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Con un’ordinanza urgente il sindaco di Firenze Nardella ha istituito il divieto di chiedere o accettare prestazioni sessuali a pagamento. Il cliente è punito con l’arresto fino a tre mesi e con una multa di 200 euro. Le sanzioni si applicano anche se non c’è stato un rapporto sessuale (la prostituta invece rimane indenne). Per la prima volta in Italia, almeno a Firenze, per ora, la prostituzione in sé diventa un reato. Il sindaco Nardella si è avvalso di un recentissimo decreto del ministro degli Interni Minniti che consente ai sindaci di emettere un’ordinanza contro coloro che ottengono prestazioni sessuali a pagamento. Per il resto del Paese rimane in vigore, almeno per ora, la cosiddetta legge Merlin, che prende il nome dalla senatrice socialista che la promosse. La legge Merlin per eliminare i casini di fascistica memoria e togliere allo Stato il ruolo di tenutario legale della prostituzione introduceva i reati si sfruttamento, induzione e favoreggiamento. Ma non proibiva, e non proibisce, la prostituzione in sé in base all’articolo 13 della Costituzione: “La libertà personale è inviolabile”. Infatti i predecessori del pio Nardella per contrastare il fenomeno della prostituzione, in nome della ‘pubblica decenza’, ma più probabilmente per rimpinguare le casse del comune da loro stessi dissanguate, erano stati costretti a ricorrere a degli escamotage, come quello di multare in modo pesante l’automobilista che si accosta alla prostituta per “intralcio al traffico”. Insomma la legge Merlin punisce il protettore, il magnaccia, il rocchettèe, non chi la pratica e tantomeno chi se ne serve per soddisfare i propri bisogni sessuali, “l’utilizzatore finale” come lo ha chiamato l’avvocato di Berlusconi, Niccolò Ghedini. Se così non fosse il Cavaliere, fra le Daddario e le Olgettine, avrebbe dovuto essere condannato a “cinquemila anni più le spese”. Per la legge Merlin, sia pur emanata in epoca democristiana e bigotta, io ho il diritto di vendere il mio corpo e anche, se si vuole, la mia dignità, a chi mi pare, e un altro a comprarli.

Fin qui le leggi, le ordinanze, i divieti, i verboten. Ma il pio Nardella e i sindaci che lo vorranno seguire dimenticano che la prostituzione, non per niente ‘il più antico mestiere del mondo’, ha sempre avuto anche un’importante funzione sociale. I Latini, pagani, più pragmatici e meno ipocriti e sessuofobi di noi, gliela riconoscevano. Le etere erano considerate come una sorta di ‘dame di compagnia’ che avevano anche la funzione di dare al cliente, occasionale o di lungo periodo, un supporto affettivo.

In Italia, nel dopoguerra, i casini, poiché la ragazze “non la davano”, erano il solo modo, per i giovani, di avvicinare, conoscere e praticare un sesso che non fosse masturbatorio (a meno che non si avesse la fortuna di incrociare la ‘nave scuola’, una quarantenne, in genere sposata, cui piaceva trasgredire con i giovanissimi e anche con gli adolescenti-oggi in quest’ultimo caso la donna finirebbe al gabbio). Adesso, dopo la liberazione sessuale, questo problema non si pone più. Per i giovani. Non per i vecchi che conservino ancora un po’ di libido. Per un vecchio, rimasto single (ma anche se single non è perché già gli fa fatica farselo rizzare con una giovane, figuriamoci con una coetanea) è estremamente difficile, almeno che non sia ricco sfondato, soddisfare le proprie voglie e avere quel rapporto sessuale che ha anche una funzione salutare, nel senso di salute fisica e psichica, e perché no, come sapevano i Latini, affettiva. Questa situazione è descritta bene in un passaggio de La città vecchia di Fabrizio De André: “Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone/ forse quella che, sola, ti può dare una lezione/quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie, quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie/Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte/ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette/ Quando incasserai delapiderai mezza pensione/diecimila lire per sentirti dire micio bello e bamboccione”.

