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Prima di morire devo uccidere qualcuno. Paolo Mieli, per esempio. Perché tutte le volte, poche, che sono stato a cena con lui solo alla fine mi sono reso conto che mi aveva insultato per tutto il tempo. E’ abilissimo. Avvolgente, suadente, subdolo. Ma non ne varrebbe la pena. Gli darei una fama immeritata, sminuendo la mia. Berlusconi, allora?Potevo farlo. Ero in Tribuna d’Onore per un Milan-Torino (1-1). Avevo dei posti regali, né troppo in alto né troppo in basso, che mi aveva dato il vicesindaco democristiano, Zoia, anche lui tifoso del Toro. Io stavo nel sedile più esterno, rasente la scaletta di pietra che divide i Vip dai SuperVip. Berlusconi arrivò all’ultimo momento salendo gli scalini a quattro a quattro con fare un po’ scimmiesco. Mi sfiorò, salutandomi (perché è cortese ed è uno dei suoi vantaggi su quegli spocchiosi della sinistra). Con la pistola – in Tribuna d’Onore, nonostante ci sia il più alto concentrato di mascalzoni, non si fanno controlli – avrei potuto seccarlo tranquillamente. Ma non volevo passare alla cronaca, se non alla Storia, per aver ucciso Silvio Berlusconi. Almeno Erostrato incendiò il Tempio di Artemide a Efeso. Altri politici maschi (si fa per dire, in quest’età femminea i maschi non esistono più, belano, hanno ceduto il cazzo alle donne) degni della mia attenzione non ne vedo. Una donna? Sarebbe più intrigante. Una vendetta postuma contro mia madre anaffettiva, russa e zarista. Daniela Santanché? La Santanché dice delle stronzate inaudite ma personalmente è molto simpatica. Quando la invitai a presentare il mio ‘Di(zion)ario erotico’, al posto di una cretina dal nome altisonante che mi aveva dato buca, fu molto sportiva, perché sapeva di essere una riserva in panchina, divertente e spiritosa. Poiché alla voce ‘Scarpe’ avevo scritto che le donne che portano i tacchi a spillo sono delle ‘oche giulive’ lei esibì orgogliosamente i suoi. In un’altra occasione, a un dibattito, eravamo seduti a fianco mentre parlava Grillini dell’Arcigay. E noi sotto il banco, come dei liceali, ci scambiavamo dei bigliettini feroci sui finocchi (pardon, non si può più dire, come ‘negro’, ‘vu’ cumprà’, ‘forza Vesuvio’, si rischia la galera). No, la Santanché no. Oltretutto ha già la sua condanna in terra: sta con Sallusti. Le altre parlamentari mi ispirano sentimenti neutri. Per la verità una che mi piace c’è, dei 5stelle, ma non la strangolerei, la costringerei alle più umilianti prestazioni, la farei arrampicare nuda sul lampadario, giochetti che un tempo mi riuscivano abbastanza agevolmente, soprattutto con le femministe, le masochiste per eccellenza.

Imbragarsi da kamikaze alla Di Battista e distruggere un monumento famoso, come fece Erostrato? Il Colosseo dopo che Obama l’ha declassato a campo da baseball ha perso ogni appeal. Ma qualcosa che farei saltare volentieri in aria c’è. Il grattacielo a banana costruito davanti alle finestre di casa mia. Lo minerei e lo farei implodere su se stesso come fan gli americani. “Ma, mi raccomando, di notte quando dentro non c’è nessuno” mi ha detto il sempre prudente Padellaro. “No - ho risposto - unt posto del genere non può essere abitato che da stronzi. Se li fai saltare in aria tutti sei sicuro di non sbagliare un colpo”.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2014

