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Che cosa vi avevo detto della Svizzera? La Germania ha pareggiato solo all’ultimo minuto. Gli svizzeri sono fortissimi a centrocampo con Xhaka, un de Bruyne cui manca solo il tiro, e Freuler. In difesa hanno Akanji, centrale del City. Il problema della Svizzera è all’attacco, dove il centravanti è Embolo che era molto forte fisicamente a vent’anni ed è altrettanto forte fisicamente a ventisette, solo che in questi anni non ha imparato a giocare a calcio. Una sorta di Lukaku in chiave minore. I tedeschi soffrono di un’assenza e di una presenza. Sono un Bayern senza Robert Lewandowski, uno dei più formidabili bomber del calcio moderno: 683 gol in 997 partite, alla media di 0.69, alla pari o quasi ci sta van Nistelrooy, con 401 reti in 682 partite per una media di 0.58. Per trovare di meglio bisogna risalire a Puskas, con 704 reti in 720 presenze, per una media di 0.98. Puskas dopo l’aggressione sovietica del 1956 fuggì con altri della grande Ungheria e si rifugiò in Italia presso la Fiorentina. Ma, non essendosi potuto allenare, era diventato grassissimo. Fu preso comunque dal Madrid che giocò una finale col Portogallo, con i grandi Eusebio e Coluna. Andò avanti il Portogallo, pareggiò Puskas, tornò avanti il Portogallo, pareggiò Puskas. Arrivò a Puskas una palla sul cerchio del centrocampo, dribblò facilmente il centrale, che si chiamava, mi pare, Santamaria, e si involò verso la porta. Ma c’erano almeno cinquanta metri da fare, Puskas arrivò davanti al portiere, segnò e poi si accasciò oltre la linea. La partita finì 5-3 per il Portogallo.

La presenza negativa è quella di Toni Kroos. Saggiamente si era ritirato dopo la finale di Champions vinta dal Real Madrid (sono almeno dieci anni che il Madrid ha culo) dove era curato dall’austriaco Sabitzer che gli tolse ogni linea di passaggio e, non bastandogli, spadroneggiò per tutto il campo.

Anche la Svizzera ha un problema, ma non riguarda i giocatori ma l’allenatore Murat Yakin. Ai recenti Mondiali in Qatar la coppia centrale di difesa era formata da Akanji e Nico Elvedi, centrale del Borussia Moenchengladbach, e si portò molto bene: 1-0 col Camerun, 0-1 col Brasile e 3-2 con la Serbia. Ma nella partita col Portogallo a Yakin venne la geniale idea di sostituire Elvedi, che ho visto annullare Lukaku, e non era difficile, ma anche Haaland, ed era meno facile, con un giocatore secondo lui più propositivo. Risultato: 6-1 del Portogallo.

Anche il Belgio di de Bruyne ha il suo problema. E si chiama Romelu Lukaku, che è capace di sbagliare tre gol solo davanti al portiere. Come si fa a sbagliare tre gol soli davanti al portiere? Si tira addosso al portiere, elementare Watson. Ripetendo un’impresa fatta in precedenza quando, servito da de Bruyne, attualmente il miglior assistman del mondo, sbagliò tre gol solo davanti al portiere. Ma è mai possibile che nessuno dei commentatori riesca a non dire mai la verità e cioè che Romelu Lukaku è una pippa?

Il livello di questi Europei è infimo. Non c’è una squadra che emerge. La Spagna certo, ma giocava contro nessuno, cioè un’Italia che così scombicchierata non si poteva nemmeno immaginare. Ma anche la Spagna ha un suo problema che si chiama Alvaro Morata, molto discusso in terra iberica e che del resto, giocando per la Juventus, non ha mai dato grandi dimostrazioni di sé.

Questi Europei, dicevo, sono di un livello molto basso. Ma non è che non siano divertenti, soprattutto quando giocano le piccole squadre che, non avendo nulla da perdere, ce la mettono tutta. Quando giocano le grandi squadre la musica cambia. Il confronto fra Francia e Olanda era ritenuto uno dei più interessanti della competizione. Ma la Francia, comportandosi come una squadra che debba salvarsi dalla B, ha congelato il gioco. È stata, contro le aspettative, una delle partite più noiose del torneo.

