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Nonostante la furiosa e disperata resistenza degli uomini di Al Baghdadi, Mosul e Raqqa, le roccaforti di quello che ai suoi esordi si chiamava ‘Stato Islamico dell’Iraq e del Levante’, definizione che avrebbe già dovuto mettere in allarme, stanno per capitolare e il Califfato per essere spazzato via dalla faccia della terra. Ma con esso non sparirà la Jihad. Perché la Jihad è un’epidemia, ideologica, sociale, esistenziale, che finora, oltre che in Iraq e in Siria, si è manifestata, sia pur in forme non omogenee, in Libia, in Egitto, in Tunisia, in Algeria, in Marocco, in Somalia, in Mali, nelle Filippine, in Bangladesh, in Pakistan (l’Afghanistan fa storia a sé) e potrebbe contagiare anche gli occidentali propriamente detti (non solo i figli degli immigrati che vivono in Europa e i figli dello ‘ius soli’).

Le ragioni più profonde della Jihad, di questa Jihad, che solo in parte, più in superficie che nella sostanza, appaiono religiose, emergono da uno splendido libro Ma quale paradiso? Tra i jihadisti delle Maldive (Einaudi) non a caso recensito in modo entusiasta dal fisico Carlo Rovelli, che non è proprio l’ultimo della pista, di Francesca Borri, collaboratrice del Fatto e di una ventina di media internazionali, che nonostante la giovane età (37 anni) ma già con una lunga esperienza sul campo, a partire dal Kosovo, è secondo me il migliore inviato di guerra oggi in circolazione, perché ha il coraggio degli storici inviati del Giornale Gian Micalessin e Fausto Biloslavo (per la verità Biloslavo, se fosse per lui, si metterebbe anche a combattere) ma a differenza di costoro, filoamericani e filoccidentali a oltranza, il che nuoce non poco all’obbiettività delle loro corrispondenze del tutto unilaterali, è molto più ‘open mind’, mentre di Lorenzo Cremonesi, l’inviato di punta di Esteri del Corriere, ha la limpidezza nell’esporre ma ci mette una passione che l’altro non dimostra per cui i suoi scritti sono più affascinanti.

Le motivazioni più profonde e più vere della Jihad vengono fuori dai colloqui (Borri non intervista, conversa con gli interlocutori, cerca cioè di capire anche le ragioni dell’’altro’, cosa proibitissima in tutto il mondo occidentale per non dire in Italia) che la giornalista ha con gli jihadisti delle Maldive (circa 300 sono partiti per l’Iraq, per la Siria e per altri luoghi di combattimento).

Nelle Maldive lo jihadismo nasce dai resort. Dice Kinan: “I camerieri, i cuochi, ormai vengono tutti dal Bangladesh, sono tutti immigrati disposti a farsi trattare come schiavi. Mentre per le mansioni superiori, quelle a contatto con i turisti, vogliono solo occidentali. Solo bianchi…Qui accoltelli fino a quando non vieni accoltellato, nient’altro. E per una guerra che non è la tua. In Siria, se non altro, sarei ucciso per una ragione migliore”. Dice Mohamed studente ventenne in partenza per la Siria: “L’Islam è giustizia. Giustizia come è intesa ovunque. Come uguaglianza di diritti e di opportunità…Qui non siamo cittadini. Siamo mendicanti”. La Jihad è una questione innanzitutto sociale, oltre che esistenziale, il tentativo di recuperare una dignità perduta. Un combattente di Aleppo, parlando con la Borri aggiunge: “La sicurezza non viene dalle armi, è inutile. Viene dalla giustizia. Oggi nel mondo una minoranza della popolazione possiede tutto. Quanto sarà? Il 10%? E però voi non è che pensate che il mondo così non può funzionare: pensate che volete essere in quel 10%. Poi dici a me violento. Non siamo mica più brutali di altri. Per niente. Avessimo i droni, staremmo anche noi ad abbattervi con il telecomando. Senza mezzo schizzo di sangue. In fondo voi volete liberare noi. E noi vogliamo liberare voi”.

