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Sul Corriere della Sera Francesco Alberoni se l' è presa con i carrieristi, con gli sfrenati arrivisti, con tutti coloro che perseguono il successo senza avere un'adeguata etica del lavoro, del dovere, del merito. È come se un vampiro si scandalizzasse per un prelievo di sangue: perché di questi cultori del successo facile Alberoni è il riconosciuto prototipo avendo egli, che di mestiere fa il sociologo, scritto libri dove non s'avverte la minima traccia di studio, di lavoro, di ricerca, libri che si basano esclusivamente su un titolo ammiccante e sull'incessante ed accomodante grancassa dei mass-media. In realtà Alberoni contesta il meccanismo che lo ha messo in orbita ora che se ne servono anche altri. Sulla scia di Alberoni il settimanale Panorama s'è scagliato contro i rampanti, gli emergenti, i presenzialisti da salotto ed anche questa è una bella performance perche costoro sono esattamente i lettori che, da anni, Panorama si viene educando e crescendo con la massima cura, solleticandone le ambizioni, fornendo loro regole di arrampicamento e manuali di abbigliamento, miti da seguire, salotti da ammirare. Per sopramercato, Panorama ha chiamato ad esprimersi su questo tema Lina Sotis ed Enrico Vanzina che, senz'ombra di imbarazzo, si sono messi a moraleggiare sul successo facile come se il loro fosse dovuto a qualche dote titanica, a qualche sofferta disciplina interiore. Sull' Espresso di un paio di settimane fa si poteva leggere un illuminato e profondo articolo di Giorgio Bocca, «Signori, qui c'è poco da ridere», che, facendo giustizia di tutti i luoghi comuni del e sul riflusso, riportava l'edonismo straccione con i piedi per terra, ma chi in quei giorni avesse aperto la televisione avrebbe potuto vedere lo stesso Giorgio Bocca, tutto sorridente, far propaganda ad un libretto di Valentina Crepax, Uomini: istruzioni per l'uso, il cui unico merito è quello di inserirsi in una manualistica demenziale. Il direttore de la Repubblica, Eugenio Scalfari, noto per la destrezza e la velocità nel cambiare opinione facendo finta di nulla, ha raggiunto qualche tempo fa un record crediamo difficilmente battibile sostenendo, in uno stesso articolo, a proposito di Craxi, una tesi ed il suo opposto. Nei mesi scorsi Claudio Martelli minacciò, se non ricordiamo male, un referendum che abrogasse il servizio televisivo pubblico perché terreno della più efferata lottizzazione, dimenticandosi di esserne l'artefice più assatanato. Di fronte a questi esempi, fra i tanti che si potrebbero fare, di protervia intellettuale e di disprezzo dell'intelligenza del pubblico, indignarsi, forse, non basta. Bisognerebbe cercare di capire perché simili comportamenti siano oggi possibili, unanimemente praticati e in fondo accettati. Essi infatti indicano che una profonda trasformazione, morale, culturale, sociologica, è avvenuta nella nostra società rispetto ad un passato abbastanza recente. Se infatti negli anni '50 Liala, poniamo, si fosse messa a pontificare contro l'editoria di bassa lega sarebbe stata sommersa dal ridicolo. Se in quegli stessi anni il direttore di un grande giornale si fosse platealmente contraddetto non da un giorno all'altro, ma da un anno all'altro, senza preavvertirne il lettore, avrebbe perso ogni credibilità e sarebbe stato espunto dal consorzio di coloro che fanno opinione. Evidentemente nella società attuale non sono più valori né la coerenza morale, che vuole che alle parole tengano dietro fatti conseguenti, ma nemmeno quel minimo etico che è la coerenza intellettuale, che vuole che alle parole tengano dietro almeno parole conseguenti. Come mai? Ecco una bell'indagine per sociologi. Ma poiché questi sono impegnati a scriver d'erotismo e di innamoramento, proveremo noi, in mancanza di meglio, a buttar là qualche spunto. La prima considerazione è che oggi è possibile praticare la malafede intellettuale perché contro di essa non esiste più sanzione morale. Infatti è venuta a mancare, nella struttura sociale, un'elite, intellettuale, culturale e morale, quella che Giorgio Bocca in tempi di maggior lucidità ha chiamato la «società degli eccellenti», capace di far da filtro alle sguaiataggini più impudenti e con un peso sufficiente nella società, nei suoi mezzi di comunicazione, per imporsi. Inoltre oggi coloro che violano il codice della coerenza sono gli stessi, e gli unici, che avrebbero i mezzi per applicare la sanzione, detenendo il monopolio assoluto del sistema dei mass-media. Manca cioè una cultura d'opposizione che abbia possibilità di esprimersi al di fuori dei samizdat e dei fogli marginali (cosa che non era nei '50 dove esisteva ancora un'opposizione). Questa profonda malafede, che dai «maestri pensatori» discende giù per li rami ed impregna di sè tutto il tessuto della società italiana, rappresenta una degenerazione grave del nostro vivere civile di cui coloro che ricoprono ruoli intellettuali hanno la pesante responsabilità. Anzi, secondo noi, la vera e determinante «questione morale» italiana più che nella notoria corruzione della classe politica sta proprio qui nella corruzione degli intellettuali, nella loro abdicazione, per opportunismo, viltà e tornaconto, alla coerenza, nell'aver eletto la malafede a principio o, quantomeno, a modo di vita. Perché una società i cui politici sono corrotti può recuperare, ma una società in cui gli intellettuali ed i moralisti sono più corrotti di coloro cui pretendono di far la morale non può che precipitare nel caos.