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In un’intervista al Corriere della Sera Volodymyr Zelensky ha dichiarato: “Sappiamo che in Italia ci sono tanti filo-putiniani, e anche in Europa. Stiamo preparando una lista, non solo riguardo all’Italia, da presentare alla Commissione europea. Riuscirete a zittirli?”.

È la prima volta che un Paese vuole imporre la censura non solo al proprio interno, ma anche nei confronti delle opinioni pubbliche, dei media, dei giornalisti stranieri. Questo non l’aveva fatto Stalin, non l’aveva fatto Mussolini, non l’aveva fatto nemmeno Hitler. Si perseguitavano certamente i fuoriusciti e magari anche li si accoppava (i fratelli Rosselli uccisi in Francia dai fascisti) ma si trattava di propri connazionali. Secondo il diktat di Zelensky un giornalista italiano, poniamo Travaglio o io o chiunque sia contrario alla sua politica, dovrebbe finire in gattabuia. Del resto la sua vocazione censoria il Presidente ucraino la esercita innanzitutto in patria, dove ha abolito ogni partito di opposizione e tacitato la stampa. C’è qualcosa di nazisteggiante in Zelensky e la sua cricca, il battaglione Azov insegna, ma ciò non vuol dire naturalmente giustificare l’aggressione di Putin che voleva, così diceva, “denazificare” l’Ucraina. Resta il fatto che l’Ucraina di Zelensky è un Paese totalitario, talmente totalitario che non solo mette la mordacchia ai propri giornalisti, ma vorrebbe metterla anche a quelli stranieri.

Del resto questa azione censoria Zelensky l’aveva già fatta, proprio in Italia, ottenendola, ordinando attraverso il suo ambasciatore Melnyk che agli artisti russi fosse impedito di lavorare. Diktat a cui alcuni sindaci si erano subito appecoronati, cancellando i concerti dei pianisti russi Denis Matsuev e Valentina Lisitsa e il balletto di Sergei Polunin. Zelensky voleva anche imporre il cartellone della Scala. Nel 2022 tentò di scardinarlo perché la prima era dedicata al Boris Godunov di Musorgskij e il basso era il russo Ildar Abdrazakov. Per fortuna intervenne Mattarella, che a mio avviso si sta rivelando un buon Presidente della Repubblica, presenziando a quella prima, cosa che non era affatto scontata, come a dire: non scherziamo. Neanche Dostoevskij è sfuggito alla tromboneggiante censura di Zelensky e, per un certo periodo, in Italia è stato proibito darne pubblica lettura. Insomma, a detta di Zelensky, noi dovevamo leggere Dostoevskij o Tolstoj o Puskin di nascosto, come il Mein Kampf di Hitler.

Zelensky deve aver perso la testa, ammesso che l’abbia mai avuta. Perché? Perché è del tutto evidente che la Russia sta vincendo la guerra. Patetica è la seconda controffensiva di primavera che ha annunciato, che farà inesorabilmente la fine della prima. Ciò nonostante, l’Unione Europea, svuotando anche pericolosamente i propri arsenali, continua a sostenere l’Ucraina con armi e finanziamenti. L’ultimo è di 50 miliardi di euro. Molto più prudenti gli Stati Uniti, dove i conservatori si oppongono a dare all’Ucraina altri 60 miliardi di dollari, dopo averne elargiti, finora, 75. Le opinioni pubbliche europee, ma, come si vede, anche americane, sono stanche di questa politica che serve solo a esaltare il superomismo narcisista di Zelensky a scapito dei suoi stessi cittadini. Neanche gli ucraini sono più convinti di questa guerra a oltranza alla Russia se è vero, com’è vero, che otto milioni sono fuggiti all’estero.

E la brava Giorgia Meloni che fa? Ha ricevuto, sempre sul Corriere, un elogio formale di Zelensky e una reprimenda sostanziale perché l’Italia non sarebbe sufficientemente vicina all’Ucraina. Che fa? Tace, proprio lei che, di solito, è così attenta alla difesa della nostra identità e dignità nazionale. Non si può essere nazionalisti ed europeisti e nello stesso tempo superatlantisti, più atlantisti degli stessi americani che stanno mollando Zelensky al suo destino.

Il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2024

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Ho partecipato, come relatore, al festival di Filosofarti, una manifestazione che si tiene da vent’anni e che ha visto ospiti prestigiosi, da Franco Cardini a Umberto Galimberti fino, nientemeno, a Noam Chomsky. Il festival, che quest’anno si sviluppa su cinque settimane, si tiene a Gallarate, il “buco del culo del mondo”. In realtà Gallarate è un centro culturale di tutto rispetto, basta vedere il museo Maga che ha ospitato il mio intervento e i numerosi teatri e centri di convegni che ospita questa cittadina di 50mila abitanti.

