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Dopo l’attentato di Orlando dove un esponente del partito democratico, James T.Hodgkinson un attivista molto vicino a Sanders, socialisteggiante, il meno inquietante dei recenti candidati alla Casa Bianca, si è messo a sparare all’impazzata 400 colpi, ferendo, tra gli altri, in modo gravissimo, il deputato repubblicano Steve Scalise –il che ci dice che in America c’è una sorta di impazzimento generale, se raggiunge anche un uomo politico, sperimentato, strutturato, di 66 anni-  Donald Trump ha tenuto un discorso di incoraggiamento alla Nazione. Un discorso composto, istituzionale, molto diverso dai sui tweet ondivaghi, dove ha detto tra l’altro: “Tutti noi dobbiamo essere orgogliosi di essere americani”. E fin qui niente da dire. Ma poi ha aggiunto che questo orgoglio deriva dal fatto che gli Stati Uniti “sono il campione dei campioni della democrazia e della pace”. Della pace? Non è costui lo stesso Trump che qualche settimana fa ha finanziato l’Arabia Saudita con 120 miliardi di dollari per armamenti che poi questo stesso Paese scarica, non solo con la complicità ma anche con l’intervento diretto dei bombardieri americani, sugli Houti dello Yemen?

Lo stesso Dipartimento di Stato ha ammesso che solo nell’ultimo anno, in Siria e in Iraq, i droni e i caccia americani hanno ucciso 521 civili. Per sbaglio, per carità. Gli yankee sono specialisti, con i loro missili chirurgici e le loro bombe intelligenti, nello sparare a chi cojo cojo, scuole e ospedali compresi, salvo poi, in qualche caso, scusarsi e aprire inchieste che non portano a nulla.

Negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti hanno inanellato cinque guerre di aggressione (Serbia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Somalia 2006/2007, Libia 2011). Occupano militarmente e politicamente l’Afghanistan da sedici anni, la più lunga guerra dei tempi moderni, e pur sapendo benissimo che la loro presenza in quel Paese non solo è inutile ma contribuisce a devastarlo ulteriormente, si ostinano a restare e hanno in programma di aumentare di circa 5.000 unità i loro soldati per un totale di 15.000 a cui vanno aggiunti quelli richiesti agli altri Paesi, fra cui l’Italia, che partecipano alla cosiddetta missione ISAF/Nato ora ribattezzata Resolute Support Mission che, sia detto di passata, non ha più nemmeno la copertura dell’Onu. Non hanno nessuna ragione per rimanere in Afghanistan, tranne quella di ‘salvare la faccia’, perché, a differenza dei sovietici, non accettano la sconfitta.

Hanno basi militari, molte delle quali nucleari, in Europa (80 in Germania e 60 in Italia, altre in Olanda, in Belgio, in Islanda) e in tutto l’universo mondo, in una misura tale che riesce difficile contarle con precisione (approssimativamente dovrebbero essere 150).

Hanno 6.800 Bombe. Ma poiché considerano le loro Atomiche desuete sono in avanzata fase di programmazione di nuovi ordigni, sempre atomici, il cui gioiello è  la ‘bomba da crociera B61-12’ che secondo un reportage di Paolo Valentino sul Corriere del 14/6 “è in grado di essere armata con testata nucleare o convenzionale, a potenza variabile e altissima precisione”. Sulla ‘precisione’ ci permettiamo di dubitare visto che (ed è solo un esempio fra i tanti) nella prima guerra del Golfo (1990) i ‘missili chirurgici’ e le ‘bombe intelligenti’, cioè ordigni considerati “ad altissima precisione”, hanno ucciso 32.195 bambini per stessa ammissione del Pentagono. Ma il problema non è nemmen questo. Come aggiunge Paolo Valentino queste Bombe, più piccole e più maneggevoli “e per così dire limitate negli effetti, sono meno impensabili da usare”. Potrebbero, per esempio, essere utilizzate nei conflitti regionali, cioè nel solito Medio Oriente ma anche sulla Corea del Nord e nell’Estremo Oriente.

Pure la Russia di Putin, che ha attualmente 7.000 testate atomiche, diciamo così, tradizionali, si è messa sulla stessa strada della ‘modernizzazione’ del suo armamento nucleare.

