Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato l’unico a reagire all’inammissibile intromissione negli affari interni del nostro Paese di Elon Musk che ha detto che i magistrati italiani che si occupano della questione migratoria “debbono sloggiare” e, per soprammercato, ha aggiunto che in Italia non esiste una vera Democrazia ma “un’autocrazia non eletta”. A queste affermazioni insultanti non solo nei confronti dei magistrati ma per l’intero nostro Paese, per le nostre Istituzioni e, in definitiva, per i cittadini italiani, Mattarella ha così risposto: “L’Italia è un grande Paese democratico e devo ribadire, con le parole adoperate in altra occasione, il 7 ottobre 2022, ‘che sa badare a se stessa nel rispetto della sua Costituzione’. Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni”.
Che ha fatto invece il governo italiano? Si è limitato a prendere atto con parole equivoche, da “tira a campà”, delle dichiarazioni del Presidente della Repubblica. Credo che Giorgia Meloni avrebbe dovuto dire qualcosa in proposito. Ma come, tu ci propini a ogni piè sospinto il tuo ipernazionalismo e poi lasci che la Nazione intera sia offesa?
I giornali di destra che dal tempo di Mani Pulite, che richiamò anche la classe dirigente, politica e imprenditoriale al rispetto di quelle leggi a cui noi tutti ci dobbiamo attenere, hanno colto la palla al balzo ribadendo implicitamente che non siamo che sudditi non solo degli yankee in generale ma anche, e ancor più, di un loro singolo esponente (“Noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei non fummo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la repubblica esistesse davvero”, Lucio Sergio Catilina in ‘La congiura’ di Sallustio).
Vittorio Feltri (il Giornale, 15.11) si trincera dietro la libertà di espressione e scrive: “Musk non si è reso autore di un qualche incidente diplomatico. Né ha recato nocumento alla nostra sovranità”. Ma che sovranità può avere un Paese che si lascia intimidire da un singolo individuo, per quanto, e forse perché, potente? E il prode Aldo Cazzullo, che sei giorni su sette ci dà lezioni di storia, gira intorno al problema facendone una questione estetica ma che estetica non è perché riguarda la dignità di una Nazione e del suo popolo: “Un diverbio a distanza tra Sergio Mattarella ed Elon Musk è come far sedere l’uno difronte all’altro Norberto Bobbio e Topo Gigio. Non sono soltanto persone diverse per generazione, cultura, linguaggio. Uno non è mai apparso in pubblico senza giacca e cravatta, l’altro si veste come uno svalvolato” (Corriere della Sera, 15.11).
Che le affermazioni di Musk siano uno sfregio a tutti gli italiani lo si può cogliere frequentando i bar, vera e originaria vox populi più dei social che sono delle intermediazioni. Nei giorni successivi alle affermazioni di Musk nei bar non si parlava che di questo, con indignazione perché ogni italiano si sentiva offeso personalmente. E in quanto agli altri avventori, tunisini o marocchini o bangla, ci guardavano con commiserazione.
Noi italiani sappiamo bene di essere dei sudditi degli Stati Uniti dalla fine della Seconda guerra mondiale oltreché sudditi della finanza globale e dei mercati. In questo caso il potere della finanza e dei mercati che è anonimo si personalizza in un individuo, Elon Musk che è più potente del suo Presidente che si è guardato bene di fare affermazioni così sfacciate. E non vale nemmeno dire che Elon Musk non rappresenta gli Stati Uniti perché non ha nessun ruolo istituzionale, perché qui non è una questione di forma ma di sostanza, inoltre il tycoon, più tycoon dello stesso Trump, coprirà a breve l’incarico di “segretario per l’efficienza governativa”. Credo che lo strapotere di un solo uomo, più potente di interi Stati, dovrebbe essere messo all’attenzione delle classi dirigenti di ogni Paese, eventualmente con misure legislative.
Inoltre mi chiedo, anche se è solo un dettaglio, quale sarebbero state le reazioni in Italia se le stesse affermazioni le avesse fatte Vladimir Putin. Sarebbe stato un finimondo.
20 Novembre 2024, il Fatto Quotidiano
Secondo l’Istat in Italia l’indice di povertà assoluta è passato, nell’ultimo anno, dal 7,7 per cento all’8,5 per cento della popolazione, cioè più di 5,7 milioni di cittadini. Secondo l’ultimo report della Banca mondiale quasi 700 milioni di persone, pari all’8,5 per cento della popolazione mondiale, vivono in condizioni di povertà estrema, con meno di 2,15 dollari al giorno.