In Conoscenza carnale Jack Nicholson è un uomo maturo che ha avuto nella sua vita avventure e anche relazioni sentimentali importanti con donne ma che non è riuscito a trovare il suo ubi consistam con nessuna. Rimane solo. E il sabato sera va al bordello per farsi dire da una certa prostituta “uccello d’oro”.

In questa società solo apparentemente libera (di veramente libero c’è unicamente il mercato, il Despota assoluto delle nostre vite) bighina, intimamente, profondamente cattolica, senza essere cristiana, in modo diretto o indiretto, ci viene proibito tutto o quasi. Non possiamo fumare, per la nostra salute e quella altrui. Non possiamo bere in modo smodato (ma c’è qualche altro modo di bere?) senza incorrere nel biasimo sociale. Non possiamo superare i limiti di velocità, non possiamo, in macchina o in moto, farci prendere dall’ebbrezza senza che occhiute macchine ci sanzionino. L’occhio del Grande Fratello informatico ci controlla fino all’ultimo pelo. Lasciateci, perdio, almeno andare a puttane.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2017

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La prima volta che ho messo piede in Corsica, prendendo il traghetto da Livorno, correva l’anno 1970. Poi per molti anni ci sono tornato saltuariamente. Dal 2001 ci passo l’estate ogni anno e qualche puntata la faccio anche d’inverno, con un clima durissimo perché la Corsica ha monti alti quasi tremila metri (il Cinto, per la precisione, 2700 m.), il che vuol dire estati fresche ma inverni molto rigidi. I corsi quindi credo di conoscerli piuttosto bene. Io li definisco degli ‘afgani minori’. Se non gli vai a sangue è bene che giri al largo. Mi ricordo che uno dei primi anni mi ero messo in testa di andare in un paese molto interno, Muna, addossato alla montagna. Dalla Baia della Tuccia, poco sopra Ajaccio, dove mi trovavo, a Muna ci saranno stati in linea d’aria una cinquantina di chilometri, ma allora le strade corse dell’interno erano tutte sterrate, poco più che delle piste. Ci mettemmo quattro ore e passa per arrivare sul posto. All’ingresso del paese c’era il cadavere di un cinghiale impiccato a un cartello stradale bucherellato di pallottole. Ci avviammo per salire verso il grumo di case e passammo davanti a una tavolata di una ventina di persone. Salutammo. Loro ‘gnanca un vers’. Dopo aver esplorato il paese, deserto, ridiscendemmo evitando prudentemente di ripassare davanti a quella tavolata un po’ inquietante. Ma mentre salivamo in macchina sentimmo lo sparo di una doppietta, seguito subito dopo da un altro. Era un avvertimento: per questa volta vi abbiamo lasciato fare, ma se non ci riprovate è meglio.

I corsi sono rudi, chiusi, di poche parole, diffidenti. Un misto, per intenderci, fra un cuneese e un ligure di Ponente (‘stundaiu’ si dice in dialetto). Però se entri nel loro mondo e nella loro fiducia le cose cambiano. L’anno scorso in un modesto albergo di Sagone (Saone), il Cyrnos, ho affittato una stanza altrettanto modesta, ma che ha un pregio inestimabile: esco in costume, faccio letteralmente tre passi, scendo tre scalini di legno e sono sulla spiaggia. Il padrone del Cyrnos, Acciari, è della pasta ‘stundaiu’. Ci consegnò le chiavi borbottando qualcosa di incomprensibile e sparì. Ma poiché, dopo un po’, si accorse che non rompevamo troppo i coglioni, una sera, in segno di amicizia, portò in tavola un demi pichet di mirto e ce lo scolammo insieme. Al momento di partire mi accorsi che non avevo i soldi per pagare e Acciari, per delle sue ragioni, non accettava le carte di credito. “Come facciamo?” chiesi. “Mandatemi un bonifico dall’Italia”. “Ma lei non ci conosce, non sa nemmeno chi siamo, potremmo battercela all’inglese”. “Confiance par confiance” rispose lui.