Dice un antico proverbio “tanto tuonò che piovve”. A furia di armarsi con ordigni sempre più sofisticati i nostri reggitori del mondo ci stanno portando verso una terza guerra mondiale, tutta nucleare, che proprio queste armi rendono ancor più possibile che nel periodo della Guerra Fredda, che allora “l’equilibrio del terrore” rendeva improbabile perché avrebbe distrutto contemporaneamente Stati Uniti e Unione Sovietica.

Comunque e in ogni caso se gli americani sono i “campioni della pace”, allora chi sono i campioni della guerra?

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2017

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Dare ora addosso ai grillini, anche da parte di coloro che in qualche modo simpatizzano per questo movimento (per gli altri è stata una vera orgia, un urlo liberatorio per lo scampato pericolo, rilanciato, oltre che dai politici, da tutti i media nazionali –quante interviste a Pizzarotti e a Cassimatis abbiamo dovuto sentire?) per gli errori commessi è ingeneroso e maramaldesco. Ma poiché questi errori, almeno quelli di fondo, li ho denunciati in tempi non sospetti, quando il grillismo era alle stelle, mi permetto di tornarci sopra adesso, nel momento di una débacle. 1. Un movimento rivoluzionario che vuole abbattere il sistema, sia pur in modo pacifico e non violento, quando è allo stato nascente non può che essere dirigista, ‘leninista’. Non credo che Lenin e Trotsky consultassero i loro militanti prima della presa del Palazzo d’Inverno. Allo stato nascente di una rivoluzione non esiste “l’uno vale uno”. Grillo se ne è accorto in ritardo e ha cercato di riprendere nelle sue mani il movimento, ma questo ha sconcertato i suoi militanti oltre a dare, per la palese contraddizione fra la teoria e la pratica, facile materia d’attacco agli avversari. 2. Il secondo errore consegue dal primo. Un movimento che può contare su otto milioni di voti non può dare la parola decisiva a meno di 150 mila iscritti.

Ciò premesso queste elezioni ci dicono che a un 50% degli italiani (cioè del complesso del corpo elettorale scontato delle astensioni e di circa il dieci per cento andato ai Cinque Stelle in queste amministrative) questo sistema partitocratico, che ci ha portato al fosso, sta bene, che vogliono continuare sull’andazzo di sempre. Ma anche qualora le astensioni, che sono aumentate del 7% circa e che manifestano un totale disgusto per la classe politica, dilagassero ulteriormente nulla cambierebbe. Una minoranza avrebbe comunque la meglio sulla maggioranza. Sono gli scherzi, i trucchi, le truffe della democrazia. Un sistema a cui personalmente ho finito di credere da molto tempo (Sudditi. Manifesto contro la Democrazia, 2004).

Come se ne potrebbe uscire? Con una rivoluzione violenta. Le rivoluzioni sono fatte in genere da una minoranza figuriamoci se non sarebbero alla portata di una maggioranza. Ma non è possibile. Sostanzialmente per due motivi. Il primo, minore, è che la nostra popolazione è troppo vecchia (45 anni di media contro, poniamo, i 32 della Tunisia una delle protagoniste delle ‘primavere arabe’) per avere l’energia per scendere sul campo, sul terreno fisico. Il secondo è che l’Italia è integrata all’Europa e persino l’Europa, se non gli stessi Stati Uniti a cui il Vecchio Continente rimane sottomesso, ci manderebbe i carri armati. I russi poterono fare la rivoluzione bolscevica senza interferenze, gli italiani quella fascista. Oggi nessun Paese occidentale è più padrone del proprio destino.

Inoltre la democrazia, che è sostanzialmente un sistema di procedure e di parole, ha mille modi per difendersi. In Italia la democrazia, che da noi non è nemmeno una democrazia ma una partitocrazia, ha innocuizzato prima la rivolta che si manifestò nella breve stagione di Mani Pulite, poi la Lega di Bossi e innocuizzerà, come tutto tende a far prevedere, anche il Movimento Cinque Stelle o fenomeni minori come è stato quello dei ‘forconi’.

