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L'annuncio di Barack Obama, in margine al vertice irlandese, che a Doha, nel Qatar, è iniziato un negoziato con i Talebani per arrivare ad una pace in Afghanistan, è in realtà una dichiarazione di resa. Gli americani hanno preso atto che dopo dodici anni di guerra, il più potente esercito del mondo non è riuscito a piegare la resistenza di quello che, fino a poco tempo fa, chiamavano «un pugno di criminali e terroristi». La ragione è semplice: i Talebani godono dell'appoggio della stragrande maggioranza della popolazione afgana, storicamente refrattaria a qualsiasi occupazione dello straniero. Nell'800 cacciarono gli inglesi, nel 900 i sovietici e ora si apprestano a far fare la stessa fine agli occidentali.

In realtà non è la prima volta che gli americani tentano di agganciare, diciamo cosi', diplomaticamente i Talebani. Ci provarono già nel 2005, quando la guerriglia organizzata dal Mullah Omar era ancora agli inizi. Proposero un' amnistia per i Talebani che avessero deposto le armi. Ma gli era andata male. Dei 142 leader inseriti nella 'lista nera' dell'Onu solo 12 avevano accettato. Ci avevano riprovato nel 2010 quando ormai i Talebani controllavano il 75% del territorio. E gli era andata ancor peggio. Infine, come ultima carta, avevano costituito un grottesco Consiglio di pace in cui sostenevano che erano entrati alcuni leader talebani, in realtà scartine raccolte per le strade di Kabul. In quell'occasione, ridotti alla disperazione, gli Usa avevano chiesto aiuto anche all' 'arcinemico' Iran.

Tutti questi tentativi erano falliti perchè gli americani si erano rifiutati di trattare col il Mullah Omar, capo indiscusso della guerriglia. Ora a Doha la situazione è cambiata. I contatti, che in realtà vanno avanti sottobanco da due anni, da quando l'Emirato islamico d'Afghanistan vi ha aperto una sede diplomatica, hanno portato a questo risultato: gli americani accettano di trattare con gli emissari del Mullah Omar, 'il mostro', 'il criminale di guerra' su cui pende tuttora una taglia di 25 milioni di dollari. Gli americani, per salvare la faccia, dicono che le trattative saranno condotte dal governo Karzai. Ma è una peccetta pietosa. Il Quisling Karzai, non conta nulla, è alle dirette dipendenze del Dipartimento di Stato. Le trattative saranno dirette fra americani e emissari del Mullah (Anche se Omar, pur dirigendo le operazioni, non sarà personalmente presente a Doha. Non si fida degli americani. Ricorda quanto accadde al suo ex ministro degli Esteri, Wakil Muttawakil, invitato nel 2005 negli Stati Uniti perchè considerato un 'moderato' con cui si poteva trattare. Muttawakil non aveva fatto ancora in tempo a mettere piede a New York che si trovo' a Guantanamo).

Rispetto ad altre volte le trattative hanno quindi basi più solide, poichè coinvolgono i veri protagonisti della guerra. E perchè entrambe le parti sono spinte dalla necessità. Gli americani di venirne fuori anche perchè non possono continuare a spendere 40 miliardi di dollari l'anno per una guerra che hanno già perso. I Talebani perchè, pur essendo padroni dell'immensa area rurale dell'Afghanistan, l'80% del Paese, non possono conquistare le città più importanti, dove sono arroccati gli occidentali, per l'enorme disparità degli armamenti. Ma la trattativa si presenta ugualmente difficilissima. Le distanze rimangono abissali. Basti questa. Gli americani vogliono mantenere comunque delle basi aeree in Afghanistan per poter continuare a controllare il Paese. Il Mullah Omar vuole che, a negoziato finito, non un solo soldato straniero calchi il suolo afgano. «Aspettatevi un processo lungo, complesso e caotico» avvertono i consiglieri della Casa Bianca. E, una volta tanto, hanno ragione.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 21 giugno 2013