Ma i veri corsi non sono quelli della costa, ma quelli dell’interno (E più quelli del nord che del sud che risente della Sardegna, sia per i prezzi che per i ‘fighetti’ che la bazzicano. Fu a Cavallo, nell’estremo sud, che quell’imbecille di Vittorio Emanuele, per una banale lite, fece partire dal suo fucile un colpo che ferì a morte il diciannovenne Dirk Hammer). I corsi dell’interno io li chiamo ‘i pelosi’ perché hanno antropologie scomparse da tempo in Europa: petti villosi, bicipiti non da palestrati effeminati, mani pesanti. Sono loro che quando gli albergatori e i ristoratori della costa francesizzano un po’ troppo scendono al mare (‘u mare’ c’è scritto nei cartelli stradali di mezza collina, con una sfumatura di disprezzo) per rimetterli in riga. Detestano i turisti. Ci sono paesi dell’interno (ma qualcuno anche sul mare, come Tollare sul Dito) che non hanno né un bar, né un tabaccaio e nemmeno un carrettino con i gelati.

Sono ‘i pelosi’ che hanno alimentato per decenni l’indipendentismo armato corso, con l’appoggio della popolazione. All’epoca se giravi in auto per le strade interne vedevi di quando in quando appesi al ramo di un albero dei panieri da cui spuntavano delle baguette e dei salami. Erano i rifornimenti per quelli che stavano alla macchia. Sono loro che hanno salvato l’isola dalla cementificazione facendo saltare in aria i Mediterranee e le case dei francesi. Ho conosciuto alcuni capi dell’indipendentismo di ultima generazione, gli ecoindipendentisti, i ‘terroristi gentili’ come li chiamo io riprendendo da Camus. Fanno quello che devono fare badando però bene a non spargere una sola goccia di sangue. Mi ricordo un episodio in particolare. Dovevano far saltare una casa di francesi affittata a una coppia di italiani con dei bambini molto piccoli. Entrano: “Dovete venire con noi. Staremo fuori alcune ore. Riempite i biberon, copritevi bene, portate con voi gli oggetti personali indispensabili”. Finita l’azione li riaccompagnarono al sicuro.

L’appoggio della popolazione. Qualche anno fa nei giorni precedenti un referendum sull’autonomia della Corsica il ministro degli Interni francese dell’epoca, Sarkozy –sempre lui- ebbe la brillante idea di far arrestare a Porto Pollo Ivan Colonna che tempo addietro aveva ucciso a pistolettate il prefetto di Ajaccio e quelli che lo avevano tenuto nascosto. Nella notte nell’albergo in cui andavo da anni sentii, insonne come sempre, un insolito trambusto. La mattina dopo tutti, il panettiere, il fruttivendolo, il tabaccaio, che mi erano sempre parse persone tranquille, indossavano una maglietta gialla con delle scritte: “Ospitare non è un reato”, “Colonna libero”, “Corsica indipendente”. Il proprietario dell’albergo che si era sempre chiamato Fabien ora si faceva chiamare Fabianu. E la Francia perse quel referendum.

Oltre ai turisti, e più dei turisti, i corsi detestano i francesi, li considerano degli occupanti. Il 14 luglio dell’anno scorso dopo l’attentato sulla Promenade des Anglais a Nizza che aveva terrorizzato la Francia non ho sentito un solo corso farne cenno. Non era una cosa che li riguardava. Durante la finale degli Europei Francia-Portogallo tifavano per Cristiano Ronaldo. Non guardano nemmeno il Tour, devo essere io a chiedergli di accendere la tv.

Da due anni gli indipendentisti hanno smilitarizzato, ma l’idea di fondo rimane la stessa: non vogliono che la Corsica diventi la Disneyland della Francia. Poiché la Corsica interna si sta spopolando, per attirarvi i giovani hanno varato un progetto per rilanciare, in prospettiva futura, l’allevamento (l’isola è ricca di suini, bovini, ovini) e l’agricoltura. Per questo editano anche un trimestrale, Isula muntagna, molto ben fatto, ricorda un po’ graficamente il nostro Millennium.

