pubblicato su Il Fatto
La radio del Sole24Ore mi ha chiesto se la mia sollecitazione al Presidente della Repubblica perché conceda la grazia a Renato Vallanzasca, in galera da quasi trentacinque anni, sia in contrapposizione polemica all'iniziativa del sindaco di Milano, Letizia Moratti, che vuole intitolare una piazza a Bettino Craxi condannato a oltre dieci anni di reclusione di cui non ha scontato un solo giorno, svernando in quel di Hammamet. No. Si tratta di due cose diverse. Anzi opposte. Con l'eventuale concessione della grazia a Vallanzasca lo Stato afferma al massimo grado la sua potestà e infatti questo istituto è un residuo del potere assoluto dei Re. Se invece lo Stato, attraverso una sua Istituzione, quale è il Comune, onora quello che la Magistratura ha condannato come delinquente, delegittima se stesso perché la Magistratura, checché ne pensi quel cafone vestito da cafone che siede a Palazzo Chigi, è una parte dello Stato. Inoltre, su un altro piano, sancisce che è stato giusto rubare i quattrini agli italiani, tanto giusto che è doveroso onorare i ladri, dato che questo fecero Craxi e la pletora dei tangentisti (il solo "emerso" di Tangentopoli, che, come per qualsiasi reato, è solo una minima parte della grassazione totale, quella rimasta impunita, è costato al nostro Paese 630 mila miliardi di lire, un quarto del debito pubblico, cosa di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze, sulle pensioni, sulle tasse, sui ritardi delle opere pubbliche).Per riabilitare il non riabilitabile - almeno penalmente - Bettino Craxi - si è grattato il fondo inesauribile delle illogicità. Ma il premio dell'assurdo, da teatro alla Ionesco o alla Beckett, spetta a Ciriaco De Mita che a suo tempo Gianni Agnelli definì «un'intellettuale da Magna Grecia». Col suo tortuoso linguaggio De Mita ha dichiarato al Corriere:«Le sentenze di Mani Pulite avrebbero dovuto correggere un errore (il sistema delle tangenti, ndr), se il problema rimane vuol dire che la soluzione era sbagliata». Il che equivale a dire che se si scoprono dei ladri e li si abbottega è sbagliato e inutile perché poi verranno altri ladri. Aboliamo quindi il reato di furto e facciamola finita. Ma De Mita va più in là. «La lettura giustizialista è sbagliata. Se uno sottrae risorse è reato, invece il sistema, se è sistema, non si condanna». Il che equivale a dire che se ci sono dei singoli mafiosi le loro azioni sono reato, ma se la mafia è un sistema allora non è condannabile. E bravo De Mita.Nonostante il leader socialista mi avesse definito, nientemeno che dagli Stati Uniti, «un giornalista ignobile che scrive cose ignobili» (non sopportava le critiche che gli muovevo dal 1979, l'anno della svolta cesarista) non sono stato uno di quelli che ha infierito su Craxi al momento della sua caduta. Al contrario. Mentre sul'Indipendente Feltri e Belpietro (fra gli attuali difensori di Craxi in funzione berlusconiana) impazzavano chiamandolo "il cinghialone", dando così alle legittime inchieste giudiziarie un sapore da "caccia sadica", e infierivano anche sui suoi figli, io, oltre a scrivere, sullo stesso Indipendente, una lettera aperta a Feltri in cui gli ricordavo che i figli non hanno i meriti ma nemmeno le colpe dei padri («Caro Direttore, ti sbagli su Stefania Craxi», Indipendente 11/05/92), pubblicai un articolo intitolato «Vi racconto il lato buono di Bettino» (17/12/92), in cui ricordavo che accanto al Craxi sfigurato, sconciato, deformato, di quei momenti, fiocinato anche, e proprio, dai suoi ex protetti, ce n'era stato anche un altro che aveva suscitato speranze in molti.Per me Craxi diventa indifendibile, anche umanamente, quando fugge dall'Italia, per paura della prigione come mi disse Ugo Intini, e non riconosce le Istituzioni del Paese di cui pur era stato presidente del Consiglio, buttandovi sopra palate di fango, deligittimando in questo modo anche se stesso come presidente del Consiglio.Massimo Fini