Per questo da tempo preferisco concentrarmi sull’Afghanistan o sull’Isis. Perché almeno lì parlano i fatti, non le parole.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2017

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L’estate si avvicina minacciosamente. “La vecchiaia inizia quando l’estate invece che una promessa di felicità diventa una preoccupazione” ho scritto nel mio libro Il ribelle dalla A alla Z. Per me, quando ero ragazzo, l’estate e il mare hanno sempre coniugato la parola proibita: felicità. E questo sentimento era comune ai miei coetanei. Sto rimettendo a posto i miei ‘45 giri’ (vinile purissimo). Quasi tutte le canzoni d’amore dell’epoca sono ambientate d’estate al mare (Sapore di sale di Gino Paoli, Una rotonda sul mare di Fred Bongusto, Abbronzatissima di Edoardo Vianello sono solo alcuni degli infiniti esempi che si potrebbero fare) oppure la rimpiangono o l’attendono con ansia (“Come un giorno di sole fa dire a dicembre/l’estate è già qui” canta Patty Pravo).

Per i vecchi l’estate cambia completamente di segno. Le passioni d’amore, con i loro struggimenti, sono ormai alle spalle da tempo o se qualche traccia ne rimane è talmente affievolita da non avere più nulla a che vedere con l’età in cui le slacciavamo, con dita tremanti, i bottoni della camicetta.

Ma la questione non è questa. Sta nel fatto che l’estate acuisce tutti i problemi, drammatici, anche se occultati da una Scienza e da una pubblicistica ingannevoli e non innocenti, della tetra vecchiaia e al cui centro, almeno in Occidente, sta la solitudine.

In Europa solo il 3,5 % dei vecchi vive con i propri figli e i propri nipoti. Però d’inverno, e nelle stagioni contigue, i figli, a meno che non si siano avventurati in qualche altra regione del mondo, rimangono in città, ti restano in qualche modo vicini, qualche volta ti permettono di portare i nipotini ai giardini e di non stare perennemente a guardare, come un babbeo, con le mani incrociate dietro la schiena, i ‘lavori in corso’, malvisti dagli operai che hanno il loro daffare. Ma d’estate i figli e i nipoti se la filano in vacanza. Anche i vicini se ne vanno. E la tua casa piomba in un silenzio tombale. Rotto solo dalle sirene delle autoambulanze che si fanno più acute perché anche la città, con meno macchine, è più silenziosa. E i vecchi rabbrividiscono. Perché, per un singolare paradosso, non sentono il caldo, si disidratano e muoiono. Questo lo sanno, cercano di bere anche se non ne sentono l’esigenza, ma a ogni suono di sirena pensano: la prossima volta potrebbe toccare a me. Non è nemmeno un caso che sia proprio l’estate la stagione in cui gli psicolabili danno maggiormente in escandescenze.

Ma il killer più pericoloso resta la solitudine. Secondo una recente ricerca la solitudine uccide più di 15 sigarette al giorno. Non si tratta naturalmente della solitudine per scelta che è quella che puoi fare da giovane, traendone anzi un sottile piacere anche perché sai che puoi interromperla in ogni momento. Ma la solitudine dei vecchi non è una scelta, è una condizione sociale. Ed ecco che allora bisogna darsi da fare, trovare qualcuno, uno qualsiasi, con cui passare e “ammazzare il tempo” essendo consapevoli che è il Tempo che sta ammazzando noi e che stiamo spendendo malamente gli ultimi spiccioli che ci restano.

Terribile, veramente terribile, è la condizione del vecchio nella società moderna. Un tempo viveva in una famiglia allargata, circondato dall’affetto dei numerosi figli e degli ancora più numerosi nipoti, delle zie rimaste nubili che non mancavano mai e accudito dalle donne di casa per il tempo, fortunatamente breve (la medicina tecnologica non si era ancora inventata l’accanimento terapeutico) in cui non era più in grado di badare a se stesso. Nella società contadina, a prevalente tradizione orale, il vecchio era il detentore del sapere, rimaneva fino all’ultimo il capo della famiglia, conservava un ruolo e la sua vita un senso. Nella società agricola il vecchio è il saggio, in quella industriale e ancor più in quella digitale è un relitto. E il suo avvilimento è aggravato da quell’istituto crudele che solo la razionalità moderna poteva creare, la pensione (“E adesso vai a curare le gardenie, povero, vecchio e inutile stronzo”). Perso da un giorno all’altro il ruolo sociale, per quanto modesto, che aveva avuto nella vita non gli resta che attendere la morte e sollevare così la società da un peso divenuto intollerabile. L’estate provvederà a un salutare sfoltimento dei ranghi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 13 giugno 2017