Contro la Croazia l’Italia può farcela. Scrivo naturalmente prima della partita decisiva di stasera perché la Croazia è il cimitero degli elefanti, con Modric, 38 anni, Perisic, 36 anni, Brozovic, 31 anni, che furono grandi, soprattutto Modric, ma in un’epoca pleistocenica.

Sui serbi non si può mai fare alcun affidamento. Hanno fra i migliori giocatori nei campionati europei ma prima delle partite si ubriacano e vanno a puttane. La Serbia fu grande quando c’era ancora la Jugoslavia. Durante le eliminatorie per gli Europei di Svezia aveva vinto tutte le partite, salvo una pareggiata. Noi la vedevamo su Capodistria. In formazione c’erano Stojkovic, serbo, uno dei migliori 10 degli ultimi trent’anni (quando il Guerin Sportivo mi chiese di fare un ritratto di un giocatore avvertendomi che i più grandi, Maradona e Pelè, erano già stati gettonati, io dissi: faccio Stojkovic). C’era Savicevic, montenegrino, Boban, croato, che faceva il libero, Prosinecki, croato, grande mediano, e a regolare il gioco c’era il fondamentale bosniaco Bazdarevic cui toccava calmare i bollenti spiriti dei compagni, tutti votati all’attacco. C’era con l’11 Mihajlovic, serbo, il centrale era Djukic, serbo. I ragazzi erano già in Svezia ma furono bloccati, per la storia del Kosovo, da una decisione dell’Onu su spinta degli americani. Infuriavano allora le guerre balcaniche, ma sarebbe bastato darle una bandiera neutra. Per me quella fu una tragedia emotiva. Non potevo giocare la Jugoslavia perché non c’era, ma nemmeno la Danimarca, proprio perché aveva sostituito la Jugoslavia essendo arrivata seconda nel girone. I ragazzi danesi erano già al mare e pensavano a tutt’altro, eppure vinceranno quegli Europei. Con tanti saluti a quei teorici del calcio che sostengono che le partite si vincono prima di giocare, con l’allenamento ossessivo. Così cominciai a puntare Danimarca, che a me è sempre piaciuta, solo dai quarti. La Danimarca vincerà poi gli Europei ai rigori contro l’Olanda dell’odioso van Basten (che detestava van Nistelrooy perché temeva che lo superasse in popolarità). Ai rigori van Basten sbagliò, segnò invece il Carneade Christofte. Van Basten era allenatore nei Mondiali del 2006. L’Olanda affrontava il Portogallo che stava vincendo 1-0. A venti minuti dalla fine ci fu movimento sulla panchina degli olandesi. Tutti eravamo convinti che schierasse van Nistelrooy, che in due partite aveva la colpa di aver fatto un solo gol, media 0,5. Invece chi schierò lo sciagurato van Basten? Hennegoor von Hesselink, un giocatore del Celtic dai nobili lombi ma scarsissimo. Nella partita successiva con la Russia l’Olanda stava perdendo. Ma fu salvata all’ultimo minuto, su un calcio d’angolo, “con un gol del suo grande attaccante” come scrisse la Gazzetta. Ma l’Olanda, nella successiva partita, finì ugualmente fuori perché van Basten aveva schierato una squadra totalmente malmessa, mi ricordo un filiforme Engelaar a centrocampo. Dopo quell’esperienza van Bommel, che giocava nel Milan, disse a van Basten: finché sarai tu il Ct dell’Olanda io non giocherò più in Nazionale. Van Nistelrooy fu acquistato dal Real Madrid. Nel Madrid imperversava Cristiano Ronaldo che, come suo solito, non passava mai la palla, soprattutto a Benzema che era il centravanti. Alla prima occasione, non essendoci l’ingombrante Cristiano Ronaldo, van Nistelrooy ne prese il posto e passò la palla a Benzema che segnò. Poi segnò lui ma vidi che non esultava. Si è infortunato, mi disse Matteo che sedeva accanto a me. E così finì l’epopea di van Nistelrooy al Madrid, perché nel calcio, come nella vita, bisogna avere, al di là delle tattiche, come dice una pubblicità che passa in questi giorni su Sky, soprattutto culo.

