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La madre di Renato Vallanzasca ha scritto due lettere, una al Presidente della Repubblica, l'altra al ministro della Giustizia. La donna, che ha novant'anni ed è ricoverata in ospedale per vari malanni, ma è descritta, da chi l'ha visitata, ancora perfettamente lucida "con lo sguardo fresco e attento come quello di una bimba", non chiede la grazia per il figlio, ma una risposta, positiva o negativa che sia, alla domanda che è stata presentata in tal senso un anno fa e la chiede possibilmente in tempi ragionevoli perchè sente che la vita le sfugge e vorrebbe morire col cuore in pace, sapendo qual'è il destino definitivo di quello che chiama ancora "il mio ragazzo". Scrive, fra l'altro: "Per me la vita è vicina alla fine e ho diritto di sapere se mio figlio può avere un domano o se il suo domani è senza speranza. Non è giusto che io muoia senza avere una risposta". Sono lettere estremamente dignitose, come dignitoso, benchè criminale, è sempre stato suo figlio. La grazia chiesta da Renato Vallanzasca è stata seguita con scarsissimo interesse dai giornali. "Il bel Renè", come veniva chiamato ai suoi tempi, non ha santi in Paradiso, non può contare su potenti ed arroganti lobbies, è sempre stato un "chevalier seul", un "border line", un ribelle, un bandito sostanzialmente solitario anche se a capo di una temibile banda.Eppure se c'è un detenuto che merita la grazia questi è Renato Vallanzasca. Per due motivi: primo è essenzialmente giuridico. Ha alle spalle un curriculum criminale vertiginoso, con rapine fini te nel sangue e un sequestro di persone che gli sono valsi quattro ergastoli. Ma ha fatto anche 36 anni di galera di cui venti in isolamento totale (non sette anni con la possibilità di fare il moralista sui maggiori giornali italiani e la star televisiva), secondo la pena ha anche la finalità di rieducazione e di riabilitazione del condannato, se non è, come il nostro Codice non vuole che sia, una condanna a vita più crudele di una sentenza di morte, come nota sua madre, Vallanzasca il suo conto con la società l'ha pagato. L'altro motivo è umano (che si interseca anche con quello giudiziario) e riguarda proprio la personalità del Vallenzasca criminale e detenuto. Vallanzasca è, a modo suo, un bandito leale. Se ha ucciso dei poliziotti lo ha fatto sempre a viso aperto, in scontri a fuoco ("mors tua vita mea"), non in vili agguati sotto casa mascherati da impegno politico. Si è sempre assunto le proprie responsabilità e le ha sempre riconosciute. Il giorno del suo primo arresto, alla cena dei giornalisti sociologizzanti, sinistrossi, sessantottini avidi di demagogia dell'epoca (si era nel 1977), che gli chiedeva, querela e speranzosa, se non si ritenesse una vittima della società, rispose dal famoso balconcino: "Non diciamo cazzate" (e Dio l'abbia in gloria almeno per questo). Concetto ribadito successivamente in un'intervista: "Sono nato per fare il delinquente, il resto sono balle. Non sono una vittima della società. Non mi reputo tale. Sono un ragazzo che poteva avere la possibilità di studiare. Anche se non ero di una famiglia benestante, non ci mancavano i mezzi, eravamo in una condizione agiata. Ma fin da piccoli mi piaceva rubare i soldatini". In una società dove è ormai costume generalizzato scaricare le responsabilità sugli altri, Vallanzasca si è sempre assunto le proprie. Anche quando avrebbe potuto benissimo farne a meno. Sono innumerevoli le volte che ha scagionato degli innocenti attribuendosi i reati per i quali erano fini ti in galera e fornendo ai magistrati, che non ci pensavano più, le prove che era stato lui a commetterli. Allo stesso modo gli si può tranquillamente credere quando dice: "No, quella rapina non è mia". Ed è singolare che in un Paese di gentiluomini si possa fare più affidamento sulla parola di un bandito. Anche per questo, comunque, un Vallanzasca libero, oggi non costituirebbe alcun pericolo per la società. Perchè si può essere certi che rispetterebbe il patto che ha implicitamente fatto con chi gli ha concesso la grazia. Ha un suo codice d'onore, una sua etica, sia pur malavitosa cui non ha mai derogato. Non ha mai spacciato. Ha detto: "Naturalmente non giudico chi lo fa. Ma non è una cosa che mi va di fare. "Emanuela Trapani lo trattò con garbo e quando le gazzette, avide di gossip, cominciarono a insinuare che fra lui e la ragazza era nata una "love story" tagliò corto e a chi lo interrogava in proposito ripondeva seccamente: "Sono tutte balle, inventate da voi giornalisti". Questo mentre nella società delle cosiddette persone perbene, tutti cercano di far capire di essere stati a letto con ragazze che non hanno nemmeno sfiorato (ne abbiamo esempi recentissimi) e a domande del genere rispondo con sorrisetti d'intesa e frasi allusivi, tipo: "Non fatemi parlare, sono un gentiluomo". In trentasei anni di reclusione, di cui venti di isolamento durissimo, Vallanzasca non si è mai lamentato. Aveva pericolosamente giocato a "guardie e ladri", più per una personalità guascona, ribelle e un po' infantile che per un'autentica malvagità, che anzi mi sentirei di escludere nel suo caso, alla fine aveva perduto e riconosceva alla società il diritto di punirlo (il che naturalmente non gli impediva di tentare mille evasioni, alcune rocambolesche). Durante questi lunghissimi trentasei anni è stato più volte picchiato selvaggiamente dalle guardie di ogni carcere (tanto chi avrebbe mai preso le difese di un Renato Vallanzasca?). Nemmeno di questo si è mai lagnato. Solo una volta lo ha fatto, negli ultimi anni, dopo un pestaggio particolarmente pesante. Ma al giornalista che, durante una pausa dei tanti processi, gli chiedeva: "Vallanzasca, lei è stato torturato?" ha risposto, ridendo: "Beh, adesso non esageriamo". Il fatto è che, per qualche straordinario accidente, si sono conservati in Renato Vallanzasca, nonostante la sua vita violenta e criminale, alcuni valori propri della vecchia Milano, la Milano della Comasina di affari da cui proviene, la Milano della sua limpida "mammetta" come ancora la chiama: lealtà appunto, dignità e un popolano "sense of humor" che gli impedisce di sbracare (posseggo alcune sue lettere, recenti, di un'incredibile freschezza, come gli occhi di sua madre novantenne). E soprattutto rispetto di quelle regole del gioco che oggi tutti bella società civile violano e quindi anche in quel suo riflesso malato che è la malavita. Se infatti oggi mafia, camorra, criminalità organizzata, quella finanziaria ed economica, sono ormai giungle disordinate e caotiche senza regole d'onore, nemmeno malavitose, è perchè non son altro che lo specchio della società civile (una malavita senza dignità e senza onore può essere solo il prodotto di una società senza dignità e senza onore). Vallanzasca è invece un bandito che riflette una società d'altro tempi, ottocentesca, è, se mi si passa il termine, un bandito "liberale". È - è stato - un bandito onesto in una società dove troppo spesso gli onesti sono dei banditi.