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Che il premier Matteo Renzi si faccia gavettoni a fini pubblicitari e per vellicare il proprio narcisismo, quando per la cura della Sla il governo non ha stanziato un euro, è grave. Ma molto più grave è che vada a esibirsi platealmente a Erbil. Perché mette inutilmente a rischio l’incolumità dei suoi concittadini. E’ evidente infatti che se i caccia americani e i droni continueranno a bombardare i guerriglieri dell’Isis, sottraendogli una vittoria che si stanno conquistando legittimamente sul campo di battaglia, intromettendosi così in una guerra civile senza averne alcun titolo, essendone anzi la causa originaria per la sciagurata aggressione all’Iraq del 2003, l’Isis porterà la guerra in Occidente. Con le armi che, in questo caso, ha a disposizione: il terrorismo. E l’Italia grazie agli infantilismi di Renzi sarà uno dei primi obbiettivi. L’Italia è alleata degli americani, ma non è il caso che il suo premier faccia il ‘sopracciò’, stia al suo posto, defilato.

Peraltro è dal 1989, col crollo dell’Urss, che gli Stati europei avrebbero dovuto prendere le distanze dall’avventurismo americano. Anche perché sono decenni che gli Usa non ne azzeccano una, con effetti boomerang. E’ dal 1980, dalla caduta dello Scia, un dittatore la cui polizia segreta, la Savak, era la più famigerata del Medio Oriente, che è tutto dire, e dall’avvento di Khomeini, che hanno preso di punta l’Iran inserito nell’’Asse del Male’. Nel 1980 l’Iraq aggredì l’Iran. Per cinque anni i Paesi occidentali fornirono armi a entrambi i combattenti perché potessero ammazzarsi meglio (e fra i fornitori c’erano gli italiani, tanto che adesso i nostri sminatori sono reclamati nella regione perché l’Italia è la più grande produttrice di mine al mondo, comprese quelle ‘antiuomo’ che persino il Mullah Omar aveva proibito ai suoi di utilizzare). Ma nel 1985 quando gli iraniani erano davanti a Bassora e stavano per prenderla, intervennero gli americani, per ‘motivi umanitari’ naturalmente: non si poteva permettere alle ‘orde iraniane’ (gli altri sono sempre ‘orde’, solo i nostri sono eserciti) di entrare a Bassora, sarebbe stato un massacro. Risultato dell’intervento ‘umanitario’: la guerra che sarebbe finita nel 1985, con la caduta immediata di Saddam, l’indipendenza del Kurdistan iracheno e che fin lì era costata mezzo milione di morti, durò altri tre anni portando il bilancio a un milione e mezzo. Saddam non solo restò in sella, ma rimpinzato di armi dagli americani, fra cui quelle chimiche con cui aveva ‘gasato’ 5000 curdi ad Halabya, aggredì il Kuwait.

Nel 2003 c’è stata l’occupazione dell’Iraq e la creazione del governo fantoccio e pseudodemocratico di Al Maliki col risultato di consegnare più della metà dell’Iraq all’Iran, che senza sparare un colpo si è preso quello che gli era stato negato nel 1985, perché gli sciiti iracheni, il 62% della popolazione, sono fratelli gemelli di quelli iraniani. A lunga gittata questa intromissione in Iraq, con l’emarginazione dei sunniti, avrebbe posto le premesse per la nascita dell’Isis. Adesso gli americani si trovano nella paradossale situazione di poter contare, oltre che sui loro droni, solo sui pasdaran iraniani, gli unici, per valentia guerriera, a poter contrastare sul campo gli uomini dell’Isis.

Nel 2001 c’era stata l’invasione dell’Afghanistan talebano, del tutto immotivata (Bin Laden in Afghanistan non ce l’avevano portato i Talebani, ma Massud, alleato degli americani) una guerra che va avanti da 14 anni, la più lunga da secoli. Nel 2006/2007 l’invasione, per interposta Etiopia, della Somalia dove le Corti Islamiche avevano sconfitto i ‘signori della guerra’ locali riportando, come i Talebani in Afghanistan, l’ordine e la legge in quel Paese, sia pur un duro ordine e una dura legge. E oggi la Somalia è in piena guerra civile. Nel 2011 l’attacco alla Libia per defenestrare Gheddafi con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

E’ evidente che questo pluriventennale attacco al mondo arabo-musulmano, militare, economico, ideologico e culturale (la donna islamica deve omologarsi a quella occidentale e così via) ne favorisce l’estremismo da cui nasce l’Isis.