Il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2024

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Fino a un paio di anni fa ricevevo, di quando in quando, una telefonata di questo tenore: “Sono Renato”. “Renato chi?” chiedevo. “C’è un solo Renato”. Ritrovavo così il Vallanzasca spavaldo e beffardo noto anche per questo aspetto, e non solo per i suoi delitti, al grande pubblico ma che io conosco meglio avendolo frequentato personalmente nei rari momenti di libertà. Andavo a trovarlo a casa sua, in uno squallido quartiere vicino al cimitero di Musocco, squallido era anche l’edificio ma l’abitazione era arredata con cura e direi anche con una certa eleganza. Mi accompagnava una giornalista del Giorno che l’aveva anche ospitato, rischiando grosso, durante una delle sue sette evasioni. Si era innamorata di Vallanzasca. Non si contano le ragazze, le donne che si sono innamorate del bel Renè, e non per il solito fascino del Male ma perché Vallanzasca era un ragazzo, un “puer aeternus” mi verrebbe da dire, molto simpatico, ironico, autoironico, divertente. Mi raccontò, per fare un esempio, che durante uno di questi permessi, comunque sorvegliatissimo dalla polizia, era salito su una bicicletta ed era caduto subito perché non ci sapeva più andare. Lui che per narcisismo, ma anche per una naturale joie de vivre, aveva guidato le macchine più lussuose, dalle Ferrari alle Porsche.

Ora di quelle telefonate è un bel po’ che non ne ricevo più. All’epoca in cui lo incontravo non era più il “bel Renè”, aveva uno sfregio sulla faccia e, mi parve, un occhio offeso perché Vallanzasca fin quasi dall’infanzia ci vedeva con un occhio solo, cosa strabiliante se si pensa alla sua mira micidiale che tante volte gli ha permesso di vincere le partite in campo aperto a guardie e ladri con la polizia (“Se di notte è inseguito spara e centra ogni fanale, Sante il bandito ha una mira eccezionale”, De Gregori, Il bandito e il campione, 1993).

Nel giugno dell’anno scorso la prima moglie di Vallanzasca, Antonella D’Agostino, ha scritto una lettera all’Ansa che vale la pena riprendere qui. “Quanto deve pagare ancora? Dopo cinquant’anni di carcere e una condizione di salute precaria, anzi peggio. Rifiutare le misure alternative a Renato Vallanzasca significa non solo condannarlo al carcere a vita, cosa che è già avvenuta, e all’impossibilità di vivere uno stralcio di normalità, ma anche umiliare un uomo ormai ridotto all’ombra non di quello che era, ma di quello che tutti hanno pensato che fosse. Ha vissuto otto anni in semilibertà e poi ai domiciliari senza fare niente di male. E quando portò via quelle mutande dal supermercato capii che nel suo cervello qualcosa aveva cominciato a non funzionare… Non voglio santificare chi ha vissuto da criminale. I veri criminali li ho conosciuti, quelli che frequentavano la Milano da bere. Niente a che vedere con lui. Altra stoffa. Loro sono morti ricchi sfondati (quando sono morti, ndr) lui marcisce in galera senza avere i soldi per le sigarette, senza capire più dov’è”.

Della lettera della D’Agostino mi interessa in particolare là dove dice: “I veri criminali li ho conosciuti, quelli che frequentavano la Milano da bere. Niente a che vedere con lui. Altra stoffa”.

Altra stoffa, dice la D’Agostino. Perché Vallanzasca, se mi si passa il termine, è a suo modo un bandito leale, un bandito onesto. Non si è mai reso responsabile di ripugnanti agguati sotto casa, alla Sofri, per intenderci, e questo ‘vizietto’ riguardava molti suoi compagni di Lotta Continua il cui giornale pubblicava le foto, gli indirizzi, i percorsi, le abitudini di “fascisti” o presunti tali, cinque dei quali sono rimasti in sedia a rotelle e uno ne è morto. Ma Sofri, dopo aver scontato sette anni dei ventidue che gli erano stati comminati per l’omicidio del commissario Calabresi, oggi è libero come l’aria e per un certo periodo è stato editorialista de La Repubblica, il più importante quotidiano di sinistra (dovette andarsene solo perché direttore era diventato Mario Calabresi, figlio del commissario) e del principale settimanale di destra, Panorama. Insomma è stato promosso editorialista, per meriti penali suppongo.

