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Al Presidente della Repubblica italiana, Oscar Luigi Scalfaro. Signore, è col dovuto rispetto che mi rivolgo a Lei per chiederLe se non sIa possibile che Ella prenda in considerazione l' ipotesi di concedere la grazia al cittadino italiano Renato Vallanzasca, nato a Milano il 4/5/1950, attualmente detenuto nel carcere di Secondigliano (Napoli). Il Vallanzasca è stato condannato a due ergastoli e ad altri 190 anni di reclusione per una serie di furti, di rapine, di sequestri di persona e anche di omicidi consumati durante conflitti a fuoco con le forze dell'ordine. Un curriculum impressionante. Il Vallanzasca però ha già scontato vent' anni di pena, quasi sempre in regime di carcere duro e di isolamento, durante i quali ha tenuto una condotta se non irreprensibile certamente rispettabile. Ha tentato, è vero, più volte l'evasione che in quattro occasioni gli è riuscita ma Lei sa, Signore, che il nostro codice tratta con indulgenza questo reato, sanzionandolo con una pena dì sei mesi, perché considera quello alla libertà un impulso insopprimibile, anche per chi sia giustamente detenuto. In compenso il Vallanzasca non solo ha sempre ammesso lealmente le sue colpe ma si è anche addossato, in più occasioni (rapine di Milano 2, di Pantigliate, di Seggiano, di viale Corsica), la responsabilità di delitti per i quali erano stati incriminati degli innocenti dando così un suo contributo, non irrilevante, alla giustizia anche se di segno e di senso diversi da quello dei cosiddetti “pentiti”. Il Vallanzasca infatti scagiona innocenti laddove i “pentiti”, spesso, li inguaiano, si assume la piena responsabilità dei crimini laddove i “pentiti” tendono a scaricarla su altri, agisce a titolo gratuito, e anzi a proprio danno, laddove gli altri lo fanno solo per ricavarne un premio. Quando ho detto, Signore, che in questi vent'anni il Vallanzasca ha tenuto una condotta rispettabile intendevo che non ha mai accusato la magistratura di “complotto” nei suoi confronti, non s'è messo, com'è diventata ora deplorevole abitudine, a cercar prove contro i suoi giudici, non ha mai lamentato torture psicologiche e fisiche per il solo fatto di essere in carcere. Né si è messo a fare il pianto isterico alla scoperta che una cella non è un salotto. Si è insomma comportato con molta dignità dimostrando di essere consapevole che aveva un conto da pagare alla giustizia e alla collettività. Solo nei giorni scorsi, dopo vent' anni, il Vallanzasca, poiché nessuna voce si è mai levata a difesa dei suoi diritti, ha scritto una lettera in cui denuncia il regime di isolamento disumano in cui è stato tenuto non per giorni o mesi ma per anni, le botte, le lesioni, le intimidazioni, di cui sono stati oggetto i medici che lo hanno avuto in cura, perché nulla trapelasse. E gli si può credere perché il Vallanzasca è sempre stato un delinquente sincero. Non ha mai fatto la vittima. E anche in questo caso, a un giornalista che gli domandava se fosse stato torturato, ha risposto: «Adesso non esageriamo» (risposta che ricorda un po' quella data, dal famoso balconcino, alla canea sociologicizzante dei giornalisti che, in clima post Sessantotto da giustificazionismo universale, gli chiedevano se non si ritenesse una vittima della società: «Non diciamo cazzate» ). Questo mentre oggi c'è gente che per tre giorni di custodia tutelare, non nell'inferno di Secondigliano ma nel confortevole carcere di Bergamo, ha scomodato Amnesty lntemational. Vallanzasca, Signore, è un uomo leale, un bandito onesto. Emanuela Trapani la trattò con garbo e quando le gazzette cominciarono ad insinuare che fra lui e la ragazza rapita c'era stata una love story replicò seccamente: «Sono tutte balle, inventate dai giornalisti». Laddove nella società delle cosiddette persone perbene a interrogativi del genere si è soliti rispondere con