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Furio Colombo ci ha raccontato, da par suo, gli esordi della TV che si valeva, oltre a lui, di intellettuali del calibro di Eco, Soldati, Levi, Vattimo. Ma erano proprio i primi passi e non poteva essere quella, oltretutto un po' troppo intellettualoide, la miglior TV. Venne dopo.

La Dc, dopo qualche tentativo, aveva rinunciato a imporre la propria egemonia sul cinema, il teatro, le arti figurative («culturame» secondo la sprezzante definizione di Scelba) che era stata quindi assunta dal Pci (quanti Guttuso ci siamo dovuti cuccare), ma aveva puntato tutto sulla TV avendone intuito, per prima, le enormi potenzialità e ne aveva affidato la guida a un uomo geniale, Ettore Bernabei, che dal 1961 al 1974 ne fu il Direttore generale. L'idea, dirigista, di Bernabei era di 'educare' il popolo italiano, di elevarne la cultura. Poteva farlo perchè agiva in regime di monopolio e non doveva tener conto dell' 'audience'. Era lui a imporla. Il primo tentativo, riuscito, fu di unificare l'Italia dei dialetti a un buon italiano (anzi ottimo, c'erano addirittura delle venature 'puriste' in quella TV, altro che il basic english/romanesco di oggi). Ma prendiamo lo spettacolo di intrattenimento popolare per definizione: il varietà (oggi sostituito dal 'contenitore'). Sotto la gestione di Bernabei il varietà si chiamava: Un, due, tre di Tognazzi e Vianello; Il mattatore di Gassman; Alta fedeltà (testi di Chiosso e Zucconi); Studio uno di Walter Chiari (1963), Lelio Luttazzi (1964), Ornella Vanoni (1966); Il signore di mezza età a cura di Camilla Cederna, Marcello Marchesi, Gianfranco Bettetini, presentato dallo stesso Marchesi con Lina Volonghi e Sandra Mondaini; L'amico del giaguaro con Bramieri, la Del Frate e Raffaele Pisu; Scarpette rosa con Carla Fracci, Chiari e Mina; Quelli della domenica con Paolo Villaggio (testi di Marchesi e Costanzo). Erano tutti spettacoli che si sostenevano, oltre che su grandi professionisti, su un'idea e la sviluppavano. C'è anche da dire che quella TV era costretta ad attingere i propri protagonisti dalle arti e dai mestieri, cinema, teatro, balletto e persino il circo, mentre in seguito i personaggi si sarebbero creati per partenogenesi televisiva, cioè gente, come ammise Alba Parietti in un momento di sincerità, «che non sa far nulla». Poi c'era, in prima serata, lo 'sceneggiato all'italiana': Il mulino del Po di Bacchelli; I Demoni di Dostoevskij con la straordinaria interpretazione di Luigi Vannucchi nella parte del principe Stavroghin, i grandi russi insomma; La fiera delle vanità di Thackeray, insomma i classici inglesi. Bernabei si permise anche il lusso di dare alle 20 e 30 Il settimo sigillo di Bergman (che ognuno interpreto' secondo il proprio livello culturale, la mia segretaria alla Pirelli, come 'horror' e non aveva nemmeno tutti i torti). Dal 1968 al 1972 furono trasmessi, spesso in prima serata, 400 concerti di musica classica, sinfonica, operistica.

Poi vennero il 'pluralismo' dove non c'era usciere Rai che non avesse targa di partito e l'avvento delle 'commerciali'. E fu il tracollo. Anche in questo Ettore Bernabei era stato preveggente: «La televisione ha un potenziale esplosivo, superiore a quello della bomba atomica. Se non ce ne rendiamo conto rischiamo di ritrovarci in un mondo di scimmie ingovernabili». E cosi' è stato.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2014