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Il guazzabuglio creatosi dopo i fatti di Roma dice in quale confusione, mentale e legale, è precipitata l’Italia dove tutti si sentono autorizzati a mettere becco là dove non dovrebbero (per citare un esempio recentissimo: gli interventi del Papa e dei vescovi sulla questione dello ‘ius soli’ che, comunque lo si intenda risolvere, è una questione interna allo Stato italiano).

I fatti sono noti. Su ordine della Prefettura la polizia deve sgombrare uno stabile occupato abusivamente da quattro anni da migranti. I migranti non ci stanno. Lanciano sassi e pericolose bombole di gas dal decimo piano. La polizia reagisce, come è suo diritto e dovere, con cariche e idranti, senza provocare feriti. Questione di ordinaria amministrazione. E la cosa dovrebbe fermarsi qui. E invece che ci fa in mezzo al guazzabuglio Medici senza frontiere? Medici senza frontiere è la più autorevole delle Ong, meritevole perché opera in pericolosi scenari di guerra, dove volano i bombardieri e ci sono scontri fra le varie fazioni in causa (sia detto di passata: l’altro giorno i droni americani bombardando Raqqa hanno ucciso 41 civili, più o meno tre volte l’attentato jihadista a Barcellona). È in queste situazioni che Medici senza frontiere ha la sua funzione e la sua utilità. Ma che ci sta a fare sul nostro territorio, in Italia che fino a prova contraria è un Paese democratico, sia pure con mille pecche, e che sul piano dell’ordine pubblico agisce, in linea di massima, con metodi democratici? Che ci stanno a fare i preti e alti prelati come Mussie Zerai e il vescovo Paolo Lojudice? Che senso ha zoomare su un funzionario di polizia, che in piena bagarre, in trance agonistica grida ai suoi: “Devono sparire, se tirano qualcosa spaccateglie ‘n braccio” senza che poi nulla di ciò accada? Quella frase ha lo stesso valore di quella di un calciatore che all’ennesimo intervento duro dell’avversario gli dice: “La prossima volta ti spezzo le gambe”.

Siamo quindi d’accordo, una volta tanto, con l’editoriale di Alessandro Sallusti (Il Giornale del 25 agosto) che difende la polizia e la legalità. Solo che Il Giornale ha il difettuccio di difendere la legalità solo quando c’è di mezzo la polizia ma non la Magistratura che della legalità è supremo garante e che invece i berlusconiani – per la notoria criminalità del loro capo e di una parte della classe dirigente che lo sorregge – attaccano costantemente da almeno quindici anni. La legalità va difesa sempre. O mai. Non comunque a fasi alterne.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 26 agosto 2017

 

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Egr. Direttore,

M. Fini, nel suo stupendo articolo pubblicato oggi dal F. Q., prevede che anche Maduro seguirà la stessa sorte degli altri leader detronizzati dagli Usa e dalle cosiddette democrazie occidentali quando sono diventati sgraditi alle forze del bene. Queste ultime, dopo aver bombardato, massacrato e occupato, hanno completato l'opera insediando governi fantoccio. Fini ricorda anche il golpe di Pinochet che provocò inaudite sofferenze al popolo cileno. I sostenitori del legittimo governo democratico di Allende vennero torturati e massacrati. Aggiungo, perché Fini non lo cita, che tale scempio di diritti e di vite umane venne presto dimenticato, altrimenti non si spiega la seguente idilliaca lettera che papa Wojtyla inviò, anni dopo, al macellaio: "Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa signora Lucia Hiriarde Pinochet in occasione delle loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale ." Giovanni Paolo II". Le forze del bene risposero in coro: "AMEN".

Maurizio Burattini

 ***

Se mi è consentito vorrei solo dire: bravo Fini!

Massimo è riconosciuto da sempre come una voce fuori dal coro, ma bisognerebbe avercene una decina come lui per aiutarci a non smarrire la bussola - in quest'epoca in cui il consueto pensiero unico è potenziato ed amplificato esponenzialmente dalla globalizzazione - o, al limite, provare a clonarlo.....

Io conoscevo tutti i fatti e le circostanze da lui citate, ma faticavo ormai, sotto le bordate mediatiche, a metterli in fila.....

Ancora bravo!

Vincenzo Orsini

 ***

Gentile Direttore,

ho letto oggi, sul numero 224 del Fatto, un bellissimo articolo di Massimo Fini, che ho molto apprezzato.

Lo condivido e sottoscrivo in pieno, solo con una piccola notazione critica:

negli scontri degli ultimi quattro mesi in Venezuela, non sono stati uccisi 125 oppositori.

Ci sono stati 125 morti, certo, la maggioranza delle quali (un'ottantina) vittime di colpi di arma da fuoco, bottiglie incendiarie, razzi ed esplosivi di fabbricazione artigianale, linciaggi, da parte di bande di oppositori violenti.

La maggioranza di queste vittime non sono appartenenti alle Forze di Polizia, che pure hanno dovuto versare un cospicuo contributo di sangue, ma civili ritenuti, a torto o a ragione, "chavisti" come il povero Orlando Figueroa, un ventenne picchiato, ferito e poi bruciato vivo, solo perché indossava una maglietta rossa, oppure passanti coinvolti per caso.

Emblematico il caso di una signora che seguiva, camminando su un marciapiede con le borse della spesa, una manifestazione di sostenitori del governo, ma senza parteciparvi, uccisa da una bottiglia di acqua ghiacciata lanciata dall'alto di un edificio.

Circa 25 morti sono attribuibili ad appartenenti alla Polizia o alla Guardia Nazionale (quasi tutte per lacrimogeni lanciati ad altezza d'uomo) che sono stati, peraltro  sottoposti, nella quasi  totalità dei casi, a procedimenti disciplinari e giudiziari .

Un'altra ventina di vittime sono persone, spesso estranee alla lotta politica, molte delle quali anziane, ammalate o ferite,  a cui è stato impedito, con blocchi stradali effettuati nei quartieri e nelle strade in cui vivevano,  di essere soccorse e trasportate in Ospedali e Pronti soccorsi.

Tutto questo è anche documentato da un bellissimo servizio-inchiesta della giornalista televisiva statunitense Abby Martin.

Ma queste dovute precisazioni non inficiano il contenuto dell'articolo, che andrebbe letto attentamente da parecchi componenti della Redazione del Fatto.

Purtroppo fra i media occidentali, di cui parla Massimo Fini, che da mesi fanno da cassa di risonanza acritica alla Cnn e alla stampa asservita ai potentati economici, seppellendo i lettori   di menzogne sulla situazione del Venezuela, da qualche tempo dobbiamo annoverare, con grande delusione di molti sinceri democratici, anche il Fatto Quotidiano.

E, mi creda,  quell'"asticella dell' infamia" a cui allude Fini, a proposito degli articoli di Guido Guzzanti sul Giornale, è spesso superata agevolmente dai corrispondenti  da Caracas o da Buenos Aires.

Distinti saluti.

V.A. Galdieri

 

 

Ringrazio i lettori per i complimenti ad un pezzo molto spinoso quale era quello su Maduro. Al lettore Galdieri faccio notare che uno dei pregi del Fatto è di accogliere anche opinioni assai diverse e spesso contrastanti fra di loro. E ciò è dovuto sia all'impostazione del giornale che, com'è noto, è autogestito e indipendente, sia al suo Direttore, Marco Travaglio, che è un liberale autentico, un montanelliano.
Due parole su Wojtyla in riferimento a una lettera, riportata dal lettore Burattini, che Giovanni Paolo II inviò al generale Pinochet. Durante i venticinque anni del suo Pontificato Wojtyla fu una Superstar ma le vocazioni crollarono, i monasteri si svuotarono, iniziò anche una forte crisi del sacerdozio e si ridusse al minimo quel poco di senso del sacro che era rimasto in Occidente. Come mai questa stridente contraddizione? La crisi della Chiesa cattolica è dovuta a vari fattori legati soprattutto alla modernizzazione che si porta dietro materialismo e un edonismo straccione. Ma Wojtyla ci ha messo molto del suo. Sia perché si è confuso con la modernizzazione usandone a tappeto i mezzi (tv, jet, viaggi spettacolari, creazioni di 'eventi', concerti, gesti pubblicitari, 'papamobile', 'papaboys') sia, e forse soprattutto, perché è stato un Papa politico che è entrato a piedi uniti in questioni, appunto, politiche che poco o nulla hanno a che fare con la ragione inditta della Chiesa che, lo dico 'in partibus infidelium', dovrebbe essere la cura delle anime e dello spirito. Per restare in Italia basterebbe ricordare i suoi anatemi contro l'indipendentismo della Lega delle origini, come se un Paese fosse più o meno religioso se unito o trino. Con questa funzione politica, e non con una sorta di dimenticanza, si spiega la lettera, che mi permetto di definire infame, che scrisse al generale tagliagole Pinochet e alla sua 'augusta' consorte. Su questa buona o, per meglio dire, cattiva strada sembra avviato anche il molto popolare Papa Bergoglio che è andato a stringere la mano a un altro assassino di Stato come il generale Abd Al-Fattah Al-Sisi. Forse, tra i più recenti, il Pontefice che è stato più vicino alle esigenze spirituali dell'uomo moderno è l'ascetico Ratzinger, teologo finissimo, che, quando era ancora Cardinale, scrisse: "Il Progresso non ha partorito l'uomo migliore, una società migliore e comincia ad essere una minaccia per il genere umano". In ogni caso, né Wojtyla né Ratzinger né Bergoglio, sempre pronti a 'chiagne' sulle vittime del terrorismo o di terremoti o delle 'bombe d'acqua', hanno mai speso una parola, una sola, per i civili, uomini, donne, bambini uccisi in Afghanistan dai nostri bombardieri. Ma questo è un altro discorso.
Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2017

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Domenica stavo guardando Bologna-Torino dove si sperimentava, come su tutti gli altri campi, il famoso VAR. E mi sono messo a ridere a crepapelle. Su un contropiede del Toro, Destro, del Bologna, tocca la palla che finisce a un giocatore granata, Belotti, che la cicca in modo indecoroso e poi a un altro, Berenguer, che mette in rete. Non può essere fuorigioco perché a lanciare gli attaccanti del Torino è stato un avversario. Una situazione classica. L’arbitro fischia. Ci sono quattro minuti di incertezza. Si può ricorrere al VAR o no? Alla fine l’arbitro annulla il gol. Finirà che a ogni azione incerta ci sarà una sorta di assemblea fra arbitro, guardialinee, quarto uomo, i due arbitri di porta e quelli che stanno nelle catacombe del VAR. Che siano poi questi a dare la sentenza definitiva è una stronzata. Proprio perché giudicano da una posizione asettica, senza sentire la pressione dei tifosi. E allora dove va a finire il fattore campo? Già adesso le tv scrutano il labiale dei giocatori per cui uno che ha preso un tremendo pestone non può nemmeno urlare una sacrosanta bestemmia senza essere in seguito sanzionato, anche se l’arbitro non aveva sentito nulla. E in attesa della moviola in campo (figuriamoci il casino) l’invasione della tecnologia sui campi di calcio, nell’infantile e prometeico tentativo di evitare l’errore, che ci sarà sempre, contribuisce a togliere al calcio la sua magia e il suo incanto. Uno dei gol più memorabili è quello segnato di mano, contro i lentissimi vacconi inglesi, da Diego Armando Maradona.

Questa storia grottesca del VAR fa parte di una tendenza più generale che va ben oltre i campi di calcio: sostituire l’uomo con la tecnica. Farne una semplice appendice. Si tratti di casellanti o di operai di fabbrica, l’uomo a poco a poco scompare. Ci sono robot che badano ai vecchi, una sorta di cyborg terapia, che organizzano tutto nella nostra casa a cominciare da ciò che deve stare in frigorifero, dagli acquisti, dalle temperature. Automobili che si autoguidano. Altre e multiformi specie di replicanti per cui sembra di essere entrati diritto e di filato in Blade Runner.

Ma torniamo al punto. Facciano pure i moderni Frankenstein, piccoli e grandi, ma lascino almeno stare il calcio che era stato l’ultimo luogo, in Occidente, dove si era rifugiato un po’ di quel senso del sacro che abbiamo perduto. Adesso, al posto del sacro c’è la tecno e l’economia. Il VAR e Neymar. E così il nostro grande giocattolo di sempre andrà fatalmente, e sia pur lentamente, a morire. Come avevo previsto nel 1982 quando fu introdotto il terzo straniero. E io le previsioni le sbaglio raramente. Andate a dar via i ciapp, come disen qui a Milan.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2017