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Tutto il mondo guarda con il fiato sospeso all’esito delle prossime elezioni americane, in particolare il mondo occidentale che vede negli Stati Uniti, per utilizzare un’espressione di Paolo Guzzanti, condivisa da una totalizzante maggioranza, ‘il faro della nostra civiltà’.

E allora andiamola a vedere, necessariamente a volo d’uccello, la storia di questo ‘faro della civiltà’. Comincia con un vile (Winchester contro frecce) e spietato genocidio, non disdegnando l’uso delle ‘armi chimiche’ allora a disposizione, whisky per fiaccare l’integrità di un popolo altamente spirituale come i Pellerossa. Delle decine di milioni di nativi nordamericani oggi ne sono rimasti circa quattro. Inutile dire che tutta la letteratura e filmografia americana, e non solo, fino a Soldato blu, che è del 1970, ha dipinto i conquistatori come il ‘Bene’ che combatteva contro dei barbari e degli ‘scalpatori’(qualcosa del genere arieggia anche oggi in altre aree del mondo). Per la verità, almeno in Italia, molto prima di Soldato blu, era stato l’autore di fumetti Gianluigi Bonelli a riequilibrare un po’ le cose creando nel 1948 la figura di Tex Willer, alias ‘Aquila della Notte’.

L’America è stata l’ultimo Stato democratico ad abolire, nel 1865, la schiavitù scomparsa in Europa dalla caduta dell’Impero romano. E in questa speciale classifica negativa gli americani sono sorpassati solo dalla Mauritania, che notoriamente non è considerata un ‘faro della civiltà’ e all’epoca non era certamente un regime democratico, che l’abolì solo dieci anni dopo.

Gli Stati Uniti hanno avuto l’apartheid fino al 1964/1965. E avevano appena finito di abolirla che, col consueto moralismo a posteriori, si scagliavano contro l’apartheid sudafricana che qualche ragione in più ce l’aveva poiché 5 milioni di bianchi vivevano circondati da 20 milioni di neri. Peraltro negli Stati Uniti l’abolizione dell’apartheid sembra più formale che sostanziale, basta osservare l’impressionante sequenza di omicidi a danno degli afroamericani ad opera della polizia yankee.

Durante la Seconda guerra mondiale per precisa direttiva dei loro comandi politici e militari gli americani bombardarono appositamente, a Dresda, a Lipsia, a Stoccarda e a Berlino, la popolazione civile, facendo milioni di morti, “per fiaccare –come dissero- la resistenza del popolo tedesco”. Era la guerra, d’accordo. Ma allora il tambureggiante moralismo americano è inaccettabile quando in situazioni analoghe sono altri a infierire sui civili. Peraltro con gli americani non si sa mai dove finisca la loro violenza e la loro prepotenza e dove inizi la loro superficialità bellica. Quando bimbo di due anni arrivai a Milano la città era semidistrutta dai bombardamenti, si vedevano le facciate delle case con le loro orbite vuote, erano come delle quinte di teatro perché dietro non c’era nulla. In particolare fu bombardata l’area dove abito adesso in cui ora sorgono i famosi grattacieli, e più in là quella che allora veniva chiamata ‘l’isola di Milano’. Ma la Stazione centrale unico obbiettivo militare di quella zona rimase intatta. In Afghanistan, nonostante gli occhiutissimi mezzi a loro disposizione, sono decine le volte in cui hanno scambiato dei matrimoni per un raggruppamento di guerriglieri spazzando via, insieme agli sposi, le centinaia di persone che partecipavano a quel rito. Insomma, come sempre han fatto, bombardano ‘a chi cojo cojo’ col massimo disprezzo per le vite altrui.

Sono gli unici ad aver sganciato la Bomba Atomica, a guerra praticamente finita, prima su Hiroshima e tre giorni dopo, quando si sapeva bene quanto devastante fosse la scissione dell’atomo, su Nagasaki. E il pilota di Enola Gay quando seppe delle conseguenze di ciò che gli era stato ordinato di fare impazzì. Evidentemente era una brava persona. Questo lo dico anche per chiarire che il mio discorso non è contro il popolo americano, dove ci sono, come in ogni popolo, anche dei ‘bravi guaglioni’ ma contro i celebratissimi United States of America.

Non sono i soli ad aver usato le armi chimiche (ci siamo anche noi italiani, in Etiopia) ma certo lo hanno fatto in modo sistematico: napalm in Vietnam, proiettili all’uranio impoverito, che sono all’origine di migliaia di casi di cancro, in Bosnia, in Serbia, in Afghanistan, in Iraq. Perfino Hitler aveva rinunciato all’uso di queste armi, dopo le rovinose conseguenze sulla salute che avevano provocato durante la Prima guerra mondiale. E Khomeini durante la guerra Iraq-Iran proibì l’uso delle armi chimiche nonostante, dall’altra parte, Saddam Hussein, che le aveva avute proprio dagli Stati Uniti, le utilizzasse contro l’esercito iraniano.

Nel dopoguerra hanno fatto, in combutta con l’Unione Sovietica, decine di guerre per interposta persona o attacchi del tutto immotivati. Lo scrittore americano Gore Vidal ha contato in 166 gli attacchi degli Stati Uniti ad altri Stati non motivati da aggressioni. Il resto è storia recente che tutti conosciamo: attacco alla Serbia (1999), attacco all’Iraq (2003), attacco alla Libia (2011) cioè a Stati sovrani rappresentati all’Onu e contro la volontà della stessa Onu.

Anche sulla mitizzata democrazia americana c’è poi qualcosa da dire. Nel Paese più ricco, più potente del mondo, che gode ancora della rendita di posizione acquisita dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale, ci sono 36 milioni di poveri, il 9 percento della popolazione, homeless buttati sulla strada senza alcuna copertura sanitaria. E almeno negli ultimi tempi questa democrazia sembra essersi trasformata in un regime basato sulla dinastia del sangue: prima Bush padre poi Bush figlio, in seguito Clinton marito, ora, molto probabilmente, Clinton moglie, mentre già si prepara sulla pista di lancio Michelle Obama.

Se questo è ‘il faro della civiltà’ preferiamo farne a meno. Preferiamo “la vecchia e stanca Europa” come la definì sprezzantemente Colin Powell. Che non è monda di errori e orrori. Erano appena risuonate le sacre parole della Rivoluzione francese liberté, égalité, fraternité che cominciava il colonialismo sistematico dei francesi, degli inglesi, dei belgi. Ci sono poi i tredici anni della follia razzista di Hitler che è stata poi cinicamente utilizzata perché individuato nel Fuhrer “il Male Assoluto”, gli Stati Uniti (e altri con loro) si sono potuti permettere violenze che forse non erano “il male assoluto” ma gli assomigliavano molto. Ma insomma detto degli orrori compiuti dagli europei anche in tempi recenti a me sembra che l’Europa attraverso la filiera della cultura greca, di quella latina, di quella cristiano-medioevale, oltre che di quel Giano bifronte che è l’Illuminismo, qualcosa al mondo abbia dato. L’America non so.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2016

