0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

“La bocca mi baciò tutto tremante”, Dante, Inferno, V.

La bocca è la parte più desiderabile della donna. Perché racchiude in sé l’amor sacro e l’amor profano: il sentimento e la sensualità. Partecipa cioè di una doppia natura: da un lato infatti, come elemento del viso, fa parte della sfera intellettuale e spirituale della donna, dall’altro è un organo dei sensi. Per questa felice sintesi la bocca è la sede dell’amore inteso nella sua interezza e il bacio è il primo segno, ma già completo, del possesso. Una donna diventa la “tua” donna quanto ti dà il primo bacio. Se invece lei ti nega la sua bocca ti nega tutta se stessa. E se si concederà altrimenti sarà un corpo senz’anima quello che offrirà. Non è certamente un caso che le prostitute non bacino e non si lascino baciare. Perché la bocca coinvolge la sfera affettiva che è estranea al rapporto mercenario e anche a quello puramente sessuale. Tanto che quando i due sono impegnati nell’amplesso non si baciano più, la faccenda è diventata meramente fisiologica.

La bocca è “eros”, ma senza sesso. Anche per questo è così desiderabile e desiderata. Perché pur non essendo affatto platonica non ha le implicazioni, le complicazioni, i rischi, la crudezza del sesso. C’è nella bocca una delicatezza, un’ambiguità sconosciute ad altre parti del corpo femminile. La bocca è pura senza essere casta, non è innocente, anzi è tremendamente coinvolgente ma non porta le cose alle estreme conseguenze. Pur delibandolo conserva intatti il mistero, il fascino, le speranze, le sorprese, le illusioni dell’amore. E’ il suo sabato del villaggio.

La bocca si colloca in un singolare spazio intermedio fra eros e sesso. Non è puramente intellettuale come l’eros, non è solamente fisica come il sesso. Se l’erotismo parla alla mente e il sesso al corpo, è il cuore che parla attraverso la bocca.

Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, cioè dell’intelligenza o della stupidità, la bocca lo è della sensibilità (“bocca sensibile” si dice infatti di una bocca significativa). La bocca svela, più di ogni altra parte del corpo, i nostri sentimenti. Parla anche quando sta zitta (anzi soprattutto quando sta zitta, non c’è nulla di più atono di un chiacchierone) esprime l’amarezza, il dolore, la gioia, la sorpresa, la delusione, la noia, il disprezzo, l’ammirazione, il broncio, il turbamento, la malizia, in ogni loro possibile sfumatura. E’ davvero sorprendente quanti tasti possono toccare queste due semplici linee, le labbra, aiutate da quei bemolle o diesis che sono le pieghe che si formano ai loro lati.

Però non sono più molte oggi le donne che sanno esprimersi con la bocca. Per lo più la usano per parlare, il che naturalmente è un loro diritto, forse anche una conquista, ma ha come prezzo la perdita dell’antico gioco delle allusioni, delle cose non dette ma appena accennate, suggerite, intravedute. Inoltre poiché sono delle insopportabili chiacchierone, assatanate di gossip, al compagno o marito viene spesso quella che si chiama “la sordità relativa”.

La stessa cosa si può dire per il sorriso. Le donne di oggi non sorridono più. Non possono infatti essere considerati sorrisi, ma piuttosto un modo di mostrare i denti, quelli stereotipi, da foto di gruppo, esibiti oggi dalle donne quando vogliono presentarsi in maniera accattivante. Le show-girl e le miss ne sono il prototipo. Che si pensi che questo sorriso a bocca aperta, pubblicitario, falso, inespressivo, possa essere seducente è una delle tante manifestazioni dell’idiozia di una società che ha perso il gusto del mistero e del silenzio, che conosce solo il fracasso e applaude persino i suoi morti. Allo stadio gli arbitri fanno fatica a mantenere il classico “minuto di silenzio” quando si vuole commemorare qualcuno e qualche direttore di gara, prudentemente, lo ha ridotto da autorità a mezzo minuto perché c’è sempre un cretino, maschio, che sente il bisogno di dire una sua stronzata.

Le donne se non sorridono più in compenso ridono. E il riso è rumoroso, diretto, esplicito, quasi brutale, laddove il sorriso è silenzioso, sfumato, ambiguo, indefinibile, profondo, misterioso e quindi stuzzicante, quanto l’altro è dichiarato, sguaiato, sfacciato, superficiale e pertanto poco interessante. E’ curioso come le donne, da sempre maestre in queste cose, abbiano dimenticato il fascino del sorriso (il “desiato riso” di Dante e il “dolce riso” di Petrarca sono in realtà dei sorrisi). Il fatto che generazioni di uomini si siano affaticati sul sorriso della Gioconda, il sorriso per eccellenza appunto perché indefinibile, dovrebbe farle riflettere (Naturalmente, come in ogni vicenda umana, ci sono delle eccezioni. Alla Festa del Fatto due belle ragazze per proteggermi col loro ombrello dall’acquazzone si sono bagnate come pulcini. Avevano un bellissimo sorriso, quasi complice. Ah come ho rimpianto di avere l’età che ho, con quarant’anni di meno ci avrei provato, senza cavar un ragno dal buco naturalmente, ma avrei almeno potuto provarci. Questi, caro Marco, seduttor cortese, sono i tormenti non del giovane Werther ma di chi, sulla sponda opposta, non ha ancora raggiunto l’ambigua ‘pace dei sensi’, “porco uno, porco due, porco tre”, Gino Bramieri).

La bocca esprime, oltre ai sentimenti del momento, anche il carattere della donna: la dolcezza, la docilità, la capricciosità, la testardaggine, la durezza, l’aggressività, la sfrontatezza, la pignoleria. E’ perlomeno bizzarro che la cosmesi e addirittura la chirurgia tentino di modificare la bocca della donna. E’ come appiccicarle un carattere che non ha. A furia di ritocchi la bocca della donna moderna è diventata troppo perfettina,  standard, priva di personalità. Ed è troppo piena di denti, altrettanto perfetti e ben allineati. E’ una bocca che sembra fatta per mordere più che per baciare.

27 Settembre 2024, Il Fatto Quotidiano

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Nostalgia non della Champions League già diventata “la vecchia Champions League” a causa dei cambiamenti introdotti dall’UEFA, ma della vecchia cara e mai troppo rimpianta Coppa dei Campioni. Prima dell’inizio della competizione, io seguivo Juve-PSV Eindhoven, partita noiosissima con un PSV irriconoscibile con vecchie rozze come l’anziano Luuk de Jong (che non è Frankie De Jong che gioca nel Barça) in studio i commentatori di Sky, fra cui oltre all’insopportabile Paolo Condò, per fortuna c’erano Boban e Fabio Capello il mister di tutti i mister, hanno cercato di spiegare la nuova formula. Io non ci ho capito niente, ma ho capito che ci saranno molte più partite e quindi più business. Inoltre con questa nuova formula, praticamente a campionato, è pressoché impossibile che squadre minori possano arrivare alla finale, come fu per la Stella Rossa di Belgrado nel 1991, che la vinse, o la Sampdoria, nel 1992, che la perse, quando c’era ancora la Coppa dei Campioni.

Molti grandi atleti, da Kevin De Bruyne a Upamecano a Alisson, si sono espressi contro questa nuova formula perché usura i calciatori ancor più de “la vecchia Champions”. Non ci si può poi meravigliare se i ragazzi si rompono di continuo per cui le grandi squadre devono avere a disposizione una rosa di riserve che sono all’altezza dei titolari e questo lo possono fare i grandi club, non i piccoli, per cui è vero che c’è una maggiore presenza di squadre minori (si qualificano alla nuova Champions anche squadre che sono arrivate quarte nel loro campionato) ma queste non hanno nessuna possibilità non dico di arrivare in finale ma nemmeno ai quarti.

Alla vecchia Coppa dei Campioni partecipavano le squadre che avevano vinto il loro campionato, per cui in uno scontro diretto, andata e ritorno, poteva vincere chiunque dato che, come si dice, “la palla è rotonda”. Mi ricordo di aver preso il Lugano vincente contro l’Inter in Coppa UEFA (gioia immensa).

Dal 2022, a complicar le cose, sono possibili cinque sostituzioni per cui i protagonisti non sono più i calciatori ma l’allenatore con la sua capacità tattica (nostalgia del “gol dello zoppo”).  Così gli allenatori considerandosi ormai degli Dèi possono combinarne di ogni. Un esempio è il troppo mitizzato Guardiola. Guardiola pensa che se la sua squadra vince, il Manchester City, che vincerebbe anche se lo guidassi io, è tutto merito suo per cui detesta i grandi calciatori che ha in squadra in particolare Kevin De Bruyne, il più grande assistman degli ultimi anni, perché può fargli ombra. In una partita ho visto schierare De Bruyne centravanti e Guardiola ci ha messo venti minuti per capire che doveva riportarlo al suo posto, che è dietro le punte.

Nella partita Juve-PSV zeppa di tatticismi, di schemi, 4-2-3-1, 4-3-3, chi commenta la partita non ti dà le formazioni (ah la musicalità del “Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso”) dà i numeri, “dà i numeri” cioè è fuori di testa. C’è stato un solo episodio umano in questa partita, il portiere titolare del PSV ha lasciato la squadra per assistere la moglie incinta con la riprovazione dell’intero Studio. C’è un precedente. Nel 2006 Ruud van Nistelrroij, appena acquistato dal Madrid, voleva disertare la prima partita della Liga per assistere la moglie incinta, una mossa rischiosa perché puoi ben chiamarti Van Nistelrooij ed essere costato 15 milioni, ma se poi chi ti sostituisce fa tre gol, rischi il posto, tanto più che l’allenatore del Madrid era il ‘sergente di ferro’ Fabio Capello che cose di questo genere non le tollerava (si sbarazzò di un talento purissimo come Antonio Cassano detto “el gordo” proprio perché si concedeva troppe distrazioni e ingrassava. Cassano ingrassava ma disse una cosa giusta: “tutte le volte che vinciamo è merito di Ruud, tutte le volte che perdiamo è colpa nostra” e Capello lo ebbe in antipatia anche per questo). La moglie di van Nistelrooij partorì prima del previsto e Ruud la mattina del match si precipitò al campo. Capello lo guardò negli occhi e disse: “tu oggi giochi”. Segnò tre gol e così iniziò l’epopea di van Nistelrooij al Madrid (“se van Nistelrooij sarà ‘Pichichi’, capocannoniere, della Liga il Madrid vincerà il campionato” scriveva La Gazzetta dello Sport). Spiace che Fabio Capello soprattutto parlando di una squadra olandese come il PSV non ricordi van Nistelrooij che gli ha fatto vincere un campionato con una squadra scarsissima dove di validi c’erano solo il portiere Iker Casillas, detto non a caso “san Iker” e un giovanissimo Sergio Ramos, c’erano invece giocatori inesistenti come Gago e Higuain. Quando lo dissi a una trasmissione di Fulvio Collovati, cinquantenne, con un fisico ancora perfetto, Collovati si sorprese e disse “ah questi intellettuali” intendendo che era strano che gli intellettuali si interessassero di calcio. Ora un intellettuale che non si interessa di calcio non è un intellettuale ma un bolso, uno moscio, uno che non ha mai vissuto. Avete mai letto in un editoriale di Angelo Panebianco un accenno al calcio?

Parlavamo dianzi della musica. Oggi allo stadio, per non parlare della tv, prima della partita o addirittura quando c’è un gol si fa musica con improbabili cantanti pescati chissà dove. “Il calcio non è una discoteca” ha detto, giustamente, qualcuno.

Questa fagia di calcio finirà per distruggerlo, che è la conseguenza di ogni eccesso in qualsiasi ambito. Perché, per contrasto, crea disaffezione e disinteresse. In Europa gli abbonamenti alle pay tv sono in costante calo. Secondo Findomestic “Il 34% degli italiani non segue direttamente le partite, ma si limita a tenersi aggiornato sui risultati attraverso altri mezzi di informazione, web, tv, social, giornali”. Mio figlio, Matteo, che ha giocato a calcio e ha anche allenato, si comporta così, legge solo La Gazzetta, la mattina. Rimaniamo noi vecchi che, seppur disgustati da questo nuovo calcio diventato tutto economico, continuiamo a seguirlo. Perché quando eravamo ragazzi per noi c’era solo il calcio (oltre all’altro sport nazional popolare, il ciclismo) perché il tennis era cosa da ricchi o da raccattapalle e il basket troppo americano. Solo Mughini della mia generazione non giocava a calcio, faceva le parallele, l’ha scritto lui. Ma noi vecchi moriremo, finalmente, e non saremo sostituiti. Così gli apprendisti stregoni che oggi dominano il calcio ridotto quasi solo a business avranno realizzato, è il caso di dirlo, l’ennesimo autogol.

24 Settembre 2024, il Fatto Quotidiano

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Il mitico Winston Churchill era per l'eugenetica, cioé il miglioramento della razza attraverso la sterilizzazione dei soggetti deboli, fragili, psichiatricamente compromessi. In fondo il vecchio Adolf si limitava a voler accoppiare bei ragazzi tedeschi a ragazze tedesche altrettanto belle.

Il mitico Winston Churchill si oppose all'indipendenza dell'India dall'Impero britannico perché l'India, con la sua suddivisione in caste, non era democratica. Insomma aveva il culto della "cultura superiore" che tanti danni e centinaia di migliaia di morti ha provocato.

m.f.