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Il problema centrale della Conferenza dell'Onu su «Popolazione e Sviluppo», che si è aperta lunedì al Cairo, è costituito dal devastante impatto che questi due fattori hanno sull'ambiente. È curioso però che le infinite discussioni che hanno accompagnato questa colossale assise (25mila partecipanti) battano tutte sul chiodo della Popolazione e su come limitarla: aborto, contraccettivi, pillola, educazione sessuale, istruzione femminile, pianificazione familiare. Sullo Sviluppo nemmeno una parola. Messa di fronte al dilemma se eliminare gli umani o gli oggetti, la cultura della modernità non ha dubbi: gli umani. Possiamo rinunciare ai figli, non ai videoregistratori. «Fiat productio pereat homo» per dirla col vecchio Werner Sombart. Una scelta, direi, in perfetto stile XX secolo. Cominciamo col chiarire che la popolazione (e anche la sovrappopolazione) ha, di per sè, un impatto minimo sull'ambiente. Quando un uomo, e anche una moltitudine, si limita a mangiare e a cacare come dio comanda, il peggio che può capitare è un po' di fetore. La popolazione diventa un problema per l'ambiente (e quindi per se stessa) quando è legata allo Sviluppo. Un abitante di New York produce otto chili di rifiuti al giorno, uno di Milano otto etti. Un indiano dell'India non produce praticamente rifiuti. Una volta, a Bombay, seguii per curiosità un camion della spazzatura: partì vuoto e arrivò vuoto. La povertà non ha mai creato inquinamento. Perché la popolazione del Terzo Mondo diventi un problema ambientale dovrebbe crescere in misura ben superiore al raddoppio che è previsto per il 2050. Lo ha ammesso lo stesso vicepresidente degli Stati Uniti Gore: «Un bambino nato in America avrà un effetto sull'ambiente trenta volte maggiore di un bambino nato in India». A questo punto, naturalmente, viene posta la consueta questione: se non incrementiamo ulteriormente lo Sviluppo non solo non riusciremo a sfamare i quattro miliardi di bocche in più, quasi tutte del Terzo Mondo, che ci troveremo oltre il Duemila, ma non riusciremo nemmeno a mantenere l'attuale popolazione dei Paesi in via di sviluppo salvandoli dalla situazione di fame e di indigenza in cui si trovano. Queste, ai miei tempi, si chiamavano «balle di Fra' Giulio»Lo Sviluppo, vale a dire il modello socio-economico-tecnologico nato con la rivoluzione industriale, non ha mai migliorato le condizioni di fame e di indigenza dei popoli del Terzo Mondo, ma le ha anzi aggravate quando non addirittura provocate. «L'analisi storica dello Sviluppo», è scritto in un documento della Fao, «dimostra che l'accumulazione del capitale privato o statale, il passaggio dall'economia contadina all'economia industriale, ha avuto in un primo tempo come conseguenza un aumento delle disuguaglianze sia all'interno di uno stesso Paese che fra Paese e Paese». Peccato che quel primo tempo non ne abbia mai avuto un secondo, almeno nei rapporti fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Oggi i Paesi del Terzo Mondo sono più poveri non solo in senso relativo, cioè rispetto a quelli industrializzati, ma in senso assoluto, sono cioè più poveri di quanto non fossero prima dell'affermazione, su scala mondiale, della rivoluzione industriale, alias dello Sviluppo. Basta pensare all'Africa che era autosufficiente, dal punto di vista alimentare, agli inizi del secolo e che ora è ridotta com'è ridotta. O al Venezuela, un Paese che aveva in passato una fiorente produzione agricola e costretto ora, a causa delle interdipendenze create nel sistema economico mondiale dallo Sviluppo, ad importare più della metà del proprio fabbisogno alimentare. Perché succede questo? Una tesi, di stampo marxista, sostiene che noi rapiniamo le risorse dei Paesi del Terzo Mondo per poi rivendergliele, a caro prezzo, sotto forma di schifezze. Credo che ci sia una parte di vero. Ma penso che ci sia qualcosa di ancor più profondo e irrimediabile. È lo Sviluppo in sè, cioè il modello occidentale, che quando viene in contatto, foss'anche con le migliori intenzioni, con popoli che hanno una storia diversa dalla nostra ne distrugge l'equilibrio, economico, sociale, culturale, emotivo, facendo di chi era semplicemente povero un miserabile. Ma poniamo invece, per ipotesi, che lo Sviluppo riesca a portare anche i popoli del Terzo Mondo ai nostri livelli di vita. Ebbene, se i cosiddetti Paesi in via di Sviluppo si sviluppassero davvero sarebbe la catastrofe. Perché se meno di un miliardo di cretini industrializzati sono riusciti quasi a sfasciare l'ecosistema, si può facilmente immaginare cosa accadrebbe qualora fossero sei volte tanto. Perciò quando l'Occidente indica nello Sviluppo (il suo tipo di Sviluppo) la soluzione dei problemi del Terzo Mondo o è in perfetta malafede, perché sa benissimo che quei popoli non si svilupperanno mai, oppure è folle e suicida. Su queste cose, credo, dovremmo ragionare e meditare, al Cairo e altrove, invece di cercare, con la consueta arroganza, di imporre ai popoli del Terzo Mondo, oltre a tutto il resto, anche di figliare di meno, quando si sa, da sempre, che i figli sono l'unica ricchezza, materiale ma anche affettiva, di chi non ha nulla.