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Ora l’WMO, l’Organizzazione meteorologica mondiale, la più antica istituzione del mondo sul clima fondata nel 1873, diventata agenzia delle Nazioni Unite, certifica ufficialmente che dalla Rivoluzione industriale in poi la temperatura del pianeta è aumentata di 2 gradi centigradi. Cosa che produce fenomeni inquietanti, sia nell’immediato e soprattutto nel futuro, come la contrazione dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari, la riduzione della terra disponibile, fenomeni meteorologici imprevisti e disastrosi. Ma aldilà di questi grandi eventi geofisici ci sono le conseguenze del ‘qui ed ora’ sulla nostra salute. Prendiamo un fenomeno marginale ma significativo dell’intera questione. Quando ero giovane, e quindi non parliamo di epoche pleistoceniche, le allergie praticamente non esistevano o comunque erano casi assai rari. Oggi non c’è quasi ragazzo o ragazza che non ne sia affetto (allergie alimentari, allergie stagionali e tutta un’altra serie di risposte ad un ambiente che ci fa star male). Tutta questa serie di fenomeni, sia quelli macro che quelli micro, sono dovuti allo straordinario, e in velocissima progressione, aumento dell’anidride carbonica, Co2, nell’atmosfera. Chi è responsabile di questo aumento? La produzione industriale, come ci dice chiaramente e finalmente il report dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Per tamponare il fenomeno si pensa ad ogni sorta di soluzioni, a cominciare dalle cosiddette ‘energie rinnovabili’. Ma nessuna energia applicata in modo massivo è innocente e indolore. Un paio di decenni fa in una regione fra Olanda e Belgio sfruttando il vento impetuoso del mare del Nord (motivo per cui i belgi e gli olandesi sono stati protagonisti del recente campionato del mondo di ciclismo che si correva in Qatar, dove il percorso era totalmente pianeggiante ma le difficoltà venivano dal vento fortissimo, ora a favore, ora contro) furono costruite trecento enormi torri eoliche. Gli abitanti ne uscirono quasi pazzi, per due motivi, uno culturale, erano abituati ad avere davanti a sé una pianura sterminata e si trovavano invece questi Gulliver che chiudevano l’orizzonte, l’altro molto pratico: il rumore era assordante. Insomma all’inquinamento climatico si sostituiva quello acustico. Il problema quindi è la massa. Un foglio di carta in una casa non dà problemi, un quintale di fogli di carta ti rendono difficile respirare.

Naturalmente c’è anche chi ha visto in questo innalzamento della temperatura del pianeta una formidabile occasione economica (e come poteva essere diversamente?) come il commendevole professor Claudio Carraro, vicepresidente dell’Ipcc, l’organismo dell’Onu sui cambiamenti climatici: “in Olanda in previsione dell’aumento del livello del mare stanno già intervenendo realizzando ad esempio colline sotto le quali insediano linee ferroviarie e altri impianti necessari alla vita civile”. Evviva.

In realtà c’è un’unica soluzione per tentare di salvare l’equilibrio del pianeta e, con esso, la nostra pelle: ridurre la produzione. Smetterla di inventarci oggetti assolutamente inutili di cui la pubblicità ci dà puntualmente ed entusiasticamente conto, di inventarci bisogni di cui l’uomo non ha mai avuto alcun bisogno. Dobbiamo rinunciare al mito demenziale delle crescite esponenziali e come suggeriscono alcune inascoltate correnti di pensiero americane, il bioregionalismo e il neocomunitarismo, ritornare “in modo ragionato, graduale e limitato a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano per il recupero della terra e l’inevitabile ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e finanziario”. Ma business is business. E in nome di questo Dio, il Dio Quattrino, il solo ormai riconosciuto, questo tumore dell’universo che è diventato l’uomo farà la fine che si merita e di cui avvertiamo solo ora, e con grandissimo ritardo, le prime avvisaglie.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2016

