più per consumare ma consumiamo per poter produrre. Vale la pazzesca legge di Say, attivo fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento: l’offerta crea la domanda. Io posso mettere sul mercato della merda ma questa alla fine verrà acquistata (alleggerendo un poco: è quanto avviene con l’attuale televisione, i social e compagnia cantante).

Le due parole magiche sono innovazione e ricerca. L’innovazione, va da sé, ci porterà verso le “magnifiche sorti e progressive”. E’ l’innovazione ad aver creato la AI, l’intelligenza artificiale che soprattutto adesso, che si può autonomamente replicare, sta spossessando l’uomo della sua intelligenza.

Si fa ricerca su tutto, soprattutto in campo alimentare e medico per migliorare le condizioni della nostra vita, e si arriva a scoprire che la ricetta della nonna era più sana e più buona.

E’ indubbio che la medicina abbia fatto grandi passi avanti dai tempi di Ippocrate, ma è una conquista bifida perché, soprattutto in Occidente, ha creato una popolazione di vecchi e l’insospettabile Cesare Musatti, novantenne, ha detto: “vivere in un mondo dove la maggioranza della popolazione è vecchia mi farebbe orrore”.

Il Progresso, si dice, ha ridotto al massimo le disuguaglianze sociali. E’ falso. Le disuguaglianze fra le classi sociali sono aumentate sia all’interno dei singoli Stati sia a livello internazionale. Nel Medioevo, i cosiddetti “secoli bui”, popolato nella stragrande maggioranza da contadini e artigiani, ognuno aveva una casa e un lavoro, i mendichi rappresentavano l’uno per cento della popolazione ed era mendico chi voleva esserlo. Oggi, se viviamo a Milano, vediamo file interminabili davanti alla Caritas e alle Ong che si occupano di questa questione. In via Vittor Pisani, sempre a Milano, una via di portici e quindi favorevole ai clochard, le banche hanno messo davanti ai loro portoni dei blocchi di cemento perché i poveracci se ne stiano a debita distanza.

E’ vero che nel Medioevo c’erano i nobili che non lavoravano e non producevano. Ma i nobili avevano almeno un dovere: difendere il territorio. E infatti spariranno dalla scena quando affideranno Il mestiere delle armi (Ermanno Olmi) ai mercenari andando a fare, imbellettati e imparruccati, i bellimbusti a Versailles. La decadenza dell’Impero romano ebbe inizio quando i cittadini di Roma, debosciati dal benessere che avevano raggiunto grazie alle conquiste, non vollero più rischiare la pelle per difendere la Capitale.

In quanto alle tasse la “decima”, statale ed ecclesiastica, non è mai stata una vera decima perché di fatto non arrivava quasi mai a raggiungere gli abitanti dei villaggi dove la loro ripartizione era decisa dalla comunità del villaggio che decideva, a ragion veduta, del suo e sul suo perché su quel luogo ci viveva. Comunque anche ammettendo che sia esistita una vera decima si basava appunto su un decimo del patrimonio o del reddito. Oggi per redditi medi si arriva a pagare il 43 per cento di tasse il che vale, naturalmente, per l’uomo comune non per chi ha la possibilità di spostare, anche legalmente, i suoi capitali alle Cayman o alle Bermuda.

Anche la figura dell’imprenditore, nel frattempo, è cambiata. Prima c’erano i “padroni” cioè i proprietari che, se si pensa a Adriano Olivetti, ai Crespi, ai Pirelli, conservavano una certa vocazione umanistica. Oggi ci sono i manager non legati né all’azienda né al territorio per i quali spostarsi da un luogo all’altro è indifferente, si tratta solo di una questione di denaro. Parlando in senso più ampio Giovanni Botero, attivo nel Cinquecento - quando la ricchezza da immobiliare si stava spostando a mobiliare – notava che mentre gli antichi padroni erano legati al territorio e quindi alla nazione per i redditieri era assolutamente indifferente spostarsi da una nazione all’altra.

Infine lo Stato “il più freddo di tutti i mostri” (Nietzsche) si è impadronito delle nostre esistenze ed entra anche nelle questioni più intime delle nostre vite. Siamo dei sudditi, nient’altro che sudditi.

