“Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti” (De André)
“L’Asse del Male”?. Gli Stati Uniti, la Nato, Israele. In fondo che cosa hanno fatto nell’ultimo quarto di secolo i Paesi dell’”Asse del Male” che da qui in poi chiameremo sbrigativamente ADM in contrapposizione all’ADB, vale a dire l’”Asse del Bene”? La Corea del Nord assolutamente niente. Si è limitata a mandare in Russia, in appoggio a Putin, un migliaio di ectoplasmi mascherati che già si sono stufati di combattere per territori così lontani dal loro Paese. L’Iran, eternamente stretto fra potenze nucleari, Stati Uniti e Israele, si è limitato a controffensive di droni consapevolmente proforma in seguito all’assassinio di un paio di dirigenti dei Pasdaran. Proforma perché i droni e i missili iraniani non sono assolutamente in grado di perforare l’Iron dome. L’offensiva del 2024 è riuscita, a dir tanto, a sbrecciare un muro. La Russia è troppo impegnata a spartirsi con Trump le “terre rare” dell’Ucraina che probabilmente è il solo Paese dell’ADB a uscire martoriato dal “Nuovo ordine mondiale” segnato prima dall’aggressione di Putin all’Ucraina e, in contrapposizione, dalla maggiore aggressività (cosa che sembrerebbe quasi impossibile visto quello che hanno combinato gli americani nell’ultimo quarto di secolo, aggressione alla Serbia, 1999, aggressione e occupazione dell’Afghanistan, 2001-2022, aggressione all’Iraq, 2003-2007, aggressione alla Somalia per interposta Etiopia, 2008, aggressione alla Libia di Gheddafi, 2011) degli Usa di Donald Trump. Alcuni Paesi dell’ADB, Stati Uniti in testa, sono complici del massacro dei palestinesi in atto da un anno e mezzo (per non parlare di quello che è successo dal 1948, anno dell’indipendenza di Israele). Gli Stati europei in sostanza, tutti stati Nato, sono, quando va bene, indifferenti a un massacro che forse non ha precedenti per numero di civili palestinesi uccisi (bisognerebbe fare un calcolo dal 1948 ad oggi) ma direi soprattutto per i modi e le forme in cui viene prospettata la situazione di Gaza alla fine della guerra. Gaza, secondo l’innata volgarità di Trump, di Elon Musk e dei loro accoliti, dovrebbe trasformarsi in una sorta di resort per ricchi epuloni. E i due milioni di palestinesi? Vadano a vivere altrove, per dio, e la smettano di rompere i coglioni. Un ‘grottesque’ che restituisce in termini di farsa una tragedia già tragica. Questi nuovi nazisti sembrano addirittura peggiori di quelli vecchi. Hitler non si è mai sognato di fare un resort sui campi di concentramento di Auschwitz, Buchenwald, Birkenau. C’era almeno nella crudeltà e nella ferocia dei nazisti propriamente detti una coerenza che chiamerei estetica basta guardare i filmati delle grandi adunate nazi o quello dell’Olimpiadi di Berlino del 1936 di Leni Riefenstahl, dove peraltro Hitler rese omaggio al plurivincitore, americano e nero, Jesse Owens. Per Hitler Owens doveva rappresentare l’orrore allo stato puro ma rispettò la forma che molto spesso è anche sostanza. Fu insomma un atteggiamento, per così dire elegante, inimmaginabile in Trump o in Elon Musk abituati a licenziare decine di migliaia di uomini e donne senza batter ciglio.
A dare un vero, anche se modesto, fastidio agli ADB e agli ADM rimangono solo gli Houthi. Gli Houthi sono una piccola etnia yemenita che si è alleata all’Iran dopo che l’Arabia Saudita (ADB) aveva cominciato ad avanzare pretese su Sana’a, la capitale dello Yemen. Lo Yemen è un Paese di straordinaria bellezza, come ha documentato Pasolini ne Il fiore delle Mille e una notte, 1974, e fino a pochi anni fa sostanzialmente pacifico tanto che era meta turistica per gli europei.
Gli ADB, più degli ADM, sono specialisti nel creare mostri perché non tollerano costumi e leggi diversi dai loro.