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In Afghanistan gli uomini dell’Isis, bandiera nera al vento, hanno massacrato 36 civili fra cui bambini per rappresaglia all’uccisione di un loro capo. L’eccidio è avvenuto nella provincia di Ghor che occupa una regione abbastanza centrale di quel Paese. Questo vuol dire che Isis è penetrato profondamente in Afghanistan. Che l’Isis fosse la maggiore minaccia per l’Occidente lo avevo anticipato in un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 21 giugno 2014 (“Guerra in Iraq: trappola per l’Occidente”). Previsione che si è puntualmente avverata se è vero che oggi per contrastare l’Isis in Iraq sono schierati francesi, inglesi, americani con l’appoggio dei peshmerga curdi, dei pasdaran iraniani e, in una posizione più ambigua, dei russi. La stessa cosa, se c’è una logica in tutto questo, dovrebbe avvenire in Afghanistan. Invece in Afghanistan gli occidentali continuano a combattere i Talebani e si disinteressano dell’Isis. I Talebani dovrebbero essere considerati, almeno oggettivamente, dei nostri alleati perché, pur sunniti, sono fieri avversari dell’Isis. E’ perlomeno dall’inizio del 2014 che gli indipendentisti talebano-afgani combattono contro l’Isis. All’inizio sulle zone di frontiera con il Pakistan, ma adesso sono costretti a farlo anche all’interno del loro Paese. Tant’è che ora hanno richiamato forze consistenti nella zona di Ghor per contrastare l’avanzata del Califfo. Del resto in uno dei suoi ultimi atti, una lettera aperta ad Al Baghdadi del 16 giugno 2015, che in Italia solo Il Fatto Quotidiano ha pubblicato (“Tutte le morti del Mullah Omar”, 30/7/2015), il Mullah era stato esplicito e gli aveva intimato: non permetterti di cercare di penetrare in Afghanistan perché la nostra è una guerra di indipendenza che non ha nulla a che vedere con le tue mire espansionistiche. E aveva aggiunto: tu stai pericolosamente dividendo il mondo musulmano. E anche questo è puntualmente avvenuto perché oggi c’è una frammentazione di sigle jihadiste che fanno riferimento alle più diverse tendenze (wahabite, salafite, eccetera).

 

Probabilmente il cinico calcolo degli occidentali è: che si ammazzino fra di loro, Talebani e uomini del Califfo, tanto a noi che ce ne importa, anzi ne traiamo vantaggio. Ma non è così. Al contrario, indebolire i Talebani a favore dell’Isis è una pura follia perché i Talebani afgani non costituiscono alcun pericolo per l’Occidente, mentre per l’Isis l’Afghanistan è solo un passaggio per la guerra totale che hanno dichiarato alla nostra civiltà. Inoltre sul piano dei ‘diritti umani’ a cui gli occidentali si dimostrano, a parole, sempre molto attenti, ci sono delle differenze radicali fra Talebani e jihadisti. I primi hanno sempre puntato ad obbiettivi militari e politici e si sono ben guardati, nel limite del possibile, da colpire la popolazione civile, non foss’altro per il fatto che è proprio grazie al sostegno di una buona parte di questa popolazione che possono condurre una resistenza che dura da 14 anni. Ma non c’è solo questo. C’è una profonda differenza culturale e, oserei dire, umana. Gli afgani non sono arabi, sono un antico popolo tradizionale (come i curdi) che ha conservato alcuni valori prepolitici, preideologici, prereligiosi, che si chiamano coraggio, dignità, onestà, rispetto del nemico. Lo si è visto molto bene nel trattamento che hanno sempre riservato ai loro prigionieri, trattati con rispetto e se si trattava di donne con particolare riguardo per le loro esigenze femminili. Né hanno mai usato i bambini per fare la guerriglia, tantomeno in forma kamikaze. Di questi valori gli uomini del Califfo hanno conservato solo il coraggio. Il resto è ferocia. Peraltro la stessa ferocia, mascherata solo dal fatto che noi usiamo macchine e non uomini, degli occidentali. Nella prima guerra del Golfo (1990), in Serbia (1999), in Afghanistan (2001), in Iraq (2003), in Somalia (2006/2007), in Libia (2011) e anche adesso in Siria e in Iraq noi abbiamo fatto, con i nostri bombardieri e i nostri droni, non uno, ma dieci, cento, mille Bataclan. E poiché la ‘guerriglia gentile’ talebana è destinata alla sconfitta, perché per quanto indomiti i Talebani non possono battersi contemporaneamente contro gli occupanti occidentali e gli jihadisti internazionali del Califfo, se, ferocia per ferocia, c’è da scegliere fra uomini e macchine, io sono e sarò sempre dalla parte degli uomini, qualsiasi ideologia professino.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2016