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Nel 1975, a Helsinki, 35 Stati del mondo, fra cui la Spagna, sancirono il diritto all’’autodeterminazione dei popoli’. Se questi accordi non sono solo delle astratte enunciazioni di principio destinate a non avere alcuna applicazione la Catalogna ha il pieno diritto di fare il suo referendum di indipendenza dalla Spagna.

L’intervento di Madrid per impedire il referendum che dovrebbe svolgersi il primo ottobre è brutale, violento e nella memoria dei catalani che hanno l’età per averla ha ricordato i metodi del regime franchista. Arresti di funzionari del governo catalano anche di altissimo livello come il braccio destro del vice presidente catalano, Josep Maria Jové, minaccia di arrestare lo stesso presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, sequestro delle schede elettorali, chiusura dei seggi. Ma i catalani non demordono: hanno fatto stampare un milione di nuove schede, hanno aperto nuovi seggi che però la polizia di Madrid ha circondato impedendone l’accesso. Molto dipende ora dall’atteggiamento della polizia catalana (Mossos d’Esquadra) il cui comandante Trapero si è rifiutato, almeno per ora, di sottomettersi alla Guardia Civil spagnola. Nel momento in cui scriviamo le manifestazioni degli indipendentisti sono state pacifiche, nella forma prevalentemente dei sit-in ma se si dovesse arrivare a uno scontro fra le due polizie si aprirebbe la strada in Spagna a una sanguinosa guerra civile, non diversa se non nelle proporzioni da quella che attraversò il Paese alla fine degli anni Trenta e che contrappose i nazionalisti di Francisco Franco ai repubblicani.

Nulla è immutabile nella vita degli uomini e delle loro organizzazioni. La Storia, e il Tempo che scorre con essa, non si ferma checché ne abbiano pensato tutti gli storicismi, da Hegel a Marx fino a quel epigono imbecille di Fukuyama. Nuovi Stati si formano, altri si disgregano, altri ancora scompaiono. Se così non fosse tutto il ‘mondo nuovo’ che si aprì agli occhi degli europei al tempo di Magellano sarebbe rimasto, per diktat del Papato, che allora aveva una grande influenza, diviso in due zone, l’una spagnola, l’altra portoghese. Ma così non è andata.

Fermiamoci però a tempi più vicini a noi. Dopo il collasso dell’Urss le ex Repubbliche sovietiche sono diventate degli Stati a tutti gli effetti (Estonia, Lituania, Lettonia, Georgia, Turkmenistan, Azerbaigian, Kazakistan, Tagikistan, Uzbekistan, Armenia, Ucraina per nominarne solo alcuni), la Jugoslavia è scomparsa dalle mappe geografiche dividendosi in Slovenia, Croazia, Bosnia, Macedonia, Montenegro, Kosovo, la Slovacchia si è staccata dalla Cechia, la Germania si è riunificata. A parte la Bosnia e in particolare il Kosovo dove c’è stato un pesante intervento militare degli americani per staccarlo, a loro uso e consumo, dalla madre patria serba, tutte queste separazioni, o riunificazioni, sono avvenute in modo sostanzialmente pacifico. A volte erano così naturali che non c’è nemmeno stato il bisogno di ricorrere a un referendum.

Attualmente bollono in pentola, oltre a quello catalano, l’indipendentismo basco, scozzese, corso e, se vogliamo, anche l’autonomismo Lombardo-Veneto.

Questi indipendentismi hanno raramente vere ragioni politiche ed economiche. Nascono piuttosto da pulsioni esistenziali. Sono il tentativo di recuperare le proprie radici, un’identità perduta, di sfuggire in qualche modo a quella standardizzazione e a quella omologazione che la globalizzazione ha esasperato. E più si stringe il cerchio della globalizzazione, più entreranno in azione le controspinte indipendentiste.

E’ il sogno delle ‘piccole patrie’ che è venuto prepotentemente alla ribalta, o perlomeno alla coscienza dell’opinione pubblica italiana, ai tempi della prima Lega.

Alla luce degli accordi di Helsinki è un ‘sogno’, anzi un diritto, del tutto legittimo e, a parte le violente resistenze di Madrid, non si capisce perché l’Onu, l’Unione europea, Angela Merkel e altri soggetti politici si oppongano all’indipendentismo catalano senza avere alcun diritto di mettervi il becco.

Non facciamo altro che parlare di democrazia, del potere sovrano del popolo ma quando la volontà popolare si manifesta nella sua forma più limpida che è quella della democrazia diretta, e non della democrazia rappresentativa, troviamo qualsiasi pretesto per aggirarla e annullarla. ‘Populismo’ è l’aggettivo più usato per svilire e bollare qualsiasi tentativo che si opponga al sistema e al dominio di ‘lorsignori’, politici, economici, finanziari, di tutto il mondo. E allora diciamolo una volta per tutte: la democrazia non esiste, è un imbroglio, una Fata Morgana che svanisce appena mette in pericolo il dominio dei Signori della Terra.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2017

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Il discorso di Trump alle Nazioni Unite è stato, come suo solito, bifido. Era partito bene, America first, “metterò sempre l’America al primo posto, esattamente come ciascuno di voi fa con il proprio Paese”. Bene, direbbe uno, Trump è ritornato al vecchio, anche se ormai molto antico, ‘isolazionismo’ americano. Ma quasi subito ha svoltato bruscamente negando di fatto questa affermazione: gli Stati Uniti hanno il diritto di difendere i propri interessi, gli altri Paesi, se i loro interessi contrastano con quelli yankee, no. Insomma America ‘uber alles’ in nome del loro autoproclamato ‘eccezionalismo’ (ma dove, ma quando?).

Donald Trump è riuscito a superare persino George W. Bush. Ha inserito nella lista nera degli ‘Stati canaglia’ il Venezuela, erede, con Cuba, del “fallimentare socialismo-comunismo” dell’Unione Sovietica, un regime “corrotto e destabilizzante” diretto da “un dittatore socialista” (il lettore ci darà atto che siamo stati i primi ad avvertire che il prossimo obbiettivo Usa sarebbe stato il Paese sudamericano). Adesso uno Stato non può più nemmeno permettersi di essere socialista o, dio non voglia, addirittura comunista. In nome dell’’eccezionalismo’ americano.

Nella minacciosa area degli ‘Stati canaglia’ viene ora reinserito il sempiterno Iran: “una dittatura corrotta travestita da falsa democrazia, uno Stato canaglia che esporta violenza, stragi e caos, che finanzia gli Hezbollah e altri terroristi che attaccano i pacifici Paesi arabi e Israele”. In nome dell’’eccezionalismo’ americano uno Stato non può essere teocratico, ha l’obbligo di essere democratico. Peccato che in Medio Oriente i pasdaran iraniani, sciiti, il cui terrorismo non è mai stato dimostrato, combattano al fianco degli americani contro l’Isis sunnita. Per la verità a combattere sono solo i pasdaran, i reparti speciali Usa se ne stanno ben al coperto (vedi mai che qualcuno si faccia male) limitandosi a indirizzare i bombardieri e i droni.

Corea del Nord. Verrebbe da ridere, se non fosse tragico, vedere un Tale seduto su un arsenale di 7.500 Bombe Atomiche che ne minaccia un altro che ne ha tre e vuole proseguire nel suo armamento nucleare. Se la questione fosse posta sul piano dei rapporti di forza non ci sarebbe nulla da eccepire. Ma gli americani hanno la pretesa di metterla sul piano del diritto e per questo hanno ottenuto dall’Onu nuove, dure, sanzioni contro Kim Jong-un. Sulla base di quale diritto la Corea del Nord non può avere la Bomba e Israele, nel complice silenzio generale, sì, il Pakistan sì, l’India sì, il Sudafrica sì, mentre Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia quest’arma micidiale la posseggono praticamente da quando è stata inventata? E’ chiaro che a Kim Jong-un l’Atomica serve come deterrente perché lui e il suo Paese non facciano la fine dell’Iraq di Saddam Hussein e della Libia di Muhammar Gheddafi. Anche Kim potrebbe dire, legittimamente: “Corea first”.

