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Del penoso e grottesco sketch fra il Sommo Pontefice e Benigni a pro della prima “Giornata mondiale dei bambini” (come se non bastassero già tutte le altre: la giornata della mamma, la giornata del papà, la giornata degli zii, la giornata dei cugini, la giornata del gatto, la giornata del cane, la giornata del porco …, cosicché si perde il valore simbolico di quelle giornate che veramente contano) i giornali della cosiddetta destra e Vittorio Feltri hanno dato la responsabilità di quell’indecoroso spettacolo a Benigni. È vero, Roberto Benigni vive la crisi, che toccò anche a un altro grande, molto più grande, personaggio dello spettacolo, Nino Manfredi, del “comico che non fa più ridere”. A me Benigni non è mai piaciuto, troppo paraculo, troppo strusciato ai potenti, da D’Alema a Veltroni a Renzi, non dimenticando che il primo a subire le sue poco gradite attenzioni fu un fragile Enrico Berlinguer, preso in braccio dall’energumeno con una trovata di dubbio gusto che mise in grande imbarazzo il timido segretario del Pci. A me Benigni piace solo quando recita la Commedia perché da tosco qual è gli suona dentro e riesce anche a renderti digeribile l’insopportabile Paradiso con una altrettanto insopportabile, immacolata, intoccabile Beatrice (anche se Dante non è ufficialmente uno  “stilnovista”, nella incontaminata e incontaminabile Beatrice si respira aria dello Stil Novo, dove la donna è messa al di là di ogni tentazione, e Rilke nota sarcasticamente che il timore degli “stilnovisti” era che lei alla fine ci stesse).

Ma nella giornata a pro dei bambini il problema non è Benigni ma è papa Bergoglio. Se si fosse voluto essere misericordiosi (la misericordia era il tema scelto) si sarebbe dovuto sorvolare sul duetto. Perché il Sommo Pontefice l’ha accettato e anzi favorito? Perché temo abbia preso la tabe di Giovanni Paolo II, un papa che è andato vicino a distruggere quel poco che resta della Chiesa cattolica e del senso del sacro in Occidente, vizio che consiste nell’utilizzare i media televisivi e i personaggi televisivi ai fini di una propaganda religiosa che si mette così allo stesso livello del mondo dello spettacolo o piuttosto dell’avanspettacolo. Quando un papa partecipa, come fece Wojtyla, a una trasmissione di Bruno Vespa, si mette inevitabilmente al livello degli ospiti e degli ascoltatori di quel salotto mediatico. Lo stesso avviene se si utilizza un personaggio, oltretutto ormai andato, come Roberto Benigni.

In un mondo occidentale totalmente materialista la Chiesa, forse con l’eccezione dello spirituale Ratzinger, non è stata in grado di intercettare le controspinte di questo fenomeno per cui i giovani e anche i meno giovani si rivolgono all’islam, al buddismo, all’esoterismo, alla magia, all’occultismo, al satanismo e perfino all’astrologia o addirittura al complottismo radicale per cui, dalla notte dei tempi, il mondo sarebbe in mano a “loro”, cioè agli ebrei, una sorta di storicismo capovolto per cui non sarebbero esistiti né Gaber o Jannacci se non come utili servi dei “Protocolli dei Savi di Sion”, né Nietzsche né Giacomo Leopardi. Forse compito della Chiesa sarebbe di fare un po’ d’ordine in questo disordine. Ma la Chiesa, a furia di bazzicare la modernità e di cavalcarla, ha perso ogni autorità. Un esempio clamoroso di questa perdita fu la guerra all’Iraq contro cui Wojtyla aveva tuonato, ma il cattolicissimo Aznar fece orecchie da mercante e toccò al socialista Zapatero, in contrasto con la Chiesa su molte questioni, rimediare la situazione rimettendosi in sintonia col popolo spagnolo che non voleva quella guerra, non perché gliel’avesse detto il Papa ma perché, laicamente, non ne comprendeva le ragioni e l’utilità. A quell’epoca papa Wojtyla godeva di un’esposizione mediatica altissima, come un Elton John o un Bruce Springsteen, ma la sua parola, in campo religioso, valeva quanto quella di un Elton John o un Bruce Springsteen, cioè niente.

Oggi papa Francesco, che aveva cominciato bene a partire dal nome che si è dato, usa come megafono, non sapendo a quale altro santo votarsi, Roberto Benigni. Che squallore.

Il Fatto Quotidiano, 1 giugno 2024