0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Basta. Non se ne può più di questo puritanesimo sessuofobico e ipocrita di origine yankee (come è noto l’America è un paese profondamente matriarcale, altro che dominio degli uomini) che si sta estendendo per ogni dove.

Siamo al delirio. Il ministro della Difesa britannico Fallon ha sentito il dovere di dimettersi perché una quindicina di anni fa, durante una cena, aveva posato la mano sul ginocchio di una giornalista, Julia Hartley-Brewer, che gli sedeva accanto e che li aveva risposto per le rime. Oggi Julia, ricordando quell’episodio, dice di averlo trovato “abbastanza divertente”. Ma intanto il governo britannico, già periclitante, è in crisi.

Dustin Hoffman è stato messo sotto torchio, fra le altre cose, perché durante le riprese di Morte di un commesso viaggiatore (1985) l’attore, mentre una stagista diciasettenne gli portava la colazione in camerino, le disse, alla presenza di altre persone, “oggi voglio un uovo sodo e un clitoride alla coque”. Una battuta, volgare, ma pur sempre una battuta. Ma intanto l’ottantenne Hoffman ha perso ogni possibilità di avere l’Oscar al quale era seriamente candidato per il suo ultimo film.

Nel frattempo le assistenti parlamentari britanniche hanno creato una sorta di ‘lista della vergogna’ con i nomi di 40 deputati accusati di molestie sessuali o di “comportamenti inappropriati” (ma quali sono, ce lo spieghi qualcuno, i “comportamenti inappropriati”?). Siamo alle liste di proscrizione di sillana memoria.

Le donne stanno diventando dei soggetti pericolosissimi da tenere a debita distanza. Potremo ancora dire “sei carina, mi piaci” o dovremo fare, come ai vecchi tempi, una dichiarazione d’amore in ginocchio, a distanza di sicurezza e alla presenza di testimoni? Potranno ancora i ragazzi napoletani fare le serenate sotto le finestre della loro amata? O dobbiamo tornare all’amore stilnovista, cantato da Dante e Cavalcanti, solo idealizzato ma mai praticato?

A teatro pochi minuti prima che si apra il sipario, per ragioni scaramantiche, è lecito, anzi è considerato un portafortuna, toccare il sedere alle attrici. Mettiamo tutti gli attori di teatro nelle “liste della vergogna”. E Vittorio Gassman? Catherine Spaak mi raccontò che quando girava L’armata Brancaleone Gassman si divertiva, ogni tanto, a pizzicarle il bel sedere. Mettiamo anche Gassman nelle “liste della vergogna”, alla memoria.

Noi maschi (si fa per dire) dobbiamo partire al contrattacco. Il primo strumento è la calunnia utilizzato dal regista Brett Ratner. Le molestie sessuali sono difficilmente dimostrabili e, se avvenute in anni lontani, il reato è prescritto, ma intanto il colpevole, vero o presunto, è stritolato dal circuito massmediatico e dalla massa enorme dei voyeur di Facebook che a me fan più ribrezzo dei molestatori così come gli autori di un linciaggio mi fanno più ribrezzo di colui che viene linciato, perché son fatti della stessa pasta. La calunnia, che si invera come reato per il solo fatto di riguardare episodi indimostrabili, ha effetti immediati, prescrittibili a lunga scadenza, che comportano una pena detentiva dai 2 ai 6 anni.

Siamo noi, i maschi (si fa per dire) i veri molestati. Dalle continue provocazioni di giovani donne che sculettano, sommariamente vestite, nelle pubblicità e sulle televisioni. Facciamo una class action contro le singole protagoniste di queste provocazioni o se si tratta di pubblicità o tv contro i mandanti.

Non so se ci accorgiamo che stiamo dando ragione ai costumi musulmani più radicali. Lei è coperta da capo a piedi e può uscire solo se accompagnata da un parente. Così si evita ogni equivoco.

Ma con buona pace di Silvia Truzzi la soluzione migliore è quella che ho suggerito io: soddisfarsi da soli dietro una siepe. Anche perché la fantasia e l’immaginazione superano sempre la triste realtà.

Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2017

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

L’attacco a Manhattan dell’uzbeco Sayfullo Saipov deve preoccupare, oltre che l’America, la Russia. Da tutta una serie di elementi raccolti in questi giorni, ma che non potevano essere ignoti né all’Intelligence americana né a quella russa, in Uzbekistan, paese musulmano dove l’88% della popolazione pratica la religione sunnita, ci sono forti agganci con la jihad. Proprio per questo il governo di Putin ha recentemente riconosciuto ufficialmente ai Talebani afghani lo status di “movimento politico e non terrorista” e li sta rifornendo di mitragliatori, lanciagranate e anche di armi più sofisticate, ma non dei micidiali missili terra-aria Stinger che porrebbero fine in poco tempo all’occupazione militare americana e Nato (chiamata ora, pudicamente e ipocritamente, Resolute Support Mission) così come avvenne quando erano i russi a occupare l’Afghanistan e gli americani si decisero a supportare i mujaheddin anche con gli Stinger. Qual è la strategia di Putin? L’Isis è penetrato profondamente in Afghanistan, tant’è che di recente ha compiuto una serie di attentati a Kabul e se sfonda il quel Paese dilaga non solo in Uzbekistan ma in Turkmenistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, tutti a maggioranza musulmana. Cioè la jihad si avvicina pericolosamente a Mosca. I Talebani afghani combattono contro l’Isis da quando si è affacciato in Afghanistan (la settimana scorsa ci sono stati sanguinosi scontri fra i Talebani e gli jihadisti nella provincia settentrionale afghana di Jawzjan, notizia puntualmente ignorata dalla stampa occidentale). I russi considerano quindi i Talebani oggettivamente degli alleati. Li armano, ma non in modo decisivo per poter continuare così a logorare gli occupanti occidentali che si ostinano a restar lì. Di segno diametralmente opposto è la strategia americana che invece di considerare, come fanno i russi, i Talebani afghani degli alleati, sia pur indiretti, continua a combatterli favorendo l’Isis. Perché gli americani si ostinano a restare in Afghanistan favorendo così l’Isis e indirettamente i russi? Per nessuna ragione ragionevole. Gli stessi osservatori occidentali, in primis quelli americani, ammettono che quella afghana “è una guerra che non si può vincere”. Che senso ha allora continuare a restare a logorarsi in quel Paese per decenni, avendolo tra l’altro distrutto invece di ricostruirlo, fino a quando verranno inesorabilmente cacciati come ci racconta tutta la storia degli afghani che buttarono fuori dal loro Paese gli inglesi nell’Ottocento e i russi nel 1989 dopo dieci anni di occupazione sovietica? Restano, insieme agli italiani complici, “per salvare la faccia”, la loro bella faccia, cosa di cui non si preoccuparono, tenendo conto di quella che era la realtà, né i sovietici né, andando indietro nel tempo e riferendosi a un’altra area geopolitica, Nixon quando decise di lasciare il Vietnam.

Conclusione: Putin è un vero uomo di Stato, che ragiona da uomo di Stato, la dirigenza statunitense, almeno da George W. Bush in poi, assomiglia molto di più a una congrega confusionaria e confusa di incapaci autolesionisti e pericolosi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2017

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

La fuga di Puigdemont ad Anversa per chiedere asilo politico sembra la cosa più intelligente, non è la più giusta. Sembra la più intelligente perché ad Anversa, città caposaldo dell’indipendentismo fiammingo, Puigdemont potrebbe presumibilmente costituire un governo in esilio, come fece De Gaulle dopo l’invasione tedesca nella Seconda guerra mondiale, rifugiandosi a Londra. Ma non è la più giusta perché restando in Spagna e facendosi incarcerare avrebbe dimostrato il carattere dittatoriale del regime spagnolo mettendo ben in chiaro chi, in terra iberica, è democratico e chi non lo è fra realisti e indipendentisti. Ci sono momenti nella vita di un uomo, politico o non, in cui ha il dovere di dimostrare d’esser tale, sia a se stesso sia a coloro che lo hanno seguito, pagando anche prezzi personali altissimi (come si sa Puigdemont e molti dei suoi collaboratori sono accusati di reati gravissimi –principalmente di sedizione- che prevedono fino a trent’anni di carcere). Lucio Sergio Catilina va fino in fondo alla sua storia, pur sapendo che al quel fondo lo aspetta solo la morte, ed è per questo che rimane nella Storia come un esempio indelebile della rivolta contro il Potere. Erano altri tempi, molto diversi dai nostri dove assai raramente un capo politico si assume fino in fondo la responsabilità delle sue azioni e delle sue decisioni. In Italia si potrebbe fare un elenco infinito, che va dalla vergognosa fuga degli Stati Maggiori dopo la rotta di Caporetto quando i fanti –contadini- si rifiutarono di continuare a farsi ammazzare in nome degli interessi della borghesia e della tattica omicida/suicida dell’‘attacco frontale’ del generale Cadorna, al Re e Badoglio che il 9 settembre del 1943 lasciano, ben provvisti di ogni masserizia, Roma allo scoperto in balia dell’esercito tedesco, a Benito Mussolini che, dopo tanta retorica sulla ‘bella morte’, che indusse tanti giovani fascisti a immolarsi per la Repubblica di Salò, fugge travestito da soldato tedesco, ai ‘cattivi maestri’ contemporanei come Tony Negri, altro emblema dell’eterno “armiamoci e partite”, ad Aldo Moro che dal carcere delle Brigate Rosse scrive le lettere che scrive facendo strame di tutte quelle Istituzioni a cui aveva chiesto agli italiani di credere, fino a Bettino Craxi che, per non scontare le proprie responsabilità, se la fila in Tunisia.

Ma torniamo alla questione catalana. Non è una questione di diritto anche se da questo punto di vista gli indipendentisti avrebbero delle buone carte in mano richiamandosi al Trattato di Helsinki del 1975, firmato da 35 Paesi, fra cui la Spagna, che stabilisce il principio dell’”autodeterminazione” dei popoli. Non è una questione di diritto perché tutte le norme costituzionali e tutte le decisioni delle varie Corti e dei vari magistrati non hanno alcun senso quando è in atto una secessione. Quando gli americani nel 1776 dichiararono la propria indipendenza non rispettarono, ma violarono, ovviamente, la Costituzione della Gran Bretagna. Ogni secessione riuscita è un ribaltamento dell’ordine costituzionale preesistente.

La repressione del governo di Mariano Rajoy, con l’appoggio dell’Europa, è ottusa, soprattutto se vista da parte degli europei. Gli indipendentisti catalani vogliono separarsi dalla Spagna non dall’Europa. E questa, nell’attuale situazione storica, è l’unica possibilità per un indipendentismo europeo. E’ chiaro infatti che nessun indipendentismo nel Vecchio Continente può affermarsi senza l’appoggio degli altri Stati europei. Verrebbe strangolato economicamente (è questo il modo vigliacco in cui oggi si combattono le guerre, vedi Maduro e il Venezuela) come aveva già cominciato a fare il governo di Madrid. D’altro canto l’indipendentismo, letto in questa chiave, non costituisce alcun pericolo per l’Europa, anzi in un certo senso la rafforza portandovi all’interno, almeno in alcuni casi, come quello catalano, movimenti più convintamente europeisti.

Questa è la situazione allo stato attuale delle cose. A più lunga, e per ora utopica, gittata l’indipendentismo va verso quella ricostituzione delle ‘piccole patrie’ (che era l’ipotesi della prima Lega di Bossi e Miglio) e quindi di comunità in cui possano riaffermarsi quei valori, prepolitici, preideologici, prereligiosi, di solidarietà, di dignità, di onestà di cui oggi sentiamo urgentemente il bisogno, ma che il processo di globalizzazione ha distrutto (e l’Italia ‘sovranista’ che tanto piace, in contraddizione con se stesso, a Matteo Salvini è una sorta di ‘punta di lancia’ di questa distruzione dei valori primari che, temo, infetterà l’intera Europa continentale).

Ma più in profondità ancora l’indipendentismo, attraverso altri fenomeni che non vi sembrano collegati e che invece lo sono, fino all’”America first” di Donald Trump, è una rivolta sotterranea e carsica contro l’ordine mondiale che si è costituito all’indomani del 1945. Quindi “hasta la vista, hasta siempre” Catalogna.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2017