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Brigitte Bardot. Hanno suscitato clamore e polemiche alcune affermazioni di Brigitte Bardot in cui l’ex attrice dava del “maleducato” a Papa Bergoglio. Che cos’era successo? Che BB gli aveva scritto una prima lettera in cui si complimentava per il nome scelto da Bergoglio, Francesco ( San Francesco è, come si sa, un protettore degli animali e BB un’animalista sfegatata), e lo screanzato si era permesso di non rispondere, come non aveva risposto a una seconda lettera facendo sbrigare la pratica a un servitore.

Certo non poteva correre buon sangue fra BB e il Vaticano dal momento che nei primi Anni Sessanta, all’epoca in cui l’attrice era al massimo del successo (Et Dieu…créa la femme) , una sua fotografia campeggiava nelle austere aule pontificie come simbolo del peccato e del male. Povera BB, intorno a lei non si è mai respirata aria non dico del male, ma del peccato, casomai l’ingenua malizia degli Anni Sessanta così ben espressa da una foto in cui una BB solare, in t-shirt e jeans (lanciò, di fatto, anche questo modo semplice di vestire, come lanciò il bikini) sta in spalla a Laurent Terzieff (sia detto di passata, qualcuno, della mia generazione naturalmente, ricorderà forse l’esemplare interpretazione di Terzieff nel personaggio di Caligola di Albert Camus al teatro Le Lucernaire di Parigi).

La Bardot è stata accusata di essere islamofoba, omofoba e naturalmente di destra (ma in realtà come un altro idolo di quella generazione, ma maschile, Alain Delon, è sempre stata gollista). C’è da notare anche che BB veniva da una famiglia alto-borghese di cui contestava lo stile , in modo gentile però, e non in quello sguaiato e pericoloso dei sessantottini che vennero dopo di lei. Del resto di queste origini borghesi e di questa buona educazione c’è qualche traccia, non è per caso che fu inizialmente indirizzata alla danza classica e al pianoforte. Come attrice non è stata granché ma ne La Vérité di Clouzot dimostrò che, se ben diretta, sapeva anche recitare. Ha avuto anche l’intelligenza di ritirarsi dalle scene poco prima dei quarant’anni quando era ancora bellissima, come aveva fatto, a 36, Greta Garbo, la divina. Viveva da tempo nella sua storica villa, La Mandrague, a Saint-Tropez, non più ossessionata dai giornalisti che detestava.

Ma tutto ciò non conta assolutamente nulla. BB non è stata un mito, ma il Mito dei Miti. E’ l’unica star del jet set internazionale, non solo artistico, cui è stata dedicata una canzone, “Brigitte Bardot Bardot/Brigitte Beijou Beijou”  del compositore brasiliano Miguel Gustavo. Simone de Beauvoir, la compagna di Sartre, scrisse che la Bardot valeva il fatturato della Renault. Gigi Rizzi, che ebbe con lei un breve flirt di un paio di mesi, ha campato una vita su quella vicenda che provocò grande malumore nei nostri cugini d’oltralpe perché il Gigi di Nervi, sbaragliando una competizione praticamente planetaria, aveva colpito nel punto più delicato l’orgoglio francese.

BB appartiene ad un Empireo, inarrivato e probabilmente inarrivabile. E quindi se devo scegliere fra BB e un Santo Padre non ho dubbi. Scelgo BB.

 

Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano 3 Gennaio 2024

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Sto leggendo I Canti di Maldoror di Lautréamont. Li avevo affrontati a vent’anni, e sfogliata qualche pagina, avevo lasciato perdere. Non ero sufficientemente pronto per una lettura così impegnativa. La stessa cosa mi è capitata con Proust. Per quattro o cinque volte avevo iniziato La strada di Swann e alla cinquantesima pagina avevo sbattuto il primo degli otto volumi della Recherche, pubblicati da Mondadori, contro il muro. A quarant’anni, un’ estate, divorai tutti gli otto volumi. Ed è ovvio. La Recherche è il grandioso affresco di un’epoca, un trattato di psicanalisi, ma anche e soprattutto un libro sul Tempo e sulla memoria (la madeleine). E a vent’anni di memoria se ne ha meno che a quaranta, si è impegnati a percorrere quei tratti di vita che diventeranno a loro volta memoria. Bisogna quindi diffidare degli estenuati proustiani di vent’anni, o lo fanno per darsi un tono o per sublimare in quel modo la loro omosessualità (anche se oggi, con l’omosessualità sdoganata, questo travestimento è meno necessario).

L’apprezzamento di un libro, di un film, di qualsiasi opera d’arte dipende dal momento della vita in cui l’affrontiamo. Non è sempre detto che quello della maturità sia il migliore per capire. Rimbaud, per esempio, è molto più vicino alla sensibilità degli adolescenti o dei post-adolescenti, essendo adolescente lui stesso. Scrisse Una stagione all’Inferno a 19 anni e la sua opera si concentra in quattro anni, poi non ne vorrà più sapere della sua attività di poeta e di scrittore, attraverserà più volte a piedi le Alpi finché si imbarcherà per l’Africa a fare il mercante, rifiutando qualsiasi contatto con editori e giornali. A uno di questi, particolarmente insistente, dirà: “la mia stagione è finita, questo è tutto”

Lautréamont è, insieme a Rimbaud (“il poeta si fa veggente attraverso un lungo e ragionato sregolamento di tutti i sensi”, espressione che usò in una lettera a un amico, non a Verlaine come si crede comunemente) il fondatore della poesia, della letteratura moderna, della cultura moderna. L’intera arte del primo Novecento, letterati, poeti, pittori, scrittori, giornalisti - Guillaume Apollinaire -respira Lautréamont, dal surrealismo al cubismo al fauvismo al puntinismo al simbolismo. Spesso in modo inconscio, a volte conscio. Lo aveva letto, per esempio, Amedeo Modigliani, una delle figure più luminose, straordinarie e generose di quella irripetibile Parigi che va dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta del Novecento in cui si raccolsero pittori, scrittori, musicisti, provenienti da tutta Europa, dalla Spagna alla Russia alla Romania alla Bulgaria alla Turchia e in seguito agli americani il cui ruolo principale, anche se non unico- Hemingway, Fitzgerald, Henry Miller - fu di farsi intelligenti mercanti d’arte comprando le opere di pittori tutti squattrinati, a parte Picabia, ma Picasso compreso.

Il tentativo titanico di Lautréamont, di Rimbaud, di Baudelaire fu di scardinare, a metà dell’Ottocento, nel breve tempo della loro vita (Lautréamont muore a 24 anni, Rimbaud, come poeta a 22, Baudelaire a 46) le strutture sociali, psicologiche ed economiche della loro epoca, cioè le strutture della borghesia.

Il più possente in quest’opera è Lautréamont, con la sua straordinaria, nuovissima scrittura, con la sua poesia in prosa, si legga l’Ode all’Oceano del primo canto di Maldoror. Insomma dopo aver letto Lautréamont non si può più essere simili a quello che eravamo prima.

Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano 2 gennaio 2024

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I governi europei stanno diventando più americanisti degli americani. Hanno deciso di finanziare l’Ucraina con 50 miliardi, anche se il progetto non è stato ancora messo a terra per l’opposizione di Orbàn. Negli stessi giorni Zelensky ha fatto la sua terza puntata a Washington, sempre per chiedere armi e quattrini, ma a differenza delle due precedenti che erano state trionfali questa volta è stato accolto con molta freddezza. Sono soprattutto i repubblicani ad opporsi. Non bisogna dimenticare che i repubblicani sono stati storicamente “isolazionisti”, prima che Bush padre, influenzato dalle teorie del politologo Francis Fukuyama (“La fine della storia e l’ultimo uomo”) inanellasse una serie di guerre di aggressione dall’attacco alla Serbia del 1999, all’Iraq del 2003, alla Somalia per interposta Etiopia (2006-2008) e infine, con la collaborazione dei francesi e degli italiani, all’aggressione della Libia del colonnello Mu’ammar Gheddafi. Tutte guerre che, in un modo o nell’altro, sono girate in culo all’Europa.

Ma ricorsi storici a parte c’è il fatto che il popolo americano è stanco di appoggiare l’Ucraina di Zelensky, come sono stanchi i popoli europei che sono tutti alle prese con gravi crisi economiche. Anche il popolo italiano è stanco di dover sborsare quattrini mentre ha problemi in tutti i settori, da quello della “borsa della spesa”, cioè dell’inflazione, alla sanità. Anche Giorgia Meloni pur dichiarando che l’appoggio all’Ucraina è imperituro, ha fatto capire, sia pure in modo surrettizio, che ha capito che il popolo italiano è stanco. Ma anche gli ucraini non sono compatti in questa sfida all’ultimo sangue con la Russia. Otto milioni su 43, che è la popolazione complessiva dell’Ucraina, se ne sono andati dal Paese pur di non combattere e non si può credere che si tratti solo di donne e bambini. Nel recente disastro ferroviario di Marghera sono state coinvolte famiglie ucraine, uomini compresi.

L’ostinazione di Zelensky che ha deciso per decreto legge che non si può trattare con la Russia di Putin comincia a stare sullo stomaco a tutti. Zelensky è smarrito perché con la guerra israelo-palestinese, che è ben più insidiosa di quella russo-ucraina perché può coinvolgere il mondo intero, ha perso quella visibilità, quella posizione di protagonista, cui tanto tiene. Si cerca di accontentarlo con la promessa di un ingresso nell’Unione Europea. Ma questo, allo stato, non è possibile perché l’Ucraina non ha i requisiti fondamentali: ha cancellato tutti i partiti di opposizione,  imbavagliato i media, messo sotto il suo controllo la Magistratura. L’Ucraina può entrare nella Nato, dove siedono noti tagliagole come Recep Tayyip Erdoğan, non nella UE. Se si vuole dare ulteriore alimento alla sindrome dell’accerchiamento che ha Putin, non senza buone ragioni, si faccia pure entrare l’Ucraina nella Nato.

Eppure, almeno in teoria, la soluzione del conflitto russo-ucraino non è impossibile. La Crimea è russa, perché il 40 percento della popolazione è russa e un altro 40 percento è tataro o cosacco, che sono parte integrante della storia russa. In quanto al Donbass potrebbe diventare una regione autonoma all’interno dell’Ucraina, tutelando nello stesso tempo i russofili che ci vivono e la stessa Ucraina, garantendole la difesa se Putin dovesse avanzare altre pretese. Personalmente ritengo una sciocchezza, non innocente, che Putin voglia allargare i confini della Russia ad altri paesi europei. C’è poi chi spera che Putin sia abbattuto dall’interno ma è un wishful thinking perché Putin ha l’appoggio della Russia profonda, la ‘moscoia’ come la chiamiamo noi russi che ama Putin che ha ridato grandezza a quel paese dopo che con Gorbaciov si era steso ai piedi degli americani.

Intanto sul campo le cose si mettono male per gli ucraini. La famosa offensiva di primavera è fallita (ma quando mai si annuncia un’offensiva dando il modo al nemico di prepararsi, con tutti questi strateghi in campo si è dimenticato il blitzkrieg che diede modo a Hitler, passando per il Belgio, di arrivare in due settimane a Parigi?). Gli Ucraini sono 43 milioni, i Russi 143. È una guerra che “nessuno può vincere”, come ha affermato lo stesso Capo di stato maggiore, il generale Mark Milley, a meno che non entrino direttamente in campo gli americani e i paesi europei ostili alla Russia, il che significherebbe la terza guerra mondiale di cui nessuno, a parte forse Zelensky, sente il bisogno.

Anche quella all’Afghanistan era una guerra che “non si poteva vincere”, secondo quanto ammoniva lo stesso Pentagono e gli Usa vi hanno buttato via 1000 miliardi di dollari.  Per questo Donald Trump ritirò il contingente americano dall’Afghanistan (l’indecorosa uscita, con uno scomposto fuggi fuggi generale è invece opera di Biden, in quanto agli italiani il primo a fuggire fu l’ambasciatore). Per questo sono convinto che se Trump ridiventerà Presidente la guerra in Ucraina finirà in pochi mesi. Trump prima di diventare un politico è stato un imprenditore e buttare via i dollari per niente non sta nel suo dna. Per lo stesso motivo il suggerimento più saggio l’aveva dato Silvio Berlusconi che in una lettera aperta a Biden gli aveva pressappoco detto: “ Tu di’ a Zelensky che noi gli promettiamo un piano Marshall, per la ricostruzione dell’Ucraina, ma digli anche che se non si mette a trattare immediatamente con Putin non gli daremo più né armi né quattrini”.  Ma il barcollante  Biden aveva fatto orecchie da mercante. Berlusconi è morto e stramorto, ma una volta tanto aveva ragione. Peraltro anche lui prima di diventare politico è stato, e resta con la sua famiglia, un imprenditore con la mentalità dell’imprenditore.  Del resto, nonostante tutte le roboanti dichiarazioni dei governi, in Ucraina le imprese di tutti i paesi europei e degli Stati Uniti stanno lavorando per accaparrarsi le migliori fette della torta, cioè della ricostruzione. Speriamo che alcune di queste fette arrivino anche all’Ucraina e agli ucraini che, predetto il peggio possibile di Zelensky, se lo meritano dopo aver versato tanto sangue, proprio e altrui.

 

Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano 24 Dicembre