Noi occidentali dovremmo riconoscere la realtà del Califfato, o quel che l’è, di al Baghdadi e trattare con lui. Oppure, dopo averlo riconosciuto, dichiarargli formalmente guerra, come si faceva ai vecchi tempi. Eviteremmo perlomeno che ‘vispe Terese’ come Greta Ramelli e Vanessa Marzullo circolino in libertà in quei luoghi, esponendoci a ulteriori ricatti.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 29 agosto 2014

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Secondo l’Istat a luglio i prezzi al consumo sono aumentati solo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Ancora più significativi sono i dati del ‘carrello della spesa’: frutta e verdura costano il 10% in meno, sempre rispetto al 2013 e i prodotti per la cura delle persone e della casa registrano un   -0,6%. L’inflazione è sotto l’1%. “Siamo legati agli oggetti, non buttiamo via mai niente” dice il sociologo dei consumi Italo Piccoli e l’economista Fausto  Panunzi aggiunge: “Si è portati a risparmiare quasi compulsivamente, a comprare solo lo stretto necessario”.

Sembrerebbero tutte notizie positive. Se l’inflazione è all’1% vuol dire che i 100 euro che ho in tasca ne valgono 99, se l’inflazione è al 20% i miei 100 euro ne valgono ottanta così come il mio stipendio reale è il 20% in meno di quello nominale. E vorrei vedere il consumatore che si lamenta perché paga le pesche il 10% in meno. Non buttare via i frigoriferi che rendono ancora decentemente il loro servizio o non farsi attrarre, in questo caso sì ‘compulsivamente’, da ogni sciocchezza che offre il mercato, vivere del necessario invece che del superfluo  fa bene al nostro equilibrio psicologico ed è un risparmio   oltre che economico anche ecologico perché evitiamo di ammonticchiare rifiuti che poi non sappiamo come smaltire.

E invece in termini macroeconomici tutti questi dati sono negativi. Dove sta il marcio? Nella crescita. Un modello economico basato sulla crescita quando non riesce o non può più crescere collassa (che non è la situazione solo dell’Italia ma di tutti i paesi che sono dentro questo modello, compresi anche quelli che in questo momento viaggiano col vento in poppa perché anche loro prima o poi si troveranno davanti al limite, dato che le crescite all’infinito esistono in matematica ma non in natura). E il collasso è  piuttosto rapido. E’ come la cassetta di un film che arrivata alla fine si riavvolge in pochi secondi. Se i cittadini consumano poco le imprese saranno costrette a ridurre la produzione e a liberarsi di molti lavoratori i quali, in cassa integrazione o disoccupati, consumeranno ancora meno, le imprese produrranno meno e manderanno a casa altri lavoratori in un circolo vizioso vorticoso. In un sistema come questo gli uomini sono costretti a consumare per produrre invece di produrre per consumare.

Tutto ciò in nome della macroeconomia e del Pil, cioè della ricchezza complessiva di un Paese. Ma la ricchezza di un Paese ha poco o nulla a che fare con la ricchezza dei suoi abitanti. La Nigeria è il paese più ricco dell’Africa ma ha il più alto numero di poveri dell’ex Continente nero. E’ la ricchezza che crea la povertà come si accorse Alexis De Tocqueville che nel suo saggio ‘Il pauperismo’ del 1835 notava, con stupore, che i Paesi rimasti fuori dalla Rivoluzione industriale avevano il minor numero di poveri.

C’è una soluzione a questo busillis infernale? Bisognerebbe avere il coraggio di decrescere, di diminuire la produzione, il lavoro, la ricchezza complessiva e di portarsi a un livello di equilibrio dove non si avanza più ma nemmeno si retrocede, redistribuendo la minor ricchezza rimasta in modo più equo. Ma ci vorrebbe un’intelligenza, una visione del futuro che le élites politiche mondiali, ansiose solo di consenso qui e ora, non possono avere.

Il Gazzettino, 22 agosto 2014

Massimo Fini