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Una settimana fa le quotazioni della New York Community Bank sono crollate del 40%. Questo collasso era stato preceduto da quelli della Silicon Valley Bank (la favolosa Silicon Valley non è più tanto favolosa, le persone se la svignano perché troppo cara) della Silvergate Bank e della Signature Bank. Il meccanismo è sempre lo stesso, le banche fanno mutui usurari ai cittadini, che ne hanno bisogno per pagare l’affitto, comprare un’automobile (non un’utilitaria si intende, ma le spaventose ‘portaerei’ che nel dopoguerra tanto scandalizzavano e indignavano Dino Buzzati) o pagare le tasse universitarie (in continuo aumento perché negli Stati Uniti, a differenza poniamo di Cuba, l’istruzione e la salute non sono gratuite) e a un certo punto non sono più in grado di onorare questi debiti. Diciamo il meccanismo Lehman Brothers che tutti ricordiamo perché si riversò sui Paesi europei, Italia compresa.

Il collasso di New York Community, Silicon Valley, Silvergate e Signature non sarebbe in sé inquietante, in fondo si tratta di banche di piccole o al massimo medie dimensioni, se non si inserisse nel colossale debito americano che ammonta a 34mila miliardi e che è destinato ad aumentare ancora. Il governo Usa ha cercato di limitare il proprio debito pubblico, un tentativo inane perché le norme dell’economia, ce lo dicono gli stessi specialisti yankee, sono come le leggi di natura che nessun decreto può fermare. L’indebitamento americano verso l’estero è vicino agli 8mila miliardi (800 con la Cina) ma ci sono poi Paesi europei e non solo europei che sono indebitati con gli Usa. Cioè tutti sono indebitati con tutti creando una massa non di moneta, che è già un’illusione, ma creditoria/debitoria enorme. Questa massa si proietta verso un futuro così lontano, iperboreo, da essere di fatto inesistente. Prima o poi, più prima che poi, questo falso, cioè scambiare il sistema finanziario/creditizio per beni economici materiali, cioè con quella che viene comunemente chiamata “l’economia reale”, ci collasserà addosso. Ma gli americani continuano imperterriti. Per loro è molto facile ripianare i debiti delle proprie imprese con 391 miliardi, smantellando così la concorrenza europea.

È bene ricordare che le due grandi crisi finanziarie dell’ultimo secolo (Wall Street 1929, Lehman Brothers 2008) vengono dall’America. Ma mentre la crisi di Wall Street del ’29 poté essere in qualche modo tamponata dai Paesi europei (ricorderò in proposito la creazione dell’Iri, Istituto di Ricostruzione Industriale, da parte di Mussolini e altre misure di contenimento) perché il mondo era meno globalizzato e ogni Paese occidentale poteva agire per sé e solo per sé, adesso la globalizzazione, scusate la ripetizione, è globale. A un Wto del 1998 Bill Clinton affermò che la globalizzazione non era un fatto politico ma economico, e Fidel Castro, c’era ancora il vecchio Fidel, disse “Opporsi alla globalizzazione è come opporsi alla legge di gravità”. Questo è vero se noi mettiamo al centro dei nostri interessi l’Economia e le sue gemelle, la Tecnologia e la Pubblicità (la vera protagonista, quest’ultima, dell’intero sistema). Tutto deve conformarsi alle esigenze di questa sinistra Trimurti. Ma lo stesso accadrebbe se noi mettessimo al centro uno spillo, tutto dovrebbe conformarsi allo spillo. Invece sarebbe bene, io credo, rimettere al centro del sistema l’uomo e lasciare all’Economia e alla Tecnologia la parte marginale che avevano prima della Rivoluzione industriale. Nel Medioevo, pur con tutti i suoi limiti e a volte anche orrori (la Santa Inquisizione per esempio) al centro della vita c’era l’uomo.

Vedo la sera Sky Tg24 Economia. Vi intervengono famosi economisti, grandi finanzieri, politici impegnati nel settore in una sarabanda di teorie, tesi, ipotesi, congetture di cui lo spettatore, nonostante la bravura del conduttore Andrea Bignami, non capisce assolutamente nulla. Una cosa però la comprende: che questi qui, e non solo loro, stanno disquisendo con una spada di Damocle sulla testa che prima o poi, come ho già detto, farà il suo dovere. “Deus dementat quos vult perdere” o, per dirla in modo più leggero, con Gaber: “Stiamo diventando tutti coglioni”.

Il Fatto Quotidiano, 20 marzo 2024