Il tema di quest’anno era centrato sul “visibile e l’invisibile”. Dice la volpe nel capolavoro di Saint-Exupery, Il Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile”. Oscar Wilde, per tener fede alla sua fama paradossale: “Il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile”. Pablo Picasso: “Uno non dipinge ciò che vede ma ciò che sente, quello che dice a sé stesso riguardo ciò che ha visto”. E Paul Klee, artista pure lui, più sintetico di Picasso, che era grande sulla tela ma scarso in scrittura: “Rendere visibile l’invisibile è il compito dell’arte”.

Affrontando il “visibile e l’invisibile” si entra giocoforza nella filosofia e non è per caso che il festival si chiami Filosofarti. Maurice Merleau-Ponty, uno degli apostoli dell’esistenzialismo insieme a Sartre e Camus, ha scritto un libro, “Il visibile e l’invisibile”, fortunatamente incompiuto (mi spiace dirlo perché io sono nato in epoca esistenzialista) in cui, a furia di cercare l’essenza dell’invisibile, finisce per cercare l’Assoluto, che non esiste, a meno che uno non abbia la famosa Fede, né nell’arte né in natura, né nella vita degli uomini.

Io ero invitato sul tema “Il visibile e l’invisibile” in quanto autore di Cieco, il mio ultimo libro. Per me la questione è molto semplice: l’”invisibile” è ciò che non vedo. È vero che potrei consolarmi perché nell’opera omerica il veggente, poniamo Tiresia, è cieco, in quanto non vedendo ciò che ha davanti a sé vede “l’oltre da sé”. Purtroppo ero ‘veggente’ anche quando ci vedevo benissimo, per fare solo due esempi tra i tanti ho anticipato con una lettera aperta a Claudio Martelli, allora vicesegretario del Psi, la fine del suo partito, che sarebbe avvenuta dieci anni dopo con Mani Pulite, e, cosa molto più importante, lo scacco in cui si trova oggi il mondo occidentale che si basa sulle crescite esponenziali che, come ho detto millanta volte, esistono in matematica (tu puoi sempre aggiungere un numero) non in natura.

Il giovane intervistatore, molto simpatico, Edoardo, cercava di svicolare dal tema per cui ero stato invitato a Filosofarti, la cecità, sembrandogli troppo pesante, anche se io tentavo di ricordare, non tanto a lui ma al pubblico, poiché come ogni autore speravo di vendere e di autografare alla fine della serata molti libri, come poi è avvenuto, che il libro è alleggerito dal sarcasmo, dall’humour seppur nero, da cui è solcata la vita dei ciechi o, per meglio dire, dei semiciechi, per i quali il nemico principale è il sole. Scriveva Nietzsche, mezzo cieco pure lui, che i ciechi dalla nascita se la cavano molto meglio dei semiciechi perché sono abituati a quella condizione. A parte la cecità alla nascita ci sono altri due modi d’esser ciechi: si può diventarlo a metà della propria vita, come Borges (“Nessuno umili a lagrima o rimbrotto la confessione della maestria di Dio che con magnifica ironia mi diede insieme i volumi e la notte”) ed è un brutto accidente. C’è poi la condizione peggiore, che è la mia, di una cecità che avanza lentamente ma inesorabilmente. Tu non sai se quello che puoi fare oggi lo potrai fare domani. Il primo vero shock, la malattia (glaucoma) aveva appena iniziato a incidere, lo ebbi un’estate a Capri quando stavo con la mia fidanzata storica, Mariella. C’era un cielo stellato meraviglioso, ma io le stelle le vedevo un po’ offuscate. E capii che non avrei mai più visto un cielo stellato.

Dopo la conferenza si sono avvicinate a me due signore in età affette da Parkinson. Mi dissero che avevo avuto coraggio a fare outing sulla mia malattia. “Non è stato coraggio, risposi, è stata la disperazione”. Del resto detesto chi ostenta e fa un punto d’onore della propria menomazione, tipo Michela Murgia, ma io ho scritto il mio libro molti anni prima.

Le due gentili signore mi hanno chiesto se si poteva fare qualcosa, come se io fossi un taumaturgo. “Non c’è niente da fare, ho risposto crudamente, siamo andati sulla Luna, siamo andati su Marte ma la medicina tecnologica non è stata in grado di trovare il modo per ricreare le cellule nervose”. E questo vale per il glaucoma, per il Parkinson, per l’Alzheimer. E per quanto riguarda il glaucoma non è stata in grado di lenire uno dei peggiori drammi che possa vivere un essere umano: la cecità. Solo la Fede, come ho già detto, può salvarci da questa discesa all’inferno. “Pregherò per te che hai la notte nel cuor, e se tu lo vorrai crederai. Io lo so perché tu la fede non hai, ma se tu lo vorrai crederai. Non devi odiare il sole perché tu non puoi vederlo, ma c’è” (Pregherò, Adriano Celentano).