In realtà i più preoccupati del bellicismo trumpiano, molto apprezzato da Israele, sono proprio gli alleati dell’’amico americano’, in particolare gli abitanti della Corea del Sud. Perché sanno benissimo che se le cose si mettessero male sarebbero i primi ad andarci di mezzo. Anche perché hanno scoperto che gli armamenti e i missili con testata nucleare che gli Stati Uniti stanno ammassando ai confini della Corea del Nord non sono a corto ma a lungo raggio, cioè non hanno lo scopo di difendere la Corea del Sud ma di abbattere un eventuale missile che Kim lanciasse verso Guam o altri territori degli Stati Uniti (‘America first’).

Nelle scorse settimane ci sono state in Corea del Sud imponenti manifestazioni popolari contro il posizionamento di questo nuovo armamentario e anche il tentativo di bloccarne, senza ricorrere alla violenza, i rifornimenti militari. Alla guida di queste manifestazioni c’è la componente buddista, pacifista, della popolazione sudcoreana. In una bella inchiesta di Sky, l’inviato Pio D’Emilia chiede a una donna buddista, sulla quarantina, cosa pensi dei suoi vicini d’oltreconfine. “Non ho una cattiva opinione della Corea del Nord, in fondo siamo tutti coreani. In realtà siamo le vittime del gioco delle grandi potenze”.

Nel suo discorso alle Nazioni Unite Donald Trump ha anche demolito, di fatto, l’Onu e la sua funzione: l’Onu o è americana o non è. Non ne aveva bisogno. Ci avevano già pensato i suoi predecessori. Aveva cominciato il democratico Bill Clinton nel 1999 aggredendo, contro la volontà dell’Onu, la Serbia di Slobodan Milosevic, paracomunista, ma forse sarebbe meglio dire socialista, e comunque cristiana ortodossa, aveva proseguito George W. Bush nel 2003 invadendo e occupando l’Iraq, contro la volontà dell’Onu, e ha completato l’opera, per ora, Barack Obama concorrendo nel 2011, contro la volontà dell’Onu, a eliminare Gheddafi, disarticolando la Libia.

E, allora, chi è lo ‘Stato canaglia’?

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 22 settembre 2017

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Con un’ordinanza urgente il sindaco di Firenze Nardella ha istituito il divieto di chiedere o accettare prestazioni sessuali a pagamento. Il cliente è punito con l’arresto fino a tre mesi e con una multa di 200 euro. Le sanzioni si applicano anche se non c’è stato un rapporto sessuale (la prostituta invece rimane indenne). Per la prima volta in Italia, almeno a Firenze, per ora, la prostituzione in sé diventa un reato. Il sindaco Nardella si è avvalso di un recentissimo decreto del ministro degli Interni Minniti che consente ai sindaci di emettere un’ordinanza contro coloro che ottengono prestazioni sessuali a pagamento. Per il resto del Paese rimane in vigore, almeno per ora, la cosiddetta legge Merlin, che prende il nome dalla senatrice socialista che la promosse. La legge Merlin per eliminare i casini di fascistica memoria e togliere allo Stato il ruolo di tenutario legale della prostituzione introduceva i reati si sfruttamento, induzione e favoreggiamento. Ma non proibiva, e non proibisce, la prostituzione in sé in base all’articolo 13 della Costituzione: “La libertà personale è inviolabile”. Infatti i predecessori del pio Nardella per contrastare il fenomeno della prostituzione, in nome della ‘pubblica decenza’, ma più probabilmente per rimpinguare le casse del comune da loro stessi dissanguate, erano stati costretti a ricorrere a degli escamotage, come quello di multare in modo pesante l’automobilista che si accosta alla prostituta per “intralcio al traffico”. Insomma la legge Merlin punisce il protettore, il magnaccia, il rocchettèe, non chi la pratica e tantomeno chi se ne serve per soddisfare i propri bisogni sessuali, “l’utilizzatore finale” come lo ha chiamato l’avvocato di Berlusconi, Niccolò Ghedini. Se così non fosse il Cavaliere, fra le Daddario e le Olgettine, avrebbe dovuto essere condannato a “cinquemila anni più le spese”. Per la legge Merlin, sia pur emanata in epoca democristiana e bigotta, io ho il diritto di vendere il mio corpo e anche, se si vuole, la mia dignità, a chi mi pare, e un altro a comprarli.

Fin qui le leggi, le ordinanze, i divieti, i verboten. Ma il pio Nardella e i sindaci che lo vorranno seguire dimenticano che la prostituzione, non per niente ‘il più antico mestiere del mondo’, ha sempre avuto anche un’importante funzione sociale. I Latini, pagani, più pragmatici e meno ipocriti e sessuofobi di noi, gliela riconoscevano. Le etere erano considerate come una sorta di ‘dame di compagnia’ che avevano anche la funzione di dare al cliente, occasionale o di lungo periodo, un supporto affettivo.

In Italia, nel dopoguerra, i casini, poiché la ragazze “non la davano”, erano il solo modo, per i giovani, di avvicinare, conoscere e praticare un sesso che non fosse masturbatorio (a meno che non si avesse la fortuna di incrociare la ‘nave scuola’, una quarantenne, in genere sposata, cui piaceva trasgredire con i giovanissimi e anche con gli adolescenti-oggi in quest’ultimo caso la donna finirebbe al gabbio). Adesso, dopo la liberazione sessuale, questo problema non si pone più. Per i giovani. Non per i vecchi che conservino ancora un po’ di libido. Per un vecchio, rimasto single (ma anche se single non è perché già gli fa fatica farselo rizzare con una giovane, figuriamoci con una coetanea) è estremamente difficile, almeno che non sia ricco sfondato, soddisfare le proprie voglie e avere quel rapporto sessuale che ha anche una funzione salutare, nel senso di salute fisica e psichica, e perché no, come sapevano i Latini, affettiva. Questa situazione è descritta bene in un passaggio de La città vecchia di Fabrizio De André: “Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone/ forse quella che, sola, ti può dare una lezione/quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie, quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie/Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte/ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette/ Quando incasserai delapiderai mezza pensione/diecimila lire per sentirti dire micio bello e bamboccione”.

In Conoscenza carnale Jack Nicholson è un uomo maturo che ha avuto nella sua vita avventure e anche relazioni sentimentali importanti con donne ma che non è riuscito a trovare il suo ubi consistam con nessuna. Rimane solo. E il sabato sera va al bordello per farsi dire da una certa prostituta “uccello d’oro”.

In questa società solo apparentemente libera (di veramente libero c’è unicamente il mercato, il Despota assoluto delle nostre vite) bighina, intimamente, profondamente cattolica, senza essere cristiana, in modo diretto o indiretto, ci viene proibito tutto o quasi. Non possiamo fumare, per la nostra salute e quella altrui. Non possiamo bere in modo smodato (ma c’è qualche altro modo di bere?) senza incorrere nel biasimo sociale. Non possiamo superare i limiti di velocità, non possiamo, in macchina o in moto, farci prendere dall’ebbrezza senza che occhiute macchine ci sanzionino. L’occhio del Grande Fratello informatico ci controlla fino all’ultimo pelo. Lasciateci, perdio, almeno andare a puttane.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2017