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In un articolo su Italia settimanale del febbraio 1996, intitolato 'Questi liberal con la puzza sotto il naso', paragonavo il professor Ernesto Galli della Loggia al professor Lucio Lombardo Radice, dirigente del Pci, che si accreditava come matematico per meriti politici e come politico per meriti matematici, ma che non aveva combinato nulla in nessuna delle due attività. «Così» scrivevo «il Della Loggia si accredita come editorialista in quanto storico e come storico in quanto editorialista...invece in più di mezzo secolo di vita il professor Della Loggia non ha prodotto nulla che abbia attinenza con la sua professione». Il professore mi querelò chiedendomi mezzo miliardo. Ma il Gip del Tribunale di Roma rigettò la querela con motivazioni che screditavano ancor di più di quanto avessi fatto io l'onorabilità di storico del professor Ernesto Galli della Loggia (sentenza 22/9/1998).

Perché ricordo quell'antica 'querelle'? Il mio articolo era in risposta a uno in cui il professore definiva 'rozzi, ignoranti, plebei' Bossi e Di Pietro cercando così di delegittimare due dei protagonisti di quella che impropriamente, e subdolamente, è stata chiamata la 'rivoluzione italiana' del 1992-94 (da parte della magistratura non ci fu alcuna 'rivoluzione', ma il richiamo anche agli esponenti della classe dirigente al rispetto di quelle leggi che tutti noi cittadini plebei siamo chiamati a osservare). Adesso il Della Loggia ci riprova con un articolo sul Corriere del 14/12. Scrive: «Tra il 1992 e il 1994 -non bisogna mai dimenticarlo- la Seconda Repubblica è nata fuori e contro la politica. Violando in molti modi l'insieme di regole e di prassi che fino allora la democrazia italiana aveva più o meno sempre rispettato». Della Loggia cita come fatto inaudito che il Capo dello Stato di allora, Oscar Luigi Scalfaro, si rifiutò di controfirmare il decreto legge del Guardasigilli Giovanni Conso con cui si depenalizzava il reato di finanziamento illecito ai partiti. Vabbè che il Della Loggia è uno storico, soi-disant, ma almeno un poco di diritto dovrebbe masticarlo e sapere quindi che è nella potestà costituzionale del Presidente della Repubblica rinviare alle Camere leggi che non lo convincono (art.74 Cost.).

Insomma per Della Loggia, in ciò perfettamente in linea con Napolitano, i responsabili della disastrosa situazione, non solo economica ma etica, in cui si trova oggi l'Italia non furono i ladri di partito ma i magistrati che alimentarono «il populismo, il giustizialismo» e naturalmente, parola magica, «l'antipolitica». E' bene ricordare allo smemorato che quella «prassi della democrazia italiana» della Prima Repubblica, che oggi rievoca con nostalgia, ci è costata, secondo un'indagine prudenziale di Giuliano Cazzola, 630 mila miliardi di vecchie lire, un quarto circa del nostro debito pubblico. E casca male anche come tempismo perché una recentissima inchiesta di Confindustria dice che, a causa della corruzione, ci siamo fumati altri 300 miliardi, in euro questa volta.

Della Loggia ricorda il caso del deputato socialista Sergio Moroni che, coinvolto nelle inchieste di Mani Pulite, si uccise. Quel suicidio lo riscatta moralmente, ma non lo assolve. E' accertato che prese 200 milioni in contanti nascosti nella solita 'cartellina tipo ufficio'.

Nessuno ricorda invece le 'morti bianche' di Tangentopoli, cioè di quegli imprenditori che, vittime di un'educazione ottocentesca, non ci stavano a corrompere e a corrompersi. Io ne ho conosciuti due. Fallirono. E si uccisero, se ne andarono in silenzio senza spedire lettere a Napolitano e avere il conforto delle lacrime postume del professor Ernesto Galli della Loggia.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 dicembre 2014