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Caro Fini, sono la sua vecchia amica, vecchia di età; lei scrive in modo meraviglioso, la sua descrizione di come vivono le persone a Tel Aviv o al Cairo o a Mosca è bellissima. Come lei sa non ho avuto modo di frequentare le scuole superiori, ma ho sempre letto molto, anche i classici. La sua descrizione di Mosca mi ha richiamato alla memoria Dostoevskij, il mio autore preferito. Leggendo  L 'idiota piangevo e piango ancora per questo personaggio felice ed infelice nello stesso tempo. Ci sono scrittori che si aggirano sempre sulle rive del Po, con personaggi sempre uguali e nebulosi. Lei è diverso. Continui a scrivere, caro Fini, pur non abbandonando i suoi battibecchi che mi piacciono tanto. Con affetto materno». Luigia Amici Pubblico una lettera a me diretta in via eccezionale, per la prima ed ultima volta, perché questo è un Battibecco speciale, un Battibecco d'addio, e lo voglio dedicare a tutti quei lettori che hanno seguito questa rubrica con interesse o addirittura, come è il caso di Luigia Amici, con un affetto sin troppo indulgente. Cara Luigia, cari lettori della Domenica del Corriere, è la prima volta che mi rivolgo direttamente a voi, ma posso assicurarvi che, in questo anno e mezzo, non ho mai scritto un rigo senza sentirvi familiarmente presenti con i vostri sentimenti e con le vostre idee. Quando Battibecco nacque, decidemmo di chiamarlo così dal nome di una famosissima rubrica che Curzio Malaparte tenne su Tempo illustrato a metà degli anni '50, non per un atto di superbia, perché pensassimo di poterci avvicinare anche lontanamente a quei livelli e a quegli impareggiabili successi. Basti pensare che Arturo Tofanelli, che era direttore di Tempo all'epoca in cui Malaparte vi scriveva, che fu anzi l'artefice del ritorno in Italia dello scrittore dopo un lungo e volontario esilio a Parigi, mi ha raccontato una volta che, quando Malaparte iniziò la sua rubrica, il giornale guadagnò settantamila copie e altrettante ne perse quando, nel '56, morì. Del resto Curzio Malaparte, anche se oggi molti preferiscono dimenticarsene, per invidia, per rancore postumo («non mi hanno mai perdonato di essere venti centimetri più alto della media degli scrittori italiani» diceva lui con la sua ingenua ed infantile arroganza), è stato il più grande polemista italiano di tutti i tempi, più grande di Edoardo Scarfoglio, più grande di Indro Montanelli, per non parlare dei Giorgio Bocca e degli Eugenio Scalfari. Se ci siamo chiamati Battibecco non è quindi per un paragone improponibile, ma solo perché di quella rubrica intendevamo riproporre lo stile diretto, provocatorio, urticante e anche violento nel clima e nel panorama d'una stampa italiana, quale è quella d'oggi, troppo spesso incline all'applauso, al consenso, all'adulazione, al panegirico o, peggio, all'ipocrisia, al messaggio cifrato, allo stile allusivo, all'avvertimento di tipo mafioso. Noi abbiamo sempre cercato di parlare in modo chiaro, diretto, trasparente, dando al bersaglio delle nostre critiche, si trattasse anche di Pertini, d'un presidente della Repubblica o d'un ministro degli Interni, un nome ed un cognome, anche se così non abbiamo contribuito certo a farci degli amici. Qualcuno potrà forse obiettare che nella nostra rubrica siamo stati troppo propensi alla critica e troppo poco all'encomio. Può darsi, è probabile. Ma la critica è il compito precipuo dei giornali e dei giornalisti indipendenti, specie quando è così vasto il coro dei laudatori ufficiali ed ufficiosi. In ogni caso, nessuno ci può dire che l'abbiamo esercitata in malafede. Alle volte possiamo avere ecceduto, altre possiamo avere sbagliato bersaglio, non abbiamo infatti nessuna pretesa di infallibilità ( e lo sanno i lettori che hanno scritto criticandoci e ai quali abbiamo dato volentieri ragione quando le loro argomentazioni ci sembravano più valide delle nostre), ma ciò non è mai avvenuto per partito preso, per pregiudizio, per preconcetto. Un'altra cosa che abbiamo cercato di affermare in questa rubrica, che ne è stato, anzi, se si vuole, il sotterraneo ma costante filo conduttore, è il diritto alla diversità, cioè il diritto di ognuno, che per noi è irrinunciabile principio di civiltà e di tolleranza, «ad essere ciò che si è e a comportarsi come si vuole nella misura in cui ciò non nuoccia agli altri». Per questo abbiamo preso talvolta le difese di personaggi che non ci erano certamente simpatici, ma noi non pensiamo che l'antipatia sia un argomento. Un'altra delle nostre piccole battaglie perdute è stata quella contro le pretese totalitarie della tecnologia, contro questo disumanante feticcio che tutto asservisce a sé ed alle sue logiche e che sembra inarrestabile anche perché gode del consenso generale, del plauso incondizionato di quell'edonismo straccione che trasuda da tutti i pori della nostra società e dalle pagine di giornali radical-chic ed autodefinitisi impegnati come la Repubblica e l'Espresso. Per questo, cari lettori, è stato per me particolarmente gratificante potermi rivolgere ad un pubblico «popolare» (che non significa affatto, come taluni credono, di basso livello) qual è considerato quello della Domenica del Corriere, perché sento, e la vostra abbondante corrispondenza me lo conferma, che è un pubblico che ha disgusti, insofferenze, disagi morali che sono anche i miei. Per questo anche, cari lettori di Battibecco, mi è amaro il lasciarvi. Infine voglio esprimere un ringraziamento al direttore uscente, Pierluigi Magnaschi. A lui devo l'impagabile vantaggio di aver sempre potuto scrivere ciò che pensavo e soltanto ciò che pensavo. E questo, potete credermi, è oggi un privilegio raro.