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Teresa Belton, una scienziata inglese esperta di problemi dell'infanzia, dell'adolescenza e dell'apprendimento, sostiene, in uno studio, che la noia è «la linfa segreta della creatività». E' vero in due sensi solo apparentemente contradditori. La noia ti spinge a uscirne e nello stesso tempo ti aiuta. Non è un caso se alcuni genietti della Tv ( Carlo Freccero, Antonio Ricci, Fabio Fazio, Aldo Grasso, Tatti Sanguinetti), il più moderno dei mezzi di comunicazione prima dell'avvento di Internet e del web, siano originari di Savona (o dintorni), una delle città più torpide d'Italia, dove non accade mai nulla. Mi ha detto una volta Antonio Ricci: «Tu capisci che quando il massimo dei tuoi orizzonti sono i Bagni Sirena, d'estate, per non dire del lungo, immobile inverno, fai di tutto per uscirne».

Del resto se si vanno a leggere le biografie dei più importanti artisti italiani (registi, attori, scrittori) si vede che la maggioranza è nata in provincia, solo dopo la prima giovinezza si sono trasferiti in una grande città e hanno raggiunto il successo. Ma prima hanno goduto dei ritmi lenti, e sia pur noiosi, della provincia, avendo il tempo per riflettere, pensare, assimilare. C'è un bel libro, pubblicato una ventina d'anni fa, «La scoperta della lentezza» di Sten Nadolny. Racconta la storia di un ragazzino che pare ritardato rispetto hai suoi coetanei, lento nei riflessi, meno abile nei giochi. Diventerà un famoso esploratore, John Franklin, che contribuirà a scoprire e ad aprire il mitico 'passaggio a Nord Ovest' fra i ghiacci dell'Artico, mentre chi, da adolescente, lo superava in tutto non andrà oltre la soglia di una vita banale.


Il fatto è che mentre i suoi compagni si lasciavano andare alla frenesia dell'età, Franklin, isolato, lento, fuori dai giochi, introiettava e assimilava profondamente le conoscenze che gli sarebbero servite in futuro ( cio' che ti ha detto, una sola volta, tuo nonno ti rimane impresso per tutta la vita, mentre non riusciamo a trattenere che per poco le migliaia di informazioni che quotidianamente ci attraversano). Che, nell'apprendimento, la lentezza sia un vantaggio lo conferma l'osservazione del comportamento delle specie. Un gattino di tre mesi è già svezzato, un cucciolo d'uomo ci mette anni per essere autosufficente. Ma il gatto resta un gatto, l'altro diventa, almeno intellettualmente, un animale superiore. Lo conferma anche il confronto fra i sessi. Fra un bambino e una bambina di sei anni c'è una distanza siderale. Lei è molto più sveglia, più pronta, in tutto e, fra le altre cose, ha già le malizie della donna. Lui è un tontolone. Con la crescita la distanza gradualmente diminuisce fino ad annullarsi e, nell'età adulta, è lui che supera lei. Questo, almeno, è quanto storicamente avvenuto finora (le femministe del Fatto non me ne vogliano,  hanno già Battiato cui pensare).

Noi oggi bambini o adulti che si sia, andiamo di fretta. Frenetici.  Anticipiamo in ogni campo l'apprendimento. Ci manca il tempo per riflettere, di pensare. Non è dovuto al caso se, in Occidente, l'ultimo, vero, grande filosofo sia stato Martin Heidegger, attivo negli anni Trenta, quasi un secolo fa.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2013