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Ora che in Urss si è chiuso il processo di riabilitazione di Bucharin, il Partito socialista italiano vorrebbe aprirne uno contro Togliatti che, all'epoca dei processi di Mosca, era vicesegretario del Comintern e che di Bucharin fu, allora e dopo, un feroce accusatore. E di ciò il Psi chiede conto al Pci. È difficile non essere d'accordo con l'Unità quando definisce «miserevole» questa manovra. L 'Italia infatti non è, grazie a Dio, l'Unione Sovietica dove la storia si fa a colpi di processi, di riabilitazioni, di cancellazioni orwelliane dalle enciclopedie e di improvvise riapparizioni. Noi non abbiamo nessun bisogno che a Gorbaciov salti il ghiribizzo di riabilitare Bucharin per dare una valutazione storica dell'operato di Togliatti. Noi sappiamo da anni, grazie a studi storici aperti alla conoscenza di tutti, che Togliatti, come scrive lo storico comunista Paolo Spriano, «porta una corresponsabilità politica per tutto quello che è stato il periodo del terrore staliniano». E più grave del fatto di non avere difeso Bucharin, cosa impensabile in quel contesto, è che Togliatti non abbia mosso un dito nemmeno per salvare i tanti comunisti italiani accusati altrettanto arbitrariamente dalla macchina poliziesca staliniana, internati e, alla fine, fatti fuori, con o senza processo. Se Togliatti ce la fece ad uscir vivo dalla Mosca degli anni Trenta è perché si appecoronò totalmente davanti al satrapo georgiano. Ancora più pesanti, perché più dirette, sono le sue responsabilità nella soppressione dei trotzkisti e degli anarchici in Spagna. Ma, proprio perché queste cose in Italia si sanno da anni, è strumentale chiedere adesso agli eredi politici di Togliatti una sorta di «confessione» postuma delle sue responsabilità, già peraltro, in buona parte, ammesse. Lo si poteva fare venti, dieci, cinque anni fa. Che Bucharin fosse innocente lo si sapeva già, senza bisogno del «nihil obstat» del nuovo satrapo del Cremlino. Non è con le confessioni, con i processi e con le riabilitazioni che, in un paese democratico, si fa la storia e si ricostruiscono le figure dei suoi protagonisti tanto più se sono della complessità e della «doppiezza» di Togliatti. Perché se è vero che il senso estremo della realpolitik portò Togliatti ad avallare i peggiori crimini di Stalin, è altrettanto vero che questa sua qualità si rivelò preziosa nell'Italia del dopoguerra. Si deve al fatto che a capo del Partito comunista italiano ci fosse allora un uomo come Togliatti (e non, poniamo, come Secchia o Longo), al suo realismo, al suo sostanziale moderatismo, se l'Italia ha evitato una nuova guerra civile. Togliatti in Italia s'è sempre adoperato per la pacificazione nazionale (basterebbe ricordare l'approvazione dell'art. 7 del Concordato e il decreto di amnistia per i reati politici e militari commessi durante la guerra civile, emanato come ministro Guardasigilli) e può essere a buon diritto considerato insieme a De Gasperi come uno dei principali artefici della ripresa del nostro paese dopo la catastrofe della guerra. Togliatti quindi non ha bisogno né di processi né di riabilitazioni, fatti sull'onda del momento, va solo valutato storicamente nell'interezza della sua figura e della sua opera. Del resto ci sia consentita qualche perplessità sulle «riabilitazioni» a colpi d'accetta di Gorbaciov. Che cosa vuol dire riabilitare? Non vorremmo significasse riplasmare, ancora una volta, la storia sulle esigenze dell'oligarchia del Cremlino. Perché se Bucharin va riabilitato per ciò che non ha fatto (e cioé i crimini immaginari attribuitigli da Stalin), va subito dopo condannato per ciò che ha fatto. È stato proprio Bucharin il più valido e servile alleato di Stalