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L’altra sera, prima di Natale, ho invitato a cena una mia amica, professionista affermata, femmina discretamente acculturata. Insomma, media borghesia. Bene, per tutta la durata della cena è stata allo smartphone, anche in vocale, per cui non capivo se stava parlando con me o con qualcun altro. Alla fine le ho detto: “Se avessi cenato a casa mia, contro la parete della cucina, mi sarei sentito meno solo e non avrei sprecato dei quattrini”.

In molti locali, specie quelli trendy, all’ora dell’aperitivo si vedono un uomo e una donna, una coppia, uno di fronte all’altro, non in diagonale per sbaciucchiarsi almeno un po’, che anfanano ognuno al proprio cellulare senza dirsi una parola.

Il treno, una volta, era un’occasione per fare quattro chiacchere con gli altri viaggiatori (c’erano, una volta, gli scompartimenti) e un ottimo pretesto per fare il filo alla dirimpettaia carina, se poi lo scompartimento era vuoto si poteva spingersi più in là. Oggi non se ne parla neanche, sono tutti allo smartphone.

Negli Stati Uniti, ne abbiamo già parlato, per reagire alla dittatura dello smartphone un gruppo di ragazzi, molto sparuto per ora, ispirandosi al luddismo, ha creato il Luddite Club dove l’uso dello smartphone è proibito. Per la verità l’obiettivo di questi moderni luddisti è anche di dare il  meno tempo possibile al lavoro, riservando le proprie energie al “tempo liberato” come lo ha chiamato Beppe Grillo, che non è il famigerato “tempo libero”, che è sempre un tempo di consumo, ma un tempo dedicato ai propri reali interessi e fors’anche, guarda un po’, alla riflessione. Naturalmente chi segue questa linea è un “tagliato fuori”. E ci vuole una bella forza per comportarsi in questo modo in un mondo che va in tutt’altra direzione. Ma non è detto che sia sempre così. In un divertente, ma per niente superficiale, articolo pubblicato dal Giornale (11.11.2023) significativamente titolato “Quattro giorni senza cellulare: mi sono sentito un uomo libero” lo scrittore e giornalista spagnolo Arturo Pèrez-Reverte racconta la sua personale tragedia di aver perso il cellulare proprio mentre deve salire sul treno. All’inizio è preso dal panico.  Ma essendo un uomo accorto, o per meglio dire di una generazione antica, ha 72 anni, i biglietti del treno se li è stampati su carta, così come su carta tiene nel portafoglio gli indirizzi più importanti. Si accorge quindi che del digitale può fare tranquillamente a meno. È ridiventato un uomo libero.

Il digitale sta facendo strame fra i ragazzi. Non comunicano più col vicino, o con la vicina, della porta accanto, ma con lontanissimi amici che abitano in esotici Paesi.

Inoltre lo stringatissimo schema di Twitter, ora X, impedisce loro di organizzare argomenti solo un poco più complessi. Ho letto recentemente la tesi di filosofia di un mio giovane amico, non c‘era un ‘a capo’ al posto giusto, non c’erano punti, non c’erano virgole, era tutto un fluire ininterrotto, illeggibile ed incomprensibile.

Non so se qualcuno riuscirà mai a fermare il digitale e tutti i suoi derivati, anche se proprio Elon Musk, che pur sul digitale ha fatto la sua fortuna diventando l’uomo più ricco del mondo, ha palesato le proprie perplessità a proposito delle continue e velocissime innovazioni nel settore. Fra poco saremo tutti dei ‘tagliati fuori’, a parte un ristrettissimo numero di hacker finanziari (non per nulla, in una certa concordanza quasi esoterica, la finanza, che oggi domina il mondo, è impalpabile, incorporea, non ha una fisicità, come non la ha il digitale).

Comunque sia bisognerebbe chiarire ai ragazzi, e non solo a loro, che il Tempo è il padrone inesorabile delle nostre esistenze e passarlo sugli smartphone o sui tablet è un peccato contro la vita. O per dirlo nel modo di Papa Francesco è una bestemmia contro Dio.

Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano 10 gennaio 2024