L’Isis ai corsi non gli fa un baffo. Agli imbarcaderi della Corsica Ferries, a Bastia, una graziosa ragazza –la Casta non è un’eccezione- solleva solo il cofano posteriore della macchina. L’Isis in Corsica non entrerà mai. Non solo perché, come i corsi, non la considera Francia, ma soprattutto perché la mafia corsa controlla e qui si conoscono tutti. Uno jihadista verrebbe riconosciuto a un chilometro di distanza e farebbe la fine del cinghiale impiccato al cartello stradale di Muna.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2017

 

 

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Non capisco in base a quale diritto la magistratura possa intervenire nei fatti interni di un partito o movimento che sia, e in particolare sui criteri con cui intende selezionare i suoi candidati alle elezioni, com’è avvenuto in Sicilia dove il giudice del Tribunale di Palermo Claudia Spiga ha sospeso l’esito delle cosiddette ‘Regionarie’ dei Cinque Stelle. I partiti, come ho scritto seimila volte, sono delle associazioni private non diversamente da una bocciofila o da un Club dei tifosi del Toro, che al loro interno si danno le regole che più gli pare e piace. A differenza di ciò che scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera non esiste nessun “dettato costituzionale che impone di disciplinare la vita dei partiti”. La Costituzione si occupa dei partiti in un solo articolo, il 49, che recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico e determinare la politica nazionale”. Punto e basta.

L’equivoco è sempre lo stesso: queste associazioni private col tempo hanno occupato tutte le istituzioni e i meccanismi della democrazia debordando ampiamente dalla funzione che gli affida la Costituzione. Il problema non è quello di regolare la loro vita interna, il problema sono i partiti stessi. I grandi teorici della democrazia liberale, da Stuart Mill a John Locke, non prevedevano la presenza dei partiti. E come nota Max Weber fino al 1920 nessuna Costituzione liberal democratica li nominava né li prendeva in considerazione. E si capisce bene il perché. I partiti non sono altro che delle lobbies, spesso malavitose o semimalavitose, che ledono il cardine del pensiero liberale che voleva valorizzare meriti, capacità, potenzialità del singolo individuo che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia se esistesse davvero, e che invece ne diventa la vittima designata, conculcato e oppresso com’è da queste lobbies. Se non si associa a un partito (e non c’è bisogno della tessera, basta un legame di tipo intrinsecamente mafioso) il cittadino singolarmente preso avrà vita durissima dovendo combattere da solo contro le centinaia di migliaia, i milioni, di affiliati. La scuola elitista italiana dei primi del Novecento (Vilfredo Pareto, Roberto Michels, Gaetano Mosca) l’ha chiarito in modo esemplare. Scrive Mosca ne La classe politica: “Cento che agiscano sempre di concerto e di intesa gli uni con gli altri trionferanno sempre su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra loro”. I partiti non sono l’essenza della democrazia liberale, come si dice sempre, ne segnano la fine.

Il Capo della polizia Franco Gabrielli ha dichiarato che vieterà la ‘marcia su Roma’ che Forza Nuova intende organizzare per il 28 ottobre, anniversario di quella mussoliniana. Se c’è un movimento che ci è particolarmente odioso è Forza Nuova, cattolico, papalino, baciapile, beghino, tradizionalista, ma il verboten di Gabrielli è del tutto illiberale. Come, anche qui, abbiamo già scritto seimila volte, in una democrazia liberale tutte le idee, anche quelle che in un determinato contesto storico paiono aberranti, hanno diritto di cittadinanza e di manifestarsi. Pacificamente. Perché l’unico discrimine è che nessuna idea, cattiva o buona che sia, può essere fatta valere con la violenza.

In realtà una ‘marcia su Roma’ non dovrebbe essere prerogativa di un movimento ridicolo come Forza Nuova. Dovrebbero essere i cittadini, vessati in tutti i modi da una democrazia che è solo la parodia di sé stessa, a marciare su Roma. Per abbattere la partitocrazia, che è il vero cancro di una democrazia autenticamente liberale.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2017