E noi uomini normali in questo mondo diventato anormale e mostruoso che cosa possiamo fare contro gli orrori di Palestina? Niente. Qualche appello o poco più perché nel mondo normale diventato anormale vale solo la legge del più forte.
In altri tempi difronte alla tracotanza degli Stati contro, a volte, le loro stesse popolazioni si creavano delle “brigate internazionali” come fu quella anarco-comunista che intervenne in Spagna e che perse la partita anche perché i comunisti, da bravi comunisti, cominciarono a sparare sugli anarchici (Omaggio alla Catalogna, 1938, Orwell) o come quella che si mobilitò a favore della libertà della Grecia contro le pretese ottomane dove perse la vita Lord Byron, 1824.
Noi cittadini dei Paesi ADB, gente comune, impiegati, operai, commercianti, continuiamo a guardare con orrore gli orrori che avvengono in Palestina, orrori che, a differenza dei lager nazisti, possiamo vedere ogni giorno grazie alle tv sapendo che non possiamo muovere un dito in difesa dei palestinesi. Ma questa impotenza non ci assolve. Per quanto ci crediamo assolti siamo per sempre coinvolti.
4 marzo 2025, il Fatto Quotidiano
A Roma, come ha riferito Federico Pontiggia sul Fatto (25.2) una cinquantina di sale cinematografiche rischiano la chiusura. I motivi? I soliti: le sale cinematografiche non rendono e quindi è molto più conveniente mettere al loro posto dei supermercati, dei centri commerciali, degli hotel di lusso, insomma la solita baraonda. La situazione è considerata così grave che quattro importanti cineasti americani, Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Wes Anderson, Ari Aster e la neozelandese Jane Campion (Un angelo alla mia tavola, Lezioni di piano) hanno sentito il dovere di rivolgere un appello al nostro Presidente della Repubblica. Questa situazione, dicono in sostanza i cineasti, è “un profondo sacrilegio non solo per la ricca storia della città, ma anche per il patrimonio culturale”. Che gli artisti stranieri si siano mobilitati a favore dei cinema romani è comprensibile (molto meno lo è il silenzio di quelli italiani) perché Roma è da sempre, in Italia, la capitale del cinema (Milano lo è semmai del teatro, Strehler e Ronconi docent) e a Cinecittà sono tuttora disponibili gli scenari e i costumi di tanti grandi film.
Se Roma piange, Milano non ride. Si è passati dai 160 cinema degli anni Sessanta ai 29 attuali. Se la crisi del teatro ha importanti conseguenze culturali, quella del cinema ne ha anche, forse più gravi, sociali.
Negli anni pre-boom c’erano a Milano cinema di prima visione, tutti collocati in centro, cinema di seconda visione e cine di terza nelle periferie. Per vedere un buon film non era necessario andare al cinema d’essai per eccellenza, il mitico Orchidea in via Terraggio, bastava guardare con attenzione la programmazione dei cine di terza visione. I giornali dedicavano una pagina con l’elenco di tutte le sale, dall’Ambasciatori allo Zenit. Questi davano il poliziesco, il western, l’americanata ma nella settimana c’era almeno un bel film o anche un grande film. Io ho visto la Dolce vita, di nascosto perché era vietato ai minori di diciotto anni e io ne avevo sedici, al cine del Giambellino, il Giambellino del Cerruti Gino della canzone di Gaber. Quindi era un continuo spostarsi dal proprio quartiere ad un altro, si conoscevano zone fino allora non perlustrate, ambienti non conosciuti e nei bar intorno si facevano incontri, e a volte anche amicizie, con sconosciuti.
Il cine di terza era poi il rifugio delle coppie in amore. Siamo nel pre-boom e certamente i ragazzi non avevano i soldi per comprarsi un auto. Gaber canta:
“Un cinemino, forse, fatto apposta
Due film in una volta, cento lire
Ci siamo andati insieme ad ogni festa
Seduti in fondo, là senza guardare” (Porta Romana, 1972).
