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Lunedi' la Cassazione ha rigettato l'istanza con cui i legali di Silvio Berlusconi chiedevano di trasferire a Brescia i processi in cui l'ex premier è imputato a Milano, per 'legittima suspicione', cioè perchè i giudici milanesi non avrebbero la serenità necessaria per emettere un giudizio imparziale. La Cassazione ha impiegato poco più di cinque minuti di Camera di consiglio per rigettare l'istanza, tanto strampalate erano le motivazioni addotte da Berlusconi. Alessandra Galli, uno dei tre giudici del processo Mediaset, non sarebbe serena perchè suo padre, Guido, magistrato anch'egli, è stato ucciso nel 1980 dai terroristi di Prima Linea. Che c'entra questo con Silvio Berlusconi? Tanto varrebbe sostenere che un magistrato che ha avuto delle tragedie familiari non puo' fare il magistrato. Il Pm Ilda Boccassini (processo concussione e prostituzione minorile) poichè ritiene di aver subito delle diffamazioni dai giornali di Berlusconi e ne ha richiesto i danni sarebbe in una situazione di 'conflitto d'interessi'. Se passasse un simile ragionamento sarebbe un gioco da ragazzi per un imputato che possegga dei media impallinare qualsiasi magistrato. Lo si fa diffamare dai propri giornali, lo si costringe alla querela e, oplà, ecco la 'legittima suspicione'. Altra motivazione: le vessazioni che Berlusconi avrebbe subito dai giudici che nella causa di separazione da Veronica Lario l'hanno condannato a pagare «una cifra addirittura superiore ai suoi guadagni». A parte ogni altra considerazione che c'entra un giudice civile con un giudice penale? E le altre motivazioni per invocare la 'legittima suspicione' non erano migliori. In realtà nemmeno i legali di Berlusconi, Ghedini e Longo, credevano al successo di questa sgangheratissima istanza. Fa parte della solita tattica dei rinvii, dei 'legittimi impedimenti', delle uveiti, del vittimismo dell' «accanimento» e del «complotto», il tutto accompagnato da una devastante campagna di delegittimazione della Magistratura, che dura ormai da vent'anni, condotta dall'entourage del Cavaliere e da Berlusconi in prima persona («la Magistratura è il cancro della democrazia»). Naturalmente anche la conferma in Appello, arrivata mercoledi', due giorni dopo il rigetto della Cassazione, della condanna a quattro anni per frode fiscale (Mediaset) è stata interpretata come una prova dell' «accanimento giudiziario» contro il Cavaliere da parte della «magistratura policitizzata».

Ci piace mettere a confronto, anche a mo' di commemorazione, i comportamenti di Berlusconi con quelli dell'onorevole Giulio Andreotti, deceduto lunedi'. Sottoposto a un durissimo processo, che lo ha spazzato via dalla vita politica, Andreotti non ha mai cercato rinvii, non si è mai avvalso di 'legittimi impedimenti' («Quando glieli proponevo si arrabbiava» ha detto Giulia Bongiorno) e non ha mai parlato di «complotto» della Magistratura in combutta con chichessia. Uscito assolto da quel processo, Andreotti si è ben guardato dal mettere sotto accusa i Pubblici ministeri Caselli e Lo Forte. Al contrario, mentre si scatenava, come oggi, la canea 'garantista' dei berluscones, ha ammonito a non fare il processo ai giudici, sottolineando, fra l'altro, con sottigliezza giuridica: «E' fuori luogo mettere sotto accusa la Procura. Se tutte le volte che le Procure hanno torto finissero sotto accusa, i Tribunali starebbero attentissimi a non metterle nei guai». Andreotti ha sempre avuto la consapevolezza di essere classe dirigente, con responsabilità e doveri che andavano oltre la sua persona. Una classe dirigente consapevole di esser tale non delegittima le Istituzioni perchè sa che sono le 'sue' Istituzioni e che dalla loro disgregazione ha tutto da perdere. Si tratta, insomma, di quel senso dello Stato che Silvio Berlusconi non ha mai dimostrato di avere. Ed è questo che fa la differenza fra uno statista, un gigante della politica e un nano.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 10 maggio 2013