E questo lo chiamano Progresso.

 

8 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano

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Ero stato facile profeta quando il 16 dicembre del 2022 scrissi un pezzo per il Fatto intitolato “Né l’Ucraina né la Russia: sarà la Bosnia a saltare”. Sostenevo cioè che di lì a non molto sarebbe riesplosa la polveriera dei Balcani. Ed è quanto sta avvenendo.

Il premier serbo Milos Vucevic si è dimesso difronte a grandi manifestazioni popolari. I pretesti per le proteste sono motivate dall’”iper-nazionalismo” di Vucic, dalla corruzione della burocrazia, dall’appoggio alla Russia di Putin e alla Cina di Xi. Appare curioso che il nazionalismo di Belgrado sia considerato inaccettabile in sé e per sé, ma sia considerato ancor più inaccettabile quando si lega ai nazionalismi di Putin e di Xi. Ma la vera questione riguarda il Kosovo. Per una lunga parte del suo mandato Vucic ha cercato di entrare nell’Unione europea ma è stato respinto perché la Serbia non avrebbe i requisiti democratici (li ha l’Ucraina). Recentemente Vucevic ha cambiato rotta fino a sostenere la sovranità sul Kosovo. E non è certo per questo che i belgradesi lo contestano, ma per aver aspirato per troppo tempo all’ingresso nella Ue. La stragrande maggioranza dei serbi è filo-russa e contro la Ue. Ma per capire che cosa succede nei Balcani bisogna fare molti passi indietro.

La Jugoslavia è esistita come Stato dal 1918, inglobando popoli diversissimi, i croati, tendenzialmente fascisti, i serbi, tendenzialmente socialisti, i montenegrini, gli sloveni, la componente islamica. E’ stato un miracolo dell’Impero austro-ungarico e poi di Tito tenere insieme queste popolazioni così diverse e tendenzialmente antagoniste.

Ciò che mandò all’aria questa convivenza nonostante tutto, anche se con molte difficoltà, pacifica, fu il collasso dell’Urss nel 1991. Allora la Croazia chiese di staccarsi dalla Jugoslavia e di diventare uno Stato indipendente, cosa che gli fu concessa grazie all’appoggio della Germania e della Chiesa. A quel punto anche i serbi di Bosnia, uno Stato mai esistito, chiesero l’indipendenza o quantomeno l’unione con la madrepatria serba. Ma gli fu negata. A questo punto i serbi di Bosnia scesero in guerra e la stavano vincendo facilmente perché, a detta di chi si intende di queste cose, sul terreno sono i migliori combattenti del mondo prima della comparsa degli Isis. I serbi di Bosnia avevano l’appoggio della Serbia, ma anche i croati di Bosnia avevano l’appoggio della Croazia, in inferiorità erano invece gli islamici che ricevevano qualche sporadico aiuto dall’Iran. Per fermare questa guerra, il 14 dicembre 1995, particolarmente feroce perché tutti erano contro tutti e inoltre c’erano anche questioni personali da regolare dovuti ad antichi odi pregressi (si legga lo straordinario libro di Francesco Battistini e Marzio Mian Maledetta Sarajevo) a Dayton fu firmato un accordo di pace: firmarono Slobodan Milosevic, presidente della Serbia, il presidente della Croazia Franjo Tudjman, l’islamico Muhamed Sacirbey, leader della componente musulmana in Bosnia, e Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Unione europea. L’accordo prevedeva l’intangibilità delle frontiere, uguali ai confini fra le repubbliche di quel che rimaneva della Jugoslavia, e la creazione di due entità interne allo Stato di Bosnia che, come si è detto, a differenza di Croazia e Serbia, non era mai esistito come Stato, fu creato al momento dell’accordo e diviso in tre settori: federazione croato-musulmana e la Repubblica Srpska, serba. Ma nel frattempo era nata la questione Kosovo. In Kosovo, terra serba da sempre, considerata anzi la “culla della nazione serba” (“Il Kosovo è serbo e rimarrà sempre serbo”, Djokovic) gli albanesi, di religione islamica, erano diventati la maggioranza e combattevano la Serbia con atti terroristici com’è proprio di ogni resistenza. A questi atti rispondeva l’esercito regolare serbo appoggiato da formazioni paramilitari come le famigerate “tigri di Arkan”. Era quindi una questione interna allo Stato serbo che doveva essere decisa dal rapporto delle forze in campo ma gli Stati Uniti decisero che i serbi avevano torto e i kosovari indipendentisti ragione. Dopo i farseschi Accordi di Rambouillet, inaccettabili per la Serbia perché prevedevano non solo l’indipendenza del Kosovo ma anche una supervisione internazionale sulla Serbia (una “sfera d’influenza” per dirla con Danilo Taino) gli americani bombardarono per 75 giorni Belgrado, facendo 5500 morti, fra cui 500 kosovari albanesi, cioè quelli che pretendevano di difendere. Era la prima volta, dopo la fine della Seconda guerra mondiale che veniva bombardata una grande capitale europea. Aggiungo una colta capitale europea (Kusturica, Bregović, le università). Ma a chi fu data la colpa di quei morti, agli americani? Non sia mai. A Slobodan Milošević presidente della Serbia che fu trascinato davanti alla Corte penale internazionale per “crimini di guerra”. In particolare sotto accusa furono messi i suoi corrispondenti in Bosnia, Ratko Mladić e Radovan Karadžić colpevoli, fra le altre cose, dell’assedio di Sarajevo che sarebbe come incriminare Annibale per l’assedio di Sagunto. Storicamente in tutte le guerre l’assedio è stato uno degli aspetti di una guerra.