Per chi aveva ambizioni che andavano al di là del semplice petting c’era l’altrettanto mitico teatro Carcano, nato nel 1803, uno spazio molto ampio (circa mille posti a sedere) dove si poteva fare, furtivamente, con opportuni accorgimenti, il sesso in piedi, “al Carcano in p” secondo una nota canzone di Jannacci (Veronica, 1964). Se si ascolta la canzone dal vivo si sentono i gridolini finto scandalizzati delle ragazze.
Siccome i posti in piedi costavano più o meno la metà di quelli seduti, noi ragazzi stavamo nel pigia pigia di quelli in piedi e qui si svolgevano altre manovre. Un adulto, da dietro, ti appoggiava il cazzo duro sul culo. Una volta, infastidito, mi voltai e vidi Giovanni Testori, lo scrittore. Un’altra Arbasino. Con Arbasino, io e i miei due compagni, facemmo lega. Usciti dal cine ci offrì centomila lire, tanto per quegli anni, se ci lasciavamo fare un pompino. Insomma per incontrare tipi interessanti non era necessario andare al GIamaica o da Oreste in Piazza Mirabello dove incontrai Umberto Eco, tutto fuorché omosessuale, che mi regalò e autografo quello che secondo me è il suo libro migliore, Fenomenologia di Mike Bongiorno molto migliore, secondo il mio personalissimo cartellino, dei successivi che hanno avuto un enorme successo, Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault dove traffica, e molto arbitrariamente, col Medioevo. C’è da aggiungere un dettaglio, che forse dettaglio non è: al cine si poteva fumare. I popcorn, già segno di una decadenza irreversibile, sono arrivati dopo. Humphrey Bogart in Casablanca con la perenne sigaretta di sbieco in bocca era un mito, come lo era stato, per le generazioni che ci avevano preceduto, lo James Dean con una bottiglia di coca cola appoggiata alla tempia.
Eravamo giovani, eravamo belli, eravamo ingenui e attiravamo adulti di ogni sponda.
Parlando di Jannacci e di Gaber mi rendo conto che pur essendo cantori universali “basta che non ci debba mai mancare qualcosa da aspettare” è una filosofia più che una canzone (1959), quando parlano di Milano parlano di una città, oltre che di un’Italia obsoleta, che ai loro tempi non esisteva già più. Mi ricordo che a un Costanzo show battibeccai con Jannacci, che era un uomo puntuto, sulla canzone Ti te se no che dice a un certo punto “Che bel ch’el ga de vèss èss sciuri, cunt la radio noeuva e, nell’armadio…”. Gli dissi: “Enzo, guarda che oggi tutti hanno la televisione”.
E’ da anni, molti anni, che vedo avanzare questa Milano sempre più moderna, sempre più modernizzante e assisto allo scempio. Impotente.
1° marzo 2025, il Fatto Quotidiano
In un articolo per il Corriere della Sera intitolato “Lo ‘spaccone’ e le parole che tornano” (17.2) Paolo Di Stefano, giornalista ma soprattutto fine linguista, si scusa per essere costretto ad usare dei termini esclusivamente al maschile tanta è la preoccupazione di non urtare la sensibilità del “gentil sesso”, che oggi tanto gentile non è più.
Io non vedo di che cosa si possano lamentare le donne almeno quando si parla di raggiungere ruoli apicali: il Presidente del Consiglio italiano è una donna, Giorgia Meloni, il leader dell’opposizione è una donna, Elly Schlein, il Presidente della Commissione europea è una donna, Ursula von der Layen, il Presidente del Parlamento europeo è una donna, Roberta Metsola, a capo della Bce, ruolo fondamentale, c’è una donna, Christine Lagarde.
Certamente ciò non significa che nella vita comune non esistano discriminazioni a sfavore delle donne: nelle assunzioni un imprenditore, soprattutto un piccolo imprenditore, ci pensa due volte prima di ingaggiare una donna perché potrebbe rimanere incinta, e per lo stesso motivo, a parità di ruolo e di capacità, una donna prende in genere un salario inferiore a quello di un uomo. E’ dell’altro giorno il rapporto dell’Inps che documenta il gap fra i salari degli uomini e delle donne addirittura del venti per cento.
Però nelle relazioni sessuali è l’uomo ad essere in difficoltà per la semplice ragione che, per ragioni antropologiche poi diventate culturali, in un processo che sarebbe troppo complicato spiegare qui, è dalla parte della domanda (nel linguaggio popolare ci si chiede normalmente “la dà o non la dà?” e non “lo dà?”).
Il “MeToo”, partito da ragioni ragionevoli soprattutto nel mondo aziendale, perché molto spesso il capo abusa delle dipendenti utilizzando la sua posizione (molto meno nel mondo dello spettacolo dove mi lascia perplesso che un’attrice o una ballerina dopo aver ottenuto il ruolo dal regista lo accusi di “molestie sessuali” avvenute magari trent’anni prima e spesso si tratta di parola contro parola) ha ulteriormente complicato il già complicato rapporto fra i due sessi (ma sono ancora solo due?). Lo vedo anche nella mia storia personale e nella stessa difficoltà che ho, come Paolo Di Stefano, nel scrivere questo articolo cercando di non urtare la sensibilità femminile, impiegando quindi molta prudenza nell’usare il maschile e il femminile. Fino a non moltissimi anni fa ricevevo a casa i lettori, uomini e anche ragazze, sia pur in misura minore, che chiedevano di incontrarmi. Oggi se sono uomini, direi ragazzi perché in genere si tratta di giovani, continuo a riceverli a casa, se sono ragazze le porto al bar di sotto perché basta che lei dica “ci ha provato” e, parola contro parola, sei spacciato, una macchia di maniaco sessuale non te la leva più nessuno e ha riflessi sulla tua carriera professionale.
Recentemente Luis Rubiales, ex Presidente della Federcalcio spagnola, è stato condannato (“aggressione sessuale”) per aver baciato, nell’entusiasmo di una vittoria, una calciatrice. Eppure nel calcio maschile i giocatori si abbracciano e si baciano dopo una vittoria senza che nessuno abbia qualcosa da ridire accusandoli, poniamo, di omosessualità.
Il “MeToo” ha aperto un vaso di Pandora soprattutto nel mondo dello spettacolo e dello star-system. Si cominciò nel 2018 con Daniele Gatti, che era direttore d’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, e venne rimosso perché accusato di “comportamenti inappropriati” da due soprano. Mi piacerebbe sapere quando un comportamento è considerato “inappropriato”. All’alba di una possibile relazione sentimentale è l’uomo proprio perché sta, come ho detto, dalla parte della domanda, a dover fare una avance, che so, una carezza sui capelli o una mano sulla spalla, per farle capire che ti piace.
In Oriente nel mondo tantrico lui si stende una prima volta per quindici giorni alla sinistra del letto su cui lei è distesa, una seconda volta, sempre per quindici giorni, a destra. E quando la scopa? Mai. Perché prima arriva qualcuno un po’ meno tantrico.
Il maschio, a meno che non sia un bruto, e in questo caso va sanzionato con la massima severità, è timido, cosa che non so quanto sia capita e apprezzata dalla ragazze. Quante occasioni perdute per questa timidezza.
“Io dedico questa canzone
Ad ogni donna pensata come amore
In un attimo di libertà
A quella conosciuta appena
Non c’era tempo e valeva la pena
Di perderci un secolo in più
A quella quasi da immaginare
Tanto di fretta l’hai vista passare…
E ti piace ricordarne il sorriso
Che non ti ha dato e che tu le hai deciso…
Alla compagna di viaggio
I suoi occhi il più bel paesaggio
Fan sembrare più corto il cammino
E magari sei l’unico a capirla
E la fai scendere senza seguirla” (Le passanti, 1974, De André).
Poi sono venuti i casi di Depardieu, Spacey, Mbappè (tre gol al City in Champions), di Vin Diesel, degli Alpini al loro raduno nazionale, della interminabile “lista Epstein” che ha coinvolto il Principe Andrea, caduto in disgrazia presso la Famiglia Reale con l’accusa di aver abusato di una ragazza minorenne nella dimora di Epstein, di David Copperfield, di Michael Jackson, dell’agente francese di modelle Jean-Luc Brunel… Casi diversissimi finiti nello stesso mazzo. Come se ne esce? Mai!
26 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano