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Gli editoriali del professor Angelo Panebianco sono fulminanti. Iniziano, in genere, con la scoperta dell’acqua calda, ma con grande autorità e anche con l’aria di aver detto qualcosa di pericoloso per l’autore. Così inizia un articolo del professore sul Corriere della Sera del 28.8: “Si sa che lo Stato di Israele, anche se non lo ha mai ammesso ufficialmente, possiede l’arma atomica”. Perbacco. Ma questo esordio al fulmicotone serve al professore per affermare ciò che più gli preme e cioè che le Atomiche se in mano ai dittatori sono un pericolo mortale, se invece ce l’hanno le Democrazie stan lì solo per figura. Per la verità, almeno finora, l’unica Nazione al mondo ad aver sganciato un’Atomica, anzi due, è stata la più grande Democrazia del pianeta, gli Stati Uniti d’America, a Hiroshima il 6 agosto del 1945 e tre giorni dopo, quando si conoscevano bene gli effetti devastanti di quest’arma nucleare avendola già ‘testata’, a Nagasaki. Ma seguiamo il professor Panebianco nel suo argomentare, perché è in qualche modo divertente. “Ma neppure i suoi più viscerali nemici pensano che Israele potrebbe lanciare ‘a freddo’ un attacco nucleare contro gli Stati (come l’Iran) che ogni giorno ne invocano la distruzione”. Per la verità Israele che ha i suoi missili nucleari puntati su Teheran ha minacciato più volte di usare contro l’Iran ‘atomiche tattiche’ (in che senso delle atomiche possano essere ‘tattiche’ qualcuno ce lo dovrebbe spiegare perché una volta che è avvenuta la scissione dell’atomo non si possono più limitare i suoi effetti devastanti). L’Iran di Ahmadinejad (e a maggior ragione quello di Rouhani) si è solo limitato ad augurarsi che Israele sparisse dalle carte geografiche. C’è una qualche differenza. La minaccia di Israele, paese democratico, democraticissimo, è concreta perché Israele l’Atomica ce l’ha, quella iraniana è solo verbale e retorica perché l’Iran l’Atomica non ce l’ha. Ma il professor Panebianco ribadisce che in tema di armi nucleari la distinzione fra Democrazie e Dittature è essenziale. Una democrazia “è sottoposta a vincoli interni ed esterni…invece, le armi nucleari di un regime totalitario nel quale il dittatore è libero di fare quello che gli pare, fanno paura a prescindere”. Anche se il professor Panebinaco si dichiara laico questo è un cattolico, cattolicissimo, processo alle intenzioni.

Quindi il professor Panebianco vira bruscamente su altri argomenti che con l’Atomica c’entrano assai poco. “C’è, per esempio, molta gente in Europa che, in odio agli americani, preferirebbe sostituire all’alleanza con gli Stati Uniti un’alleanza con la Russia, affidare la propria sicurezza ai russi. Fingono di non sapere (o non sanno) che passare da una alleanza con una democrazia autentica –che resta tale persino nell’epoca di Trump- a una alleanza con un regime autoritario (o, se si preferisce, con una democrazia illiberale) significa accettare che, alla lunga, si verifichino cambiamenti nella qualità della propria vita pubblica, accettare che il nuovo alleato vi inietti veleni autoritari”. Oh bella. A noi risulta che è dalla fine della Seconda guerra mondiale che gli Stati Uniti “iniettano” in Europa la loro potenza militare (hanno ottanta basi, anche atomiche, in Germania, una sessantina, anche atomiche, in Italia), economica, il ‘modus vivendi’, la cultura e persino la lingua, il killer english, come l’ha definito il giovane filologo classico Miska Ruggeri nel suo libro Giù le mani dal Liceo Classico.

Il problema per l’Europa non è se appoggiarsi, per la propria difesa, agli Stati Uniti o alla Russia, ma di farsi un proprio esercito. A questo progetto mi pare stia lavorando, sia pur con le necessarie cautele, l’unico uomo di Stato che abbiamo in Europa, vale a dire Angela Merkel.

Poi il professor Panebianco con le sue giravolte, tuffi carpiati e acrobatici, affronta, con spericolato coraggio, un altro argomento che riguarda i rapporti fra Democrazie e Dittature. “Non c’era bisogno di aspettare le ultime mosse del presidente Maduro per capire che cosa fosse diventato il Venezuela, che cosa fosse già all’epoca di Chavez. Ma siccome i suddetti caudillos si opponevano al ‘capitale finanziario internazionale’, ossia agli Stati Uniti, per alcuni erano comunque degni di applauso. E’ sempre stato sia tragico che ironico vedere tanti sedicenti antifascisti applaudire qualunque regime fascistoide purché nemico giurato delle ‘democrazie plutocratiche e reazionarie’ (copyright di Benito Mussolini)”. Forse è ancor più “tragico e ironico” che dei sedicenti liberali abbiano plaudito, senza esibire un lamento, alle più feroci e sanguinarie dittature sudamericane, da Noriega a Somoza a Pinochet a Batista, tralasciando, per carità di patria, le infinite altre che hanno sostenuto in tutto l’universo mondo.

Inoltre, nella visione, chiamiamola così, del professor Angelo Panebianco, le dittature hanno, in genere, il brutto vizio di voler favorire la povera gente, gli ‘umiliati e offesi’, a danno dei ricchi. “E’ assai frequente che gli autoritarismi, di destra o di sinistra, si facciano carico –con politiche populiste- dei ‘poveri’, dei descamisados”.

Il professor Angelo Panebianco crede di essere un liberale, invece ha una mentalità totalitaria che vede solo le proprie ragioni senza riflettere che anche gli altri ne hanno. Nella fattispecie anche Kim Jong-un contro il quale, fra giravolte e tuffi carpiati, è sostanzialmente diretto il suo editoriale.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2017

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C’ero al V-Day dell’8 settembre 2007. E sono contento di aver parlato dal palco insieme a Travaglio, che non era ancora il Travaglio superstar di oggi, alla Guzzanti e mi pare ad Alessandro Bergonzoni. In piazza Maggiore, piena fino all’inverosimile, si respirava un’atmosfera che mi sonava dentro. Un’atmosfera antipartiti contro i quali avevo cominciato una solitaria battaglia dai primi anni ‘80. Mi ricordo che c’era un tale che sventolava una bandiera rossa e Grillo gridò: “Tirala giù, che porta sfiga!”. Peraltro per me il ‘Vaffa’ non era del tutto una novità. Quando Grillo aveva cominciato a trasformare i suoi spettacoli da comici a politici mi aveva chiesto dei consigli perché aveva letto il mio La Ragione aveva torto?. E io glieli diedi tutti sbagliati. Fu mia l’idea di spaccare in scena un computer. Poi arrivò Gianroberto Casaleggio che di tecnologia informatica s’intendeva un po’ più di me e quella massa di piazza Maggiore si trasformò nel Movimento Cinque Stelle.

Mi pare che i Cinque Stelle non abbiano tradito piazza Maggiore e la gente che la popolava. Sono rimasti un movimento antisistema che vuole abbattere la partitocrazia. I suoi limiti, come ho detto ad Alessandro Di Battista sul palco della Versiliana, stanno proprio nei suoi pregi. Le linee guida del Movimento, tutte condivisibili e vere, sono state interpretate in modo eccessivamente rigido, poco duttile. E, come diceva Chesterton, “l’errore è una verità impazzita”. Tradotto: anche il più giusto dei princìpi se portato alle sue estreme conseguenze diventa un errore.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2017

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Si sta espandendo anche in Italia la pratica del ‘child free’: degli alberghi che non accettano bambini. Si sa i bambini fanno chiasso, corrono, sporcano e addirittura, se sono molto piccoli, frignano. E quindi disturbano la quiete dei clienti. Per la verità in giro più che bambini io vedo cani, di tutte le razze, che d’inverno vengono rivestiti di cappottini e anche, a volte, muniti di guanti, perché non prendano freddo, poveri cari. Secondo me i cani andrebbero trattati da cani, senza farne una sorta di scimmie umane, con opportuni calci nel culo quando occorre. Ma siamo un paese di animalisti e se ti azzardi a dare una pedata a un cane che ti ha morso il polpaccio rischi di finire non al Pronto soccorso ma in gattabuia per “maltrattamento di animali”. Ci inumidiamo fino alle lacrime per le fotografie di corpi di bambini stesi, esanimi, su qualche spiaggia della rotta dei migranti o morti assassinati dai bombardieri in Siria o in Iraq. Ma bambini vivi non vogliamo averli fra i piedi. Via, raus, foera di ball. I bambini, soprattutto nelle grandi città, non hanno luoghi in cui giocare. Per esempio nel centro di Milano ci sono degli splendidi palazzi che hanno al loro interno dei giardini altrettanto belli, ma la maggioranza dei condomini proibiscono ai bambini di andarci a giocare. Disturbano il riposo e possono danneggiare il famoso ‘verde’. Abbiamo il culto delle piante, tanto che impicchiamo gli alberi alle facciate di vetrocemento di certi grattacieli e li chiamiamo ‘boschi verticali’.

Comunque i condomini, come i club, sono luoghi privati e si danno le regole che più ritengono opportune. Ma gli alberghi, i ristoranti, i caffè, i bar sono luoghi pubblici, aperti al pubblico. C’è quindi da vedere, in prima istanza, se la pratica del child free è legale. All’apparenza sembrerebbe di no. Il Testo Unico di Pubblica Sicurezza recita: “Gli esercenti di locali pubblici non possono rifiutare di accogliere o servire un cliente a meno che non vi sia una legittima ragione”. Ma, come sempre, in Italia c’è una scappatoia costituita in questo caso dalla “legittima ragione” che ognuno può interpretare come gli pare.

Ad ogni modo se si accetta che la pratica del child free sia legale si aprono le porte a ogni sorta di apartheid. Gli ‘over 70’? A nessuno piace vedere un vecchio bavoso, con la patta dei pantaloni mezza aperta perché si è dimenticato di abbottonarsi, mentre a colazione biascica la sua brioche. Eppoi gli over 70 sono notoriamente ‘a rischio’, d’infarto, di ictus. Arrivo di ambulanze, sirene e addio alla quiete dei clienti. Via i vecchi dagli alberghi. ‘Old free’. E gli handicappati? A nessuno piace vedere una persona menomata che magari pretende anche di girare per la hall e nei corridoi in carrozzella. Via gli handicappati dagli alberghi. ‘Handy-handy free’. E i nani? I nani sono, oltre che disgustosi, pericolosi. Perché sono cattivi. “Hanno il cuore troppo vicino al buco del culo” come scrisse la formidabile giornalista del Borghese, Gianna Preda, a proposito di Amintore Fanfani, molti decenni prima che Fabrizio De André le scippasse il brand. Via i nani dagli alberghi. ‘Dwarf free’. E chi porta la barba? Potrebbe essere un pericoloso jihadista. O anche semplicemente un erede e seguace dei ‘barbudos’ di Castro e del Che e quindi di Chavez e persino del dittatore Maduro. La barba è un simbolo politico e come tale inaccettabile in un luogo pubblico. Se la rasino prima di entrare in un albergo. Via i barbuti dagli alberghi. ‘Beard free’. E le donne che portano il velo (non il burqa, ma lo hijab che copre solo i capelli)? Il velo è un simbolo religioso e come tale inammissibile in un luogo pubblico. Via le musulmane dagli alberghi. ‘Muslim free’. E le donne incinte? Potrebbero accusare le doglie in albergo. Trambusto, arrivo di medici e infermieri con buona pace dei clienti. Via le donne in stato interessante dagli alberghi. ‘Pregnant free’. E le donne in generale con quel loro fastidiosissimo ticchettio mentre marciano su tacco 12? Si accertino di avere non più di un tacco 8 se vogliono entrare in albergo. Altrimenti se ne vadano da un’altra parte, magari in campeggio che è più salutare. Via i tacchi a spillo dagli alberghi. ‘Heel free’.

In ogni caso la questione del ‘child free’ si eliminerà da sola. Il tasso di fertilità delle donne italiane è 1,3. Fra poco non nasceranno più bambini. Problema risolto.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 settembre 2017