Mentre i poveri diventano sempre più poveri e numerosi, anche i ricchi, senza arrivare alle iperboli di Elon Musk, Bezos, Zuckerberg, diventano sempre più ricchi e anche un po’ più numerosi ma in proporzione nemmeno lontanamente paragonabile rispetto ai primi. Insomma mentre alcuni, pochi, entrano in quell’Empireo, molti di più scendono all’Inferno. Quindi quella che tende a sparire, almeno in Occidente, è la classe media, il che comporta, e ancor più comporterà in futuro, un grave problema sociale perché la classe media fa da collante e da intermediario fra l’empireo dei più ricchi e l’inferno dei più poveri.
Il problema non è di oggi e nemmeno di qualche decennio fa e neppure degli ultimi due secoli ma risale alla nascita della Democrazia nella forma del capitalismo industriale (oggi si parla sempre in termini denigratori di “populismo” senza sapere che cos’è: quella “populista” è una corrente di pensiero russa che mirava a un socialismo agricolo e solidale in contrapposizione all’industria e all’industrializzazione). Scrive Claude Julien ne Il suicidio delle democrazie (1973): “Hanno scavato una fossa fra ricchi e poveri all’interno delle democrazie industriali e l’hanno poi ingigantita e globalizzata”.
L’opulenza dei Paesi ricchi è in diretta connessione con la povertà dei Paesi poveri che, nonostante l’ottimismo di facciata e per nulla disinteressato, continua anch’essa, la povertà dico, ad aumentare. Marx sbagliava quando pensava che ad un certo punto i ricchi sarebbero diventati così pochi che per cacciarli non ci sarebbe stato bisogno di nessuna Rivoluzione ma sarebbe bastata una pedata nel sedere. Una classe opulenta e sufficientemente numerosa ci sarà sempre, potente quanto basta per mettere in riga, a livello nazionale e internazionale, i popoli. Un esempio drammatico sulla connessione fra la ricchezza dei più ricchi e la povertà dei più poveri è l’Africa Nera che ai primi del Novecento era alimentarmente autosufficiente e lo era ancora, in buona sostanza (al 98 per cento) nel 1961. Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dalla integrazione economica – prima era considerata un mercato del tutto marginale e poco interessante – le cose sono precipitate. L’autosufficienza è scesa all’89 per cento nel 1971, al 78 per cento nel 1978. Per sapere quello che è successo dopo non sono necessarie statistiche basta guardare alle devastanti migrazioni che non provengono più solo dai Paesi dell’Africa Nera propriamente detta ma anche dal Maghreb. Qui non siamo più nell’ambito della miseria, ma della fame, della pura fame e per fermare queste migrazioni, che non sono più immigrazioni come quelle degli italiani verso gli Stati Uniti di fine Ottocento e primi Novecento, non basteranno i blocchi navali e le cannonate di Matteo Salvini nè tantomeno gli ipocriti e predatori “Piani Mattei”.
In un’economia mondiale integrata, di mercato e monetaria, il cibo non va dove ce n’è bisogno, va dove c’è il denaro per acquistarlo. Va ai maiali dei ricchi americani e, in generale, al bestiame dei Paesi industrializzati se è vero che il 66 per cento della produzione mondiale dei cereali è destinato all’alimentazione degli animali dei Paesi ricchi. I poveri del Terzo Mondo sono costretti a vendere agli occidentali e ai Paesi ricchi il cibo che potrebbe sfamarli.
C’è infine un dato psicologico importante, la vera povertà non è essere poveri dove tutti più o meno lo sono, ma essere poveri dove prilla una ricchezza enorme quanto offensiva. Nell’Algeria dei primi del Novecento il ventenne Albert Camus poteva scrivere: “Col sole e col mare anche un ragazzo povero può crescere felice”. E noi, in un percorso circolare dove tutto si tiene, ci stiamo fottendo anche il sole e il mare.
16 Novembre 2024, il Fatto Quotidiano
E quindi l’impresentabile, l’esteticamente inguardabile The Donald, col suo improbabile ciuffo biondo, non solo ha vinto le elezioni ma le ha vinte a “redini basse” come si dice in gergo ippico (“gli stramaledetti quadrupedi”) a dispetto di tutta la stampa democratica occidentale che gli tifava contro.