Il processo a Milošević cominciò con grandi strombazzamenti. Ma poi se ne persero quasi le tracce. Milošević, avvocato, si difese avendo buone carte in mano, era stato o non era stato uno dei firmatari degli Accordi di Dayton? Il presidente croato Tudjman, l’autore di una delle più grandi “pulizie etniche” dei Balcani, 800 mila serbi cacciati in un sol giorno dalle Krajine, morirà invece nel suo letto. Del resto questa pulizia etnica, con l’appoggio della Kfor, la forza internazionale di pace cui partecipano anche gli italiani, si è ripetuta in Kosovo dove i serbi da 300 mila che erano si sono ridotti a 60 mila.

Infine qualche dettaglio che però dettaglio non è. Mentre i croati furono responsabili, alla fine della Seconda guerra mondiale, delle foibe, l’Italia non ha mai avuto contenziosi con la Serbia. Anzi. Alla fine della Prima guerra mondiale a Belgrado si pubblicava un quotidiano titolato Piemonte perché i serbi, allora divisi, vedevano nell’Italia, che aveva raggiunto l’unità nel 1861, un esempio da seguire.

Io, che sono a metà russo, mi riconosco quindi nei serbi perché ne condivido in parte la lingua (il serbo è scritto in cirillico e molte espressioni sono identiche a quelle russe) ne condivido la cultura musicale (Bregović) e mi identifico nella loro vocazione alla sconfitta, ma soprattutto per le violenze che sono state fatte ai serbi dall’aggressione a Belgrado in poi (altro che Ucraina) ma ci metterei anche la cacciata della Jugoslavia dagli Europei di Svezia, una squadra meravigliosa (allora esisteva ancora Capodistria e abbiamo potuto vedere le partite di qualificazione che la Jugoslavia vinse tutte tranne una pareggiata) dove erano presenti Stojkovic, serbo, Savićević, montenegrino, Prosinečki, croato, Mihajlović, serbo, il basilare bosniaco Baždarević, regista e capitano, Boban, croato, che giocava ‘libero’, Jugović, serbo, mentre l’allenatore era Osim, bosniaco. Basta leggere i nomi e le provenienze di questi giocatori per comprende la complessità dei Balcani. Solo, come si è detto, l’Impero austro-ungarico e il maresciallo Tito seppero tenere insieme queste popolazioni diversissime. La violenza americana ha scompigliato tutto. Comunque io sto appassionatamente e perdutamente con Novak Djokovic, il più grande tennista di tutti i tempi insieme a Rod Laver: “Il Kosovo è serbo e rimarrà sempre serbo”.

5 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano