Fino a un paio di anni fa ricevevo, di quando in quando, una telefonata di questo tenore: “Sono Renato”. “Renato chi?” chiedevo. “C’è un solo Renato”. Ritrovavo così il Vallanzasca spavaldo e beffardo noto anche per questo aspetto, e non solo per i suoi delitti, al grande pubblico ma che io conosco meglio avendolo frequentato personalmente nei rari momenti di libertà. Andavo a trovarlo a casa sua, in uno squallido quartiere vicino al cimitero di Musocco, squallido era anche l’edificio ma l’abitazione era arredata con cura e direi anche con una certa eleganza. Mi accompagnava una giornalista del Giorno che l’aveva anche ospitato, rischiando grosso, durante una delle sue sette evasioni. Si era innamorata di Vallanzasca. Non si contano le ragazze, le donne che si sono innamorate del bel Renè, e non per il solito fascino del Male ma perché Vallanzasca era un ragazzo, un “puer aeternus” mi verrebbe da dire, molto simpatico, ironico, autoironico, divertente. Mi raccontò, per fare un esempio, che durante uno di questi permessi, comunque sorvegliatissimo dalla polizia, era salito su una bicicletta ed era caduto subito perché non ci sapeva più andare. Lui che per narcisismo, ma anche per una naturale joie de vivre, aveva guidato le macchine più lussuose, dalle Ferrari alle Porsche.
Ora di quelle telefonate è un bel po’ che non ne ricevo più. All’epoca in cui lo incontravo non era più il “bel Renè”, aveva uno sfregio sulla faccia e, mi parve, un occhio offeso perché Vallanzasca fin quasi dall’infanzia ci vedeva con un occhio solo, cosa strabiliante se si pensa alla sua mira micidiale che tante volte gli ha permesso di vincere le partite in campo aperto a guardie e ladri con la polizia (“Se di notte è inseguito spara e centra ogni fanale, Sante il bandito ha una mira eccezionale”, De Gregori, Il bandito e il campione, 1993).
Nel giugno dell’anno scorso la prima moglie di Vallanzasca, Antonella D’Agostino, ha scritto una lettera all’Ansa che vale la pena riprendere qui. “Quanto deve pagare ancora? Dopo cinquant’anni di carcere e una condizione di salute precaria, anzi peggio. Rifiutare le misure alternative a Renato Vallanzasca significa non solo condannarlo al carcere a vita, cosa che è già avvenuta, e all’impossibilità di vivere uno stralcio di normalità, ma anche umiliare un uomo ormai ridotto all’ombra non di quello che era, ma di quello che tutti hanno pensato che fosse. Ha vissuto otto anni in semilibertà e poi ai domiciliari senza fare niente di male. E quando portò via quelle mutande dal supermercato capii che nel suo cervello qualcosa aveva cominciato a non funzionare… Non voglio santificare chi ha vissuto da criminale. I veri criminali li ho conosciuti, quelli che frequentavano la Milano da bere. Niente a che vedere con lui. Altra stoffa. Loro sono morti ricchi sfondati (quando sono morti, ndr) lui marcisce in galera senza avere i soldi per le sigarette, senza capire più dov’è”.
Della lettera della D’Agostino mi interessa in particolare là dove dice: “I veri criminali li ho conosciuti, quelli che frequentavano la Milano da bere. Niente a che vedere con lui. Altra stoffa”.
Altra stoffa, dice la D’Agostino. Perché Vallanzasca, se mi si passa il termine, è a suo modo un bandito leale, un bandito onesto. Non si è mai reso responsabile di ripugnanti agguati sotto casa, alla Sofri, per intenderci, e questo ‘vizietto’ riguardava molti suoi compagni di Lotta Continua il cui giornale pubblicava le foto, gli indirizzi, i percorsi, le abitudini di “fascisti” o presunti tali, cinque dei quali sono rimasti in sedia a rotelle e uno ne è morto. Ma Sofri, dopo aver scontato sette anni dei ventidue che gli erano stati comminati per l’omicidio del commissario Calabresi, oggi è libero come l’aria e per un certo periodo è stato editorialista de La Repubblica, il più importante quotidiano di sinistra (dovette andarsene solo perché direttore era diventato Mario Calabresi, figlio del commissario) e del principale settimanale di destra, Panorama. Insomma è stato promosso editorialista, per meriti penali suppongo.
Vallanzasca non merita pietà, merita rispetto. Perché si è sempre assunto le proprie responsabilità, non ha mai dichiarato di essere una vittima della società. Quando il giorno della sua prima cattura fu portato in manette sul balconcino di una casa di Roma - perché questi qui li esibiscono in manette, per i Toti e tutti i furfanti di Mani Pulite si invoca o si è invocato l’intervento di Amnesty International - e un giornalista gli chiese appunto: “Vallanzasca, lei si ritiene una vittima della società?” lui rispose: “Non diciamo cazzate!”.
Alla parola di Vallanzasca si può credere se afferma che una rapina non l’ha fatta lui. D’altro canto ha scagionato parecchi malavitosi attribuendosi i reati per i quali erano stati sbattuti in galera e fornendo ai giudici, che non ci pensavano più, le prove di averli commessi. Mi piace riprendere un segmento del ritratto che ne feci nel 1987 in un articolo intitolato ‘Il bel Renè, bandito d’altri tempi’: “Ho saputo che tre ragazzi hanno confessato due o tre rapine: la rapina di Milano 2, di Pantigliate e di Seggiano. Possono averle confessate solo con le botte. Solo così possono averlo fatto. Io categoricamente posso dire che loro non c’erano. Perché c’ero io. Posso mandare, per provarlo, le fascette delle banconote o la pistola del metronotte. C’è il caso di un ragazzo accusato di una rapina che ho commesso io sei anni fa. Il ragazzo si chiama Elio Lanzani ed è soprannominato Ciarùn perché una volta faceva le danze coi coltelli. La rapina avvenne in viale Corsica. Elio non è uno stinco di santo, ma quella rapina non l’ha fatta lui, l’ho fatta io”.
È singolare che in un Paese di gentiluomini si possa fare più affidamento sulle parole di un bandito. Il fatto è che, per qualche straordinario accidente, si sono conservati in Renato Vallanzasca, nonostante la sua vita violenta e criminale, alcuni valori propri di quella vecchia Milano, la Milano della Comasina e di Affori da cui proviene: lealtà, dignità, un popolano sense of humour. E soprattutto rispetto di quelle regole del gioco che oggi tutti violano nella società civile e quindi anche in quel suo riflesso malato che è la malavita. Se infatti oggi la mafia, la ‘ndrangheta, la criminalità finanziaria, la delinquenza comune sono ormai giungla disordinata e caotica senza regole d’onore, neanche malavitose, è perché non sono altro che lo specchio della società civile (una malavita senza onore e dignità può essere solo il prodotto di una società senza onore e dignità). Vallanzasca invece è un bandito che riflette una società di altri tempi. È un bandito onesto in una società dove, troppo spesso, gli onesti sono dei banditi.
“Non diciamo cazzate!”. Io, lo confesso, l’avrei graziato solo per questo. E, a suo tempo, ho inoltrato formale domanda di grazia a un paio di Presidenti della Repubblica, visto che sono stati graziati soggetti moralmente molto peggiori di lui, la Fiora Pirri Ardizzone dei principi di Pandolfina, per esempio (presidente Pertini).
Adesso, anche contando sul fatto che Giorgia Meloni è un po’ più umana, sarebbe inutile dopo 52 anni di galera, undici dei quali passati col 41bis o ai famigerati ‘braccetti’.
Vallanzasca muore insieme a un mondo che non c’è più.
Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2024
L’Italia è un Paese davvero sbalordente, nel senso che riesce sempre a sbalordire, a stupire. Si è saputo che la nave che doveva alloggiare 2500 agenti di polizia addetti alla sicurezza del G7 è risultata marcia fino al midollo, i liquami dei cessi arrivavano fino alle cabine. Eppure c’era stata un’ispezione preliminare che non aveva riscontrato nulla di anormale. Dice Pietro Colapietro, segretario generale del Silp-Cgil: “Sul posto non ho visto nemmeno un parlamentare, né di maggioranza, né di opposizione”.
Ma come, noi siamo sotto gli occhi di tutto il mondo come organizzatori del G7 e ci esponiamo a una figuraccia del genere, peraltro sapientemente occultata dai media, di maggioranza e di opposizione? Dice ancora Pietro Colapietro che bisogna cercare e trovare i responsabili politici di questo disastro di immagine. Il primo è sicuramente il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi. Ma c’è anche la responsabilità del premier, Giorgia Meloni, che doveva controllare meglio le cose. Ho l’impressione che la premier, essendosi abituata fin qui a vincere tutte le partite, con merito, devo dire, abbia perso il contatto con la realtà, avvoltolandosi nella pericolosa convinzione di avere sempre ragione, anche perché intorno ha degli yes-men che non hanno né il coraggio né la voglia di contraddirla. Pericolosa convinzione, dicevo, perché è stata decisiva nella caduta di altri personaggi di ben diversa caratura politica, da Benito Mussolini a Bettino Craxi.
Meloni si è poi esaltata perché il suo “Piano Mattei”, coordinato con altri piani consimili, è stato accettato con entusiasmo dai leader occidentali del G7. E lo credo bene, perché il Piano Mattei e consimili sono un modo per rapinare ulteriormente l’Africa. Eni ed Enel non sono, notoriamente, agenzie di beneficenza e non è certamente un caso che i leader degli Stati africani oggetto di questo interesse non siano stati nemmeno consultati. Non c’è niente di più turpe e squallido di chi maschera le proprie rapine con la scusa di fare beneficenza. L’Africa Nera non ha bisogno di alcun aiuto peloso, ha bisogno solo che chi vi ci si è accampato si tolga dai piedi. All’epoca di un summit organizzato dal primo G7, quello in cui non c’era ancora la Russia che poi è entrata in questo Empireo per esserne di nuovo cacciata dopo la guerra all’Ucraina, i sette paesi africani più poveri del mondo con alla testa il Benin organizzarono un contro-summit al grido: “Per favore non aiutateci più!”.
Ma c’è chi va più in là, c’è chi sostiene che questo G7 è stato organizzato per definire una nuova organizzazione planetaria ai danni non solo dell’Africa ma dei Paesi del Centro e Sud America. C’è un’organizzazione che ha manifestato pacificamente sostenendo questa tesi. Non ne ricordo il nome perché anche questa manifestazione è stata accuratamente occultata. E in fondo l’opinione più onesta su questo G7 l’ha espressa la Cina, che pur sta invadendo l’Africa economicamente ma almeno senza darsi le arie del benefattore. Il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Lin Jian, ha bollato il G7 con queste parole: “Pieno di arroganza, pregiudizi e menzogne”.
Gli Stati Uniti devono rassegnarsi, il Novecento è stato il “secolo americano”, il Duemila, nonostante tutte le loro guerre - guerre tutte venute in culo all’Europa e le loro pretese totalitarie in campo economico - sarà di altri: o della Cina o dell’Islam o dell’Isis. Un penny al lettore che indovina per chi sto io.
Ps. Che cosa vi avevo detto della Svizzera? Ha dato tre pappine all’Ungheria del “calcio relazionale” di Marco Rossi (“calcio relazionale”, non ci mancava che questa, in fondo il calcio, a dispetto degli allenatori che si credono degli dèi scesi provvisoriamente in terra, è una cosa semplice). Il risultato della Svizzera io l’avevo pronosticato prima della partita, ho un Supertestimone: Marco Travaglio. Infine è inutile che i giornali riempiano le loro pagine col G7 o altre stronzate del genere, cosa che sto facendo anch’io, perché ai lettori interessano solo gli Europei. A subire questo interesse sono soprattutto le donne che vengono ricacciate nel loro gineceo. A una donna bennata il calcio non interessa. Se invece si interessa al calcio va inserita nella lista LGBT.
Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2024
“Silvio è vivo e lotta insieme a noi”. A un anno dalla scomparsa si sono innalzati infiniti epinici alla memoria dell’ex Cavaliere, dell’ex condannato per una frode fiscale colossale (altro che cash, cara Gabanelli), dell’ex detenuto, dell’ex delinquente, dell’ex fruitore di nove prescrizioni, dell’ex capintesta di una lotta senza quartiere contro la Magistratura e quindi l’ordine costituzionale. Non intendo qui occuparmi del politico la cui principale responsabilità, a mio vedere, è stata togliere agli italiani quel poco di senso della legalità e dell’onestà che gli era rimasto. È chiaro che vedendo che Berlusconi e i suoi amici violavano impunemente l’intero Codice penale, aggiustandosi per sé medesimi quello di Procedura, anche un italiano di suo mediamente onesto si deve essere chiesto “ma devo essere proprio io il più cretino del bigoncio”?