sorrisetti d'intesa e frasi del tipo: «Non fatemi parlare, sono un gentiluomo» . Le segnalo infine, Signore, che il Vallanzasca, pur essendo nella posizione migliore per farlo, si è sempre rifiutato di entrare nel mercato della droga. A questo proposito ha dichiarato: «Non giudico né chi si fa né chi spaccia. Non sono cose che mi riguardano. Ma con la droga non voglio avere niente a che fare». Va da sé, Signore, che non mi permetterei di dire queste cose e tantomeno di avanzare la richiesta che Le ho fatto se il nostro fosse un Paese “normale”. Ma l'Italia, da molti punti di vista e sicuramente da quello della giustizia, non è un Paese normale. Non è normale, per fare qualche esempio, che il dottor Bruno Tassan Din condannato a quattordici anni e mezzo di reclusione per il crack del Banco Ambrosiano, che mise sul lastrico migliaia di piccoli risparmiatori, sia a piede libero. L' unica sanzione che ha dovuto subire, a parte qualche giorno di custodia cautelare, è il ritiro del passaporto perché non volasse a Belfast a intascare i 70 miliardi che aveva sottratto al lavoro e al risparmio della povera gente. E a Carlo De Benedetti, condannato a sei anni e mezzo per lo stesso reato, non è stato nemmeno ritirato questo documento e infatti impazza sull' arena internazionale oltre a far gravi danni in Italia dove sta per buttare sulla strada duemila lavoratori. Non è normale che il signor Sergio Cusani, condannato ad otto anni e mezzo dal Tribunale di Milano, vada in giro cercando prove contro il suo giudice. Non è normale, Signore, che vengano continuamente caldeggiate, anche da membri del Parlamento quando non da ministri, amnistie e indulti per gli uomini politici che avevano organizzato una struttura di taglieggiamento sistematico, un “pizzo” colossale per decine di migliaia, e forse centinaia di migliaia, di miliardi e per imprenditori che usavano il loro denaro non per investire e per trarre il giusto profitto ma per corrompere tutti, politici, amministratori, guardie di Finanza. Non è normale che una “soluzione politica”, e Lei sa bene cosa con ciò si intende, sia stata immediatamente proposta per l'enorme scandalo dei “falsi invalidi”, per gente cioè che toglieva il lavoro agli invalidi veri. Mi chiedo, e Le chiedo, Signore, se in un Paese come questo solo Renato Vallanzasca debba pagare e se non abbia già pagato abbastanza. È forse egli un delinquente più spregevole di altri? Direi che è vero il contrario. Vallanzasca ha delle sue regole e un codice d'onore, sia pure malavitosi. è un bandito d' altri tempi, un bandito ottocentesco specchio di una società liberale dove le regole, l'onore, la dignità erano tenute in gran conto. La malavita d' oggi invece, si tratti di mafiosi, di camorristi, di terroristi, di raider della finanza, di “colletti bianchi”, di “ladri in guanti gialli”, non ha né regole né dignità né onore. E una malavita senza dignità e onore non può che essere il prodotto di una società senza dignità e senza onore. Tanto è vero che il confine fra ciò che è malavita e ciò che non lo è si è venuto facendo in questi anni sempre più indefinibile e molti di coloro che oggi son sotto processo hanno un piede in tribunale e l'altro nella direzione di imprese, di banche, di Enti pubblici. della politica E non c'è criminale più spregevole di quello che delinque sotto il manto della rispettabilità e proteggendosi con esso. Non c'è immoralità più grande di quella di chi pretende rispettabilità sapendo di non meritarla. Vallanzasca, al contrario, è stato sempre un delinquente a viso aperto. Oso dire che in questo immondezzaio fa la parte dell'uomo morale, sia pure a modo suo. È un bandito onesto in un mondo dove troppo spesso gli onesti sono dei banditi. Voglio sperare, Signor Presidente, che accoglierà questa mia lettera con l'attenzione che merita e che ne tragga motivi di utile riflessione. Con ossequi.