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Fra India e Italia il Paese del Terzo Mondo siamo diventati noi. Non perchè quella di New Delhi sia la terza economia dell'Asia, mentre la nostra è ormai una delle ultime d'Europa. La civiltà di un Paese non si misura solo dalle condizioni economiche. Il fatto è che fra noi e l'India c'è un gap istituzionale, a nostro sfavore. Il 23 marzo l'allora ministro degli Esteri Giulio Terzi (poi dimessosi dopo un incredibile serie di errori) aveva appena finito di dichiarare che il suo omologo indiano, Salman Khurshid, gli aveva dato la garanzia che il caso che coinvolge i due maro' non è di quelli che comporta in India la pena capitale che il Guardasigilli Ashwani Kumar lo smentiva negando che il ministro degli Esteri del suo Paese potesse aver escluso, «in maniera fondata», una pena capitale per i due militari italiani: «Come puo' il potere esecutivo fornire garanzie sulla sentenza di un tribunale?». Evidentemente anche in India si è introiettata la consapevolezza che uno Stato democratico  si fonda, come insegna Montesqieu, sulla separazione dei tre principali poteri dello Stato: esecutivo, legislativo, giudiziario. Consapevolezza che noi, a quanto pare, abbiamo perduto. In passato abbiamo avuto pretori (i cosiddetti 'pretori d'assalto') che si inventavano le leggi ritenendo carenti quelle vigenti, sostituendosi cosi' al Parlamento. Negli anni recenti infiniti sono stati i tentativi del potere esecutivo di interferire in quello giudiziario. Quante volte l'onorevole Berlusconi, nella sua veste di premier, ha dichiarato illegittime (non 'ingiuste', illegittime) sentenze della magistratura, soprattutto quando lo rigurdavano (ma non solo, vedi il caso Englaro). E ancora nei giorni scorsi, ha fatto pressioni sul Presidente della Repubblica perchè intervenisse sui suoi processi per modificarne il percorso.

Noi italiani che, grazie ai Latini che l'hanno inventato, siamo la culla del diritto, ci siamo dimenticati i fondamentali. E questa confusione dei poteri, alimentata da chi li detiene, è discesa, inevitabilmente, nella testa dei cittadini. Quante volte abbiamo visto aggredire i magistrati per decisioni che parevano aberranti (poniamo la scarcerazione di notori mafiosi per decorrenza dei termini)? Ma le leggi non le fanno i magistrati, le fanno i politici, le fa il Parlamento. Il magistrato si limita ad applicarle, senza poter fare diversamente. Se lo facesse, anche con le migliori intenzioni, invaderebbe un campo riservato al legislatore. Eppure in questi casi sono regolarmente i magistrati ad essere messi sotto accusa e non i politici che sono i veri responsabili. Anzi molto spesso sono proprio i politici ad accusare i magistrati per aver applicato le leggi che loro stessi hanno fatto.

C'è un altro principio, questa volta non giuridico ma politico, basilare per una convivenza civile, che è venuto meno.E' il principio di responsabilità. Nessuno si riconosce responsabile di nulla. In Tv quotidianamente parlamentari dell'una e dell'altra parte si accusano reciprocamente delle peggio malefatte, ma mai che ce ne sia uno che ammetta onestamente di essere responsabile, almeno pro quota, della situazione disastrosa in cui siamo precipitati. Si trova sempre qualche scappatoia. Dipende da una mancanza di dignità che, purtroppo, c'è peculiare. Il nostro gap con la Germania non è solo economico. E' morale. Il Capo dello Stato tedesco, Christian Wulff, semplicemente sospettato di aver ricevuto, anni addietro, un modesto finanziamento illecito da un imprenditore, ci ha messo sette minuti per dimettersi. Il Parlamento italiano, per salvare uno dei suoi, è stato costretto a votare che una marocchina era egiziana. Ed è detto tutto.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 29 marzo 2013