Vallanzasca non merita pietà, merita rispetto. Perché si è sempre assunto le proprie responsabilità, non ha mai dichiarato di essere una vittima della società. Quando il giorno della sua prima cattura fu portato in manette sul balconcino di una casa di Roma - perché questi qui li esibiscono in manette, per i Toti e tutti i furfanti di Mani Pulite si invoca o si è invocato l’intervento di Amnesty International - e un giornalista gli chiese appunto: “Vallanzasca, lei si ritiene una vittima della società?” lui rispose: “Non diciamo cazzate!”.

Alla parola di Vallanzasca si può credere se afferma che una rapina non l’ha fatta lui. D’altro canto ha scagionato parecchi malavitosi attribuendosi i reati per i quali erano stati sbattuti in galera e fornendo ai giudici, che non ci pensavano più, le prove di averli commessi. Mi piace riprendere un segmento del ritratto che ne feci nel 1987 in un articolo intitolato ‘Il bel Renè, bandito d’altri tempi’: “Ho saputo che tre ragazzi hanno confessato due o tre rapine: la rapina di Milano 2, di Pantigliate e di Seggiano. Possono averle confessate solo con le botte. Solo così possono averlo fatto. Io categoricamente posso dire che loro non c’erano. Perché c’ero io. Posso mandare, per provarlo, le fascette delle banconote o la pistola del metronotte. C’è il caso di un ragazzo accusato di una rapina che ho commesso io sei anni fa. Il ragazzo si chiama Elio Lanzani ed è soprannominato Ciarùn perché una volta faceva le danze coi coltelli. La rapina avvenne in viale Corsica. Elio non è uno stinco di santo, ma quella rapina non l’ha fatta lui, l’ho fatta io”.

È singolare che in un Paese di gentiluomini si possa fare più affidamento sulle parole di un bandito. Il fatto è che, per qualche straordinario accidente, si sono conservati in Renato Vallanzasca, nonostante la sua vita violenta e criminale, alcuni valori propri di quella vecchia Milano, la Milano della Comasina e di Affori da cui proviene: lealtà, dignità, un popolano sense of humour. E soprattutto rispetto di quelle regole del gioco che oggi tutti violano nella società civile e quindi anche in quel suo riflesso malato che è la malavita. Se infatti oggi la mafia, la ‘ndrangheta, la criminalità finanziaria, la delinquenza comune sono ormai giungla disordinata e caotica senza regole d’onore, neanche malavitose, è perché non sono altro che lo specchio della società civile (una malavita senza onore e dignità può essere solo il prodotto di una società senza onore e dignità). Vallanzasca invece è un bandito che riflette una società di altri tempi. È un bandito onesto in una società dove, troppo spesso, gli onesti sono dei banditi.

“Non diciamo cazzate!”. Io, lo confesso, l’avrei graziato solo per questo. E, a suo tempo, ho inoltrato formale domanda di grazia a un paio di Presidenti della Repubblica, visto che sono stati graziati soggetti moralmente molto peggiori di lui, la Fiora Pirri Ardizzone dei principi di Pandolfina, per esempio (presidente Pertini).

Adesso, anche contando sul fatto che Giorgia Meloni è un po’ più umana, sarebbe inutile dopo 52 anni di galera, undici dei quali passati col 41bis o ai famigerati ‘braccetti’.

Vallanzasca muore insieme a un mondo che non c’è più.

Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2024

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L’Italia è un Paese davvero sbalordente, nel senso che riesce sempre a sbalordire, a stupire. Si è saputo che la nave che doveva alloggiare 2500 agenti di polizia addetti alla sicurezza del G7 è risultata marcia fino al midollo, i liquami dei cessi arrivavano fino alle cabine. Eppure c’era stata un’ispezione preliminare che non aveva riscontrato nulla di anormale. Dice Pietro Colapietro, segretario generale del Silp-Cgil: “Sul posto non ho visto nemmeno un parlamentare, né di maggioranza, né di opposizione”.

