La Danimarca sta aumentando l’età pensionabile, che oggi è di 67 anni come da noi, ma salirà a 68 nel 2030, a 69 nel 2035 e a 70 nel 2040. Provvedimenti che hanno avuto l’apprezzamento di tutti i pensionabili, danesi o italiani che siano.
Io sconsiglierei a chiunque di agognare l’età della pensione. Solo la crudeltà della Modernità poteva inventarsi un istituto del genere. Da un giorno all’altro tu perdi di colpo il posto, per modesto che fosse, che avevi avuto nella vita sociale: “e adesso vai a curare le gardenie, povero, vecchio e inutile stronzo”.
Nei tempi passati le cose andavano diversamente. Il capofamiglia, in genere di una famiglia numerosa come è ancora oggi nel mondo africano e islamico, lasciava gradualmente i lavori più faticosi ai tanti figli ma conservava quell’esperienza che i membri giovani della comunità non potevano avere. Conservava un ruolo e la sua vita un senso. Oggi, a causa della velocità con cui si susseguono le modificazioni tecnologiche, si può essere obsoleti a quarant’anni. Inoltre, in tempi passati, la donna non era costretta ad avere un impiego, privato o pubblico. Il suo lavoro si restringeva all’accudimento della famiglia, del marito, dei figli, e soprattutto a farli i figli. Non c’era la denatalità, tipica in tutti i Paesi occidentali, che oggi tanto preoccupa. In un ambiente circoscritto la donna poteva controllare i figli e se questi si mettevano in un qualche pericolo c’era comunque la comunità a proteggerli.
Il tema della pensione si lega naturalmente, è proprio il caso di dirlo, a quello della vecchiaia. Qualche decennio fa tutti i media sbandieravano lo slogan “vecchio è bello”. Il marketing, che nei tempi moderni ha sostituito l’Onnipotente, perché tutto vede, tutto prevede e di tutto si occupa, si era accorto che i vecchi stavano diventando la maggioranza della popolazione e quindi dei consumatori potenzialmente appetibili anche se non di grande valore (lo stesso vale, ma all’opposto, per il mito della giovinezza che fu fomentato dal marketing che si era accorto che dopo il boom economico i giovani avevano dei soldi da spendere, erano quelli dei padri che li avevano risparmiati e il risparmiatore, lo dico di passata, è il fesso istituzionale del sistema perché come dice Vittorio Mathieu in Filosofia del denaro, 1985, seguendo una legge economica inderogabile “alla lunga i debiti non vengono pagati”. Infatti se voi guardate i bilanci annuali delle grandi aziende vedete che hanno più debiti che crediti, del resto ciò vale più in generale per tutti i ricchi che del denaro hanno una profonda conoscenza molto maggiore di quella degli uomini comuni).
“Vecchio è bello”. Così i vecchi vengono espropriati anche del fatto di essere vecchi. Devono fare i giovani, comportarsi come i giovani, vestirsi come i giovani, fiondarsi nelle discoteche (che non sono più le balere d’antan quelle cantate da Sergio Endrigo) scopare, con Viagra, Cialis o simili, anche se non ne hanno più nessuna voglia.
Vecchio è bello? I Latini che erano meno retorici di noi la pensavano diversamente. Senectus ipsa morbus est scrive Terenzio e Seneca, in un momento di lucidità, quando non era occupato a fare l’usuraio e il cacciatore di testamenti (la sua strabiliante richiesta di dieci milioni di sesterzi fatta ai britannici fu causa di una delle poche guerre che fu costretto a fare Nerone, pacifista convinto che piacerebbe a Travaglio) rincara la dose affermando che è, per soprammercato, “Etiam insanabilis”, cioè inguaribile.
La vecchiaia è un processo lento e, nonostante tutti i prodigi della medicina tecnologica moderna, inesorabile. L’altro giorno ho misurato la mia altezza con quella di mio figlio. Eravamo uguali, in questo senso, ma mi sono accorto che avevo due centimetri di meno. Alzo una tapparella e lo faccio ancora facilmente, ma mi rendo conto che fra non molto non sarà più così. Se stai disteso a terra per fare qualche lavoretto, rialzarsi è un’impresa. Piero Ottone, forse il miglior direttore che abbia avuto il Corriere, notava in un suo libro imprudentemente chiamato Memorie di un vecchio felice, 2005, come i vecchi, e quindi lui stesso, quando si alzano da una poltrona cerchino subito un punto d’appoggio e in un altro passaggio del suo libro, dopo una bella gita in barca col nipotino, si chiede: quante altre volte potrò ripetere questa esperienza? Si insinua quindi in lui il pensiero della morte. I vecchi pensano alla morte, ci pensano sempre. Tuttavia non è la morte in sé che li spaventa tanto che, in linea di massima, quasi tutti, Cicerone a parte, sono in grado di affrontarla degnamente (“Morire è facile, lo hanno fatto tutti”) quanto il fatto che tutto ciò che hai vissuto, amato, letto, sparisce di colpo. E sai che non ci saranno i supplementari. In ogni caso ho scritto che la quarta età, altro eufemismo tutto moderno per cui, a rigor di termini, non ci dovrebbero essere più vecchi in giro, inizia quando hai dei problemi nel metterti le mutande.
Tuttavia l’aspetto più drammatico della vecchiaia non è la decadenza fisica, ma l’impossibilità di un progetto di vita. Esistenziale, sentimentale, professionale. Manca il tempo. Manca il futuro. Manca la speranza.
Anche il mondo che hai conosciuto e a volte, con l’energia e l’incoscienza della giovinezza, dominato è scomparso. Morti o dispersi nel mondo sono gli amici di una vita. Il paesaggio è cambiato, i luoghi pure, gli oggetti sono diversi, altri i miti, gli idoli, gli attori, le letture di riferimento. Sei un sopravvissuto.
30 maggio 2025, il Fatto Quotidiano