Il Fatto Quotidiano, 29 febbraio 2024

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Grande idea di Guido Bertolaso, il medico che fu richiamato in tutta fretta, mi pare dall’Africa, per fronteggiare l’emergenza Covid e se lo beccò subito, contagiando altri malati e andando a intasare i letti per la cura intensiva. Si giustificò dicendo che era mezzo sordo e quindi doveva avvicinarsi molto al paziente per capire quello che costui diceva.

Qual è l’ideona di Bertolaso? È la “tessera sanitaria a punti”, per cui, se decidi di smettere di fumare, di bere, assumi uno stile di vita meno sedentario con un’alimentazione più sana e ti sottoponi a degli screening periodici, potresti vincere premi come cure termali, skipass gratuiti, biglietti gratis per grandi eventi e magari anche uno yo-yo.

Bertolaso è in gramaglie perché agli screening da lui proposti ha aderito meno del 50% della popolazione. E lo credo bene. Bertolaso, completamente calato nel “terrorismo diagnostico”, vorrebbe che noi vivessimo con la mentalità dei malati o comunque dei “soggetti a rischio”, anche quando siamo ancora sani. È la solita storia: è vivere che ci fa morire. Che senso ha rinunciare a vivere per un rischio puramente ipotetico? Io sono convinto che l’attesa di uno screening bertolasiano, se ne dovrebbero fare almeno sei all’anno, è molto più stressante e debilitante dell’ipotetica malattia che vorrebbero evitare.

Comunque, se il terrorismo bertolasiano è respinto dalla metà della popolazione, l’altra metà ci casca. Ci informa sul Giornale (17.02) Melania Rizzoli che, oltre ad essere stata la moglie di Angelo, è un medico, un bravo medico: “Gli italiani comprano sempre più farmaci, molecole di ogni tipo, una corsa che non rallenta, ma che registra un aumento delle vendite di oltre il 20% l’anno con una spesa che ha superato la cifra di 8,5 miliardi solo lo scorso anno”. Conferma l’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco, che gli italiani sono un popolo dipendente dai medicinali a tutte le età e in tutte le condizioni psicofisiche. Sette italiani su dieci assumono almeno tre compresse al giorno. Le grandi aziende farmaceutiche ringraziano. Dice ancora la Rizzoli, intesa come persona, non come azienda da cui Angelo Rizzoli jr. fu brutalmente estromesso, focalizzandosi sui farmaci contro la disfunzione erettile: “L’Italia è il secondo Paese al mondo per consumo… Le vendite hanno superato lo scorso anno i 213 milioni di euro per 42 milioni di dosi, collocandoli tra i farmaci più venduti in fascia C nelle farmacie”. Questi farmaci non sono usati solo dagli ultrasessantenni ma anche dai giovani. Io sono convinto che se non viene duro qualche ragione ci sarà e che è bene non usare dopanti, in questo caso come in tutti gli altri (ciclismo, atletica) perché  molto spesso hanno un effetto paradosso, cioè se prima non ti veniva duro adesso ce l’hai molle. In ogni caso qualsiasi introduzione di medicinali nel nostro corpo ne altera l’equilibrio. Io credo che sia bene fidarsi del proprio corpo che ti dà segnali di allarme non intrusivi. Prendiamo il fumo. Spesso non smetti perché te l’ha ordinato il medico ma perché il corpo ti avverte in modo semplice: non ti piace più fumare.

In quanto all’impotenza giovanile, e qui entriamo in un campo che più che medico è sociale, è dovuta in gran parte all’eccessiva esposizione del corpo femminile, nella pubblicità, nei film, nei siti propriamente porno, che sono deprimenti anche perché fanno vedere gli organi sessuali in action dimenticando le sottigliezze dell’eros, che nulla hanno a che fare col fatto fisico ma piuttosto col mentale. Non si deve poi dimenticare il #metoo. Ma chi si azzarda più a corteggiare una ragazza se poi quella ti accusa di averle palpato il culo magari vent’anni fa? Chi non ha mai fatto la “mano morta” sui tram o su qualche altro mezzo pubblico alzi la mano e gli verrà mozzata per menzogna manifesta.

Ci sono poi i disturbi alimentari che non sono riconducibili, io credo, ai nostri singoli stili di vita ma allo stress in cui ci comprime l’attuale modello di sviluppo e al fatto che noi, sempre per esigenze economiche, mangiamo carni di animali malati che, stabulati, 24 ore su 24, sotto potenti riflettori per aumentarne il peso corporeo (in realtà è quasi tutta acqua) sviluppano malattie propriamente umane che non avevano mai conosciuto: stress, nevrosi, depressione, obesità, diabete che non avevano mai avuto. Insomma si confonde la causa con l’effetto.

Dell’utilità di un farmaco sono però convinto. Un farmaco che migliori l’acustica. Di Guido Bertolaso.

Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2024