Ma come, noi siamo sotto gli occhi di tutto il mondo come organizzatori del G7 e ci esponiamo a una figuraccia del genere, peraltro sapientemente occultata dai media, di maggioranza e di opposizione? Dice ancora Pietro Colapietro che bisogna cercare e trovare i responsabili politici di questo disastro di immagine. Il primo è sicuramente il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi. Ma c’è anche la responsabilità del premier, Giorgia Meloni, che doveva controllare meglio le cose. Ho l’impressione che la premier, essendosi abituata fin qui a vincere tutte le partite, con merito, devo dire, abbia perso il contatto con la realtà, avvoltolandosi nella pericolosa convinzione di avere sempre ragione, anche perché intorno ha degli yes-men che non hanno né il coraggio né la voglia di contraddirla. Pericolosa convinzione, dicevo, perché è stata decisiva nella caduta di altri personaggi di ben diversa caratura politica, da Benito Mussolini a Bettino Craxi.

Meloni si è poi esaltata perché il suo “Piano Mattei”, coordinato con altri piani consimili, è stato accettato con entusiasmo dai leader occidentali del G7. E lo credo bene, perché il Piano Mattei e consimili sono un modo per rapinare ulteriormente l’Africa. Eni ed Enel non sono, notoriamente, agenzie di beneficenza e non è certamente un caso che i leader degli Stati africani oggetto di questo interesse non siano stati nemmeno consultati. Non c’è niente di più turpe e squallido di chi maschera le proprie rapine con la scusa di fare beneficenza. L’Africa Nera non ha bisogno di alcun aiuto peloso, ha bisogno solo che chi vi ci si è accampato si tolga dai piedi. All’epoca di un summit organizzato dal primo G7, quello in cui non c’era ancora la Russia che poi è entrata in questo Empireo per esserne di nuovo cacciata dopo la guerra all’Ucraina, i sette paesi africani più poveri del mondo con alla testa il Benin organizzarono un contro-summit al grido: “Per favore non aiutateci più!”.

Ma c’è chi va più in là, c’è chi sostiene che questo G7 è stato organizzato per definire una nuova organizzazione planetaria ai danni non solo dell’Africa ma dei Paesi del Centro e Sud America. C’è un’organizzazione che ha manifestato pacificamente sostenendo questa tesi. Non ne ricordo il nome perché anche questa manifestazione è stata accuratamente occultata. E in fondo l’opinione più onesta su questo G7 l’ha espressa la Cina, che pur sta invadendo l’Africa economicamente ma almeno senza darsi le arie del benefattore. Il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Lin Jian, ha bollato il G7 con queste parole: “Pieno di arroganza, pregiudizi e menzogne”.

Gli Stati Uniti devono rassegnarsi, il Novecento è stato il “secolo americano”, il Duemila, nonostante tutte le loro guerre - guerre tutte venute in culo all’Europa e le loro pretese totalitarie in campo economico - sarà di altri: o della Cina o dell’Islam o dell’Isis. Un penny al lettore che indovina per chi sto io.

Ps. Che cosa vi avevo detto della Svizzera? Ha dato tre pappine all’Ungheria del “calcio relazionale” di Marco Rossi (“calcio relazionale”, non ci mancava che questa, in fondo il calcio, a dispetto degli allenatori che si credono degli dèi scesi provvisoriamente in terra, è una cosa semplice). Il risultato della Svizzera io l’avevo pronosticato prima della partita, ho un Supertestimone: Marco Travaglio. Infine è inutile che i giornali riempiano le loro pagine col G7 o altre stronzate del genere, cosa che sto facendo anch’io, perché ai lettori interessano solo gli Europei. A subire questo interesse sono soprattutto le donne che vengono ricacciate nel loro gineceo. A una donna bennata il calcio non interessa. Se invece si interessa al calcio va inserita nella lista LGBT.

Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2024