Come ho scommesso su Trump vincente ora scommetto, al tavolo di quell’inquietante genio di Elon Musk, che la guerra russo-ucraina finirà entro sei mesi. E’ un periodo che mi va bene con le scommesse anche se bisogna stare attenti, al gioco come in politica, ai “filotti positivi” perché, matematica docet, ne seguono inevitabilmente di negativi. La partita Stella Rossa-Barcellona era ingiocabile: il Barça era dato a 1.23, la Stella Rossa a 11, una quota mai vista che avrebbe potuto allettare anche, e giustamente, uno scommettitore accorto perché giocando cento euri, e quindi rischiando pochissimo, ne avrebbe potuti vincere 1100. In quella partita ero un po’ dilaniato perché da una parte c’era una squadra serba per cui io tifavo perché per noi russi i serbi sono i nostri fratelli nei Balcani (“il Kosovo è serbo e rimarrà sempre serbo”, Djokovic) e non solo nei Balcani, inoltre la lingua, il cirillico, è assai simile al russo, ma dalla parte opposta c’era un mio idolo “sua maestà Robert Lewandowski” come lo ha chiamato il cronista. Non potendo giocare il Barça, dato, come ho detto, a una quota risibile, ho scommesso che Lewandowski avrebbe fatto due gol e così è stato. Quando entri in campo con Lewandowski sei già sull’uno a zero, come è stato, almeno per un certo periodo, con Ruud van Nistelrooij e in tempi lontani con Ferenc Puskás. Tra l’altro Lewandowski e van Nistelrooij hanno questo in comune che pur essendo dei formidabili cannonieri, sanno giocare a pallone, aprono il gioco e passano la palla al compagno più smarcato (cosa che Ruud, quando giocava nel Manchester United, insegnò all’ipernarcisista Cristiano Ronaldo) e che il giovanissimo Yamal, pure del Barça, non ha ancora imparato, ostinandosi, grazie al suo straordinario gioco di gambe a far fuori uno, due, tre, quattro avversari, ma è chiaro che al quarto avversario si trova difronte ancora i primi due e volendo a tutti i costi tirare in porta, mentre il tiro non ce l’ha (lo straordinario gol che fece in Spagna-Germania agli Europei fu il classico “tiro della domenica”).
Il lettore penserà che la vittoria di Trump mi ha dato alla testa. Ma non è così, sto parlando di politica. In politica, come nel gioco del calcio, non bisogna farsi sopraffare dalla emotività ma ragionare e guardare le cose con logica e buonsenso. Soprattutto guardare i fatti. Lo spregiatissimo The Donald non ha mai fatto guerre ed essendo stato prima di diventar politico un imprenditore, come lo è ancora, non gli va di buttar via dei soldi in una guerra, come quella russo-ucraina, dove lo stesso ex Capo di Stato maggiore Mark Milley disse che “nessuno poteva vincere” così come ritirò i soldati americani dall’Afghanistan per una guerra che, secondo lo stesso Pentagono, “non si poteva vincere” non garbandogli per nulla che gli americani avessero buttato via 10 mila miliardi di dollari per un’impresa fallimentare in partenza.
Direi che lo spregiatissimo The Donald ha cominciato bene: “non inizierò guerre ma le fermerò”. In politica, come nel calcio (Yamal, è giovanissimo, 17 anni, imparerà) non bisogna fermarsi alle apparenze ma stare ai fatti. John Fitzgerald Kennedy era bello e di gentile aspetto, aveva la moglie fica, aveva traffici con i mafiosi (Sam Giancana) ma fu Nixon, dal brutto grugno, a preparare il ritiro dalla guerra del Vietnam, a demolire la truffa del gold exchange standard ed il primo ad aprire alla Cina. Ma mentre Kennedy è passato alla Storia, un mito, Nixon è rimasto sempre e per sempre “Nixon boia” soprattutto per gli italiani che per la loro formidabile storia artistica, ma anche per la moda del momento, all’estetica guardano moltissimo. Nixon fu incastrato per una bagatella, il suo staff aveva spiato il quartier generale dei Democratici, gherminelle pseudogiuridiche con cui adesso si vuole inquinare la vittoria di Trump. Nixon, pur Presidente, si dimise, The Donald non ci pensa nemmeno, sempre che nel frattempo non lo facciano fuori.
La vittoria di Trump è però un problema oggettivo per l’Europa. Se The Donald, che tra l’altro è amico di Putin, non vuole spendere un dollaro per la difesa dell’Ucraina, tantomeno ne spenderà per la difesa dell’Europa, semmai guarderà alla Cina che attualmente è l’unico, serio, competitor dal punto di vista economico degli Stati Uniti.
Disse la preveggente Angela Merkel alcuni anni fa: “gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, bisogna che impariamo a difenderci da soli”. Il che vuol dire innanzitutto che è necessario che alla Germania democratica sia tolto l’anacronistico divieto di possedere la Bomba, frutto della sconfitta nazifascista, o che se lo tolga di fatto lei stessa, visto che “pacta sunt servanda, rebus sic stantibus” e poiché le cose, dal punto di vista geopolitico sono cambiate, e di molto, non c’è nessuna ragione di osservare quel patto.
Ma non è solo la Germania che si deve riarmare, è l’Europa intera in tutte le sue componenti, Italia compresa. Per questo sono miopi, a mio modo di vedere, le critiche al governo italiano perché sta aumentando le spese militari (più 6,5 miliardi solo quest’anno). Certo questi provvedimenti vanno a scapito degli investimenti nella sanità, nell’educazione, nella ricerca. Ma “primum vivere deinde philosophari”.
13 Novembre 2024, il Fatto Quotidiano