Intendo parlare del Berlusconi uomo, cui sono stati innalzati altrettanti epinici. Da molti, da moltissimi, non solo dai suoi familiari, sulle cui affermazioni è lecito applicare la tara degli affetti, Berlusconi è stato descritto come uomo “buono”. Ora a me riesce difficile definire “buona” una persona che, con la complicità di Previti, ha truffato per miliardi una minorenne, orfana di entrambi i genitori, morti in circostanze tragiche comprando per un tozzo di pane la villa di Arcore e un immenso territorio circostante (ci sono due sentenze della Magistratura che hanno accertato questa truffa, ma siccome i fatti risalgono ai primi anni Settanta tutto è andato nella solita prescrizione). A me riesce difficile definire “buona” una persona che, approfittando della sua carica di Presidente del Consiglio, manda una minorenne, la famosa Ruby Rubacuori, nelle braccia di Nicole Minetti che poi trasferirà Ruby in casa di una prostituta ufficiale. Questo mentre il Tribunale dei Minori di Milano, l’unico competente, aveva disposto che la ragazza fosse affidata a una comunità protetta.
Ma lasciamo quest’uomo pestilenziale, che per trent’anni ha avvelenato, politicamente e culturalmente, la storia del nostro Paese. Ed occupiamoci di cose più serie e più urgenti. E cioè il calcio.
Bisogna tornare ai tempi della gloriosa e mai dimenticata Coppa dei Campioni. Allora si affrontavano in incontri diretti le squadre vincitrici dei vari campionati europei. In uno scontro diretto poteva capitare che una squadra debole sconfiggesse una più forte. Ora che nella moderna Champions la qualificazione è a gironi è ovvio che passino solo le due squadre più forti, le altre scendono in quella ridicola competizione che è l’Europa League, una volta Coppa delle Fiere. Mi ricordo in particolare un Lugano – Inter in cui gli svizzeri vincendo a Milano per 1-0 si assicurarono il passaggio del turno. Me lo ricordo bene perché avevo giocato il Lugano, dato a una quota molto alta. Forse gli interisti avevano sottovalutato gli svizzeri che però a calcio sanno giocare. Anche quest’anno, per gli Europei, hanno una bella squadretta. Fra i pali c’è Sommer, il portiere dell’Inter, i centrali sono Akanji, stopper del Manchester City, non so se mi spiego, ed Elvedi del Borussia Moenchengladbach, che ho visto ridicolizzare Lukaku, non era difficile, ma anche Haaland perché è grosso quanto loro ma ha riflessi più veloci. Ma forse la vera forza della Svizzera è a centrocampo con Xhaka, uno dei migliori assistman del circuito insieme a Kevin De Bruyne (in corsa quest’anno per il pallone d’oro), Freuler, Shaqiri. Il problema della Svizzera è che non ha più un centravanti dai tempi preistorici di Chapuisat. Ci hanno provato col giovanissimo e promettente Embolo, di origine camerunense, un nero che sembrava appena sceso dalle liane, ma Embolo non è mai stato all’altezza delle aspettative. Ci hanno provato con Seferovic, che gioca bene ma non centra mai la porta e non ha tiro. Un po’ come il Sanabria del Torino. Un centravanti che non ha tiro “non se po’ vede’”. Quindi il destino della Svizzera, come ci dice la storia degli ultimi anni, è di non perdere una partita ma di non passare mai il turno perché ha fatto troppi pareggi.
Adesso si è studiata una nuova formula per la Champions. A gironi non sarà solo la prima parte delle qualificazioni, ma anche la seconda. Quindi più partite, più incassi, meno possibilità per squadre che non hanno 35 giocatori, dove le riserve equivalgono i titolari. Adesso ci si è anche inventati un “mondiale per club”, che non si capisce bene che cosa sia e a cui si sono opposti i calciatori perché è disumano farli giocare 69 partite l’anno. Non ci si può poi meravigliare se i ragazzi si rompono ad ogni momento. Inoltre, nei bei tempi andati, a luglio e agosto di calcio non se ne parlava più. Invece adesso impera il calciomercato e si organizzano grottesche partite in Qatar o in Arabia Saudita sotto un caldo atroce.
Tutto in nome del dio quattrino. Ma questa fagia di denaro porterà inevitabilmente, come ogni eccesso, alla scomparsa dell’oggetto di cui si occupa. “Così gli apprendisti stregoni avranno ucciso la ‘gallina dalle uova d’oro’ e il razionalismo nella forma del denaro avrà realizzato, è il caso di dirlo, l’ennesimo autogol” (Il denaro “sterco del demonio”, 1998).
Il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2024