Il grande reportage della Borri, che parla dal campo, conferma un’intuizione che, da qui, avevo avuto in due pezzi pubblicati dal Fatto, il primo del 29.6.2016 intitolato Califfo in salsa marxista, il secondo del 5.3.2017 che concludevo con queste parole: “Io leggo l’Isis, in ultima istanza, come una guerra che i popoli poveri, o almeno una parte di essi, stanno muovendo a quelli ricchi”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2017

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Breve vocabolarietto delle parole e delle espressioni proibite o sconvenienti da non usare per non incorrere nel rimbrotto sociale o, nei casi più gravi, nella galera. A fianco le dizioni corrette o i dispregiativi utilizzati per innocuizzare le espressioni, in sé normalissime, ma non accettate.

Puttana/Escort

‘Bottana’/ Prostituta da strada

Finocchio/Gay

‘Buco’/Da usare solo nel senso di buca

Lesbiche, travesta e affini/LGBT

Fica/”La natura” (copyright Silvio Berlusconi)

Orgia/Burlesque (idem)

Puttaniere/”Consumatore finale”

Leccare la fica (pardon, “la natura”)/Cunilingus

Leccare il culo/Anilingus

Piscia (femminile)/Plin plin

Anoressica/Vegana

Cessa/Interdetto assoluto

Omicidio di una donna/Femminicidio

Fidanzato accoppato/Era uno stalker

Inculare/Sodomizzare

Inculare/Inchiappettare

Pedofilo vaticano/Pederasta (in senso greco)

Coglioni/Cabasisi

Impotente/Ha raggiunto la pace dei sensi

Merda/Palta

Cazzo/”C…”

Guerriglieri dell’Isis/Terroristi

Guerriglieri dell’Isis/Tagliagole

Stato Islamico/Il sedicente stato islamico

Americani macellai/Custodi della Pace Universale

Eserciti (degli altri)/Orde

Spioni/Intelligence

Spioni (altrui)/Hacker

Pulotto/Agente di Polizia

Sbirro/Idem

Razzismo (occidentale)/Cultura superiore

Religioni non monoteiste/Sètte

Negro/Nero

Morti per fame a causa nostra/Migranti economici

‘Culona inchiavabile’/Angela Merkel

Seguace della Merkel/Criptonazista

Il Presidente Trump/Tycoon, palazzinaro, magnate

Salvini/Non c’è eufemismo

Pirla/Feltri

Pirlate/Articoli del suddetto

Fabietti Fazi and company/Maitre à penser

Esponenti dello star system strafatti/Artisti

Amici furfanti di Matteo Renzi/Membri del ‘Giglio magico’

Padre di Renzi/Il ‘babbo’ (con una venatura di tenerezza)

Politici amministratori ladroni/Colletti bianchi

Grillino/Brutto, sporco, cattivo, rozzo, ignorante, populista ‘de’ noatri’

Italiani/Pietosi, soccorrevoli, amorevoli, si fanno voler bene da tutti

Italiani vigliacchi/Tengono famiglia

Temporale/”Bomba d’acqua”

Qualsiasi vittima di qualsiasi incidente/Persona meravigliosa, straordinaria, genitore affettuosissimo

Biotruffatori/Ambientalisti

Alberi impiccati alle facciate/Boschi verticali

Pitbull che ha sbranato due bimbi/”Il migliore amico dell’uomo”

Esame medico nefasto/Controllo ‘di routine’

Cieco/Ipovedente

Privo delle gambe/Motuleso

Vecchi/Terza Età

Vecchissimi/”Grandi anziani” o Quarta Età

Vecchiaia (in generale)/”Turbo longevità”

Handicappati/Diversamente abili

“Porco…!/Porco Zio (per i veneti)

Particolare attenzione bisogna avere nei necrologi: la parola morto non deve (come non è) essere mai nominata. Sostituti:

“la scomparsa”

“la dipartita”

“la perdita”

“si è spento”

“ci ha lasciato”

“è mancato all’affetto dei suoi cari”

“i parenti piangono”

“è terminata la giornata terrena”

“è tornato alla pace del Signore”

Insomma il morto è semplicemente uno ‘diversamente vivo’.

E’ caratteristica essenziale di questa nostra società bizantina di mettere le parole al posto delle cose pensando di poterle così eliminare.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 giugno 2017

 

 

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Dopo l’attentato di Orlando dove un esponente del partito democratico, James T.Hodgkinson un attivista molto vicino a Sanders, socialisteggiante, il meno inquietante dei recenti candidati alla Casa Bianca, si è messo a sparare all’impazzata 400 colpi, ferendo, tra gli altri, in modo gravissimo, il deputato repubblicano Steve Scalise –il che ci dice che in America c’è una sorta di impazzimento generale, se raggiunge anche un uomo politico, sperimentato, strutturato, di 66 anni-  Donald Trump ha tenuto un discorso di incoraggiamento alla Nazione. Un discorso composto, istituzionale, molto diverso dai sui tweet ondivaghi, dove ha detto tra l’altro: “Tutti noi dobbiamo essere orgogliosi di essere americani”. E fin qui niente da dire. Ma poi ha aggiunto che questo orgoglio deriva dal fatto che gli Stati Uniti “sono il campione dei campioni della democrazia e della pace”. Della pace? Non è costui lo stesso Trump che qualche settimana fa ha finanziato l’Arabia Saudita con 120 miliardi di dollari per armamenti che poi questo stesso Paese scarica, non solo con la complicità ma anche con l’intervento diretto dei bombardieri americani, sugli Houti dello Yemen?

Lo stesso Dipartimento di Stato ha ammesso che solo nell’ultimo anno, in Siria e in Iraq, i droni e i caccia americani hanno ucciso 521 civili. Per sbaglio, per carità. Gli yankee sono specialisti, con i loro missili chirurgici e le loro bombe intelligenti, nello sparare a chi cojo cojo, scuole e ospedali compresi, salvo poi, in qualche caso, scusarsi e aprire inchieste che non portano a nulla.

Negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti hanno inanellato cinque guerre di aggressione (Serbia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Somalia 2006/2007, Libia 2011). Occupano militarmente e politicamente l’Afghanistan da sedici anni, la più lunga guerra dei tempi moderni, e pur sapendo benissimo che la loro presenza in quel Paese non solo è inutile ma contribuisce a devastarlo ulteriormente, si ostinano a restare e hanno in programma di aumentare di circa 5.000 unità i loro soldati per un totale di 15.000 a cui vanno aggiunti quelli richiesti agli altri Paesi, fra cui l’Italia, che partecipano alla cosiddetta missione ISAF/Nato ora ribattezzata Resolute Support Mission che, sia detto di passata, non ha più nemmeno la copertura dell’Onu. Non hanno nessuna ragione per rimanere in Afghanistan, tranne quella di ‘salvare la faccia’, perché, a differenza dei sovietici, non accettano la sconfitta.

Hanno basi militari, molte delle quali nucleari, in Europa (80 in Germania e 60 in Italia, altre in Olanda, in Belgio, in Islanda) e in tutto l’universo mondo, in una misura tale che riesce difficile contarle con precisione (approssimativamente dovrebbero essere 150).

Hanno 6.800 Bombe. Ma poiché considerano le loro Atomiche desuete sono in avanzata fase di programmazione di nuovi ordigni, sempre atomici, il cui gioiello è  la ‘bomba da crociera B61-12’ che secondo un reportage di Paolo Valentino sul Corriere del 14/6 “è in grado di essere armata con testata nucleare o convenzionale, a potenza variabile e altissima precisione”. Sulla ‘precisione’ ci permettiamo di dubitare visto che (ed è solo un esempio fra i tanti) nella prima guerra del Golfo (1990) i ‘missili chirurgici’ e le ‘bombe intelligenti’, cioè ordigni considerati “ad altissima precisione”, hanno ucciso 32.195 bambini per stessa ammissione del Pentagono. Ma il problema non è nemmen questo. Come aggiunge Paolo Valentino queste Bombe, più piccole e più maneggevoli “e per così dire limitate negli effetti, sono meno impensabili da usare”. Potrebbero, per esempio, essere utilizzate nei conflitti regionali, cioè nel solito Medio Oriente ma anche sulla Corea del Nord e nell’Estremo Oriente.

Pure la Russia di Putin, che ha attualmente 7.000 testate atomiche, diciamo così, tradizionali, si è messa sulla stessa strada della ‘modernizzazione’ del suo armamento nucleare.

Dice un antico proverbio “tanto tuonò che piovve”. A furia di armarsi con ordigni sempre più sofisticati i nostri reggitori del mondo ci stanno portando verso una terza guerra mondiale, tutta nucleare, che proprio queste armi rendono ancor più possibile che nel periodo della Guerra Fredda, che allora “l’equilibrio del terrore” rendeva improbabile perché avrebbe distrutto contemporaneamente Stati Uniti e Unione Sovietica.

Comunque e in ogni caso se gli americani sono i “campioni della pace”, allora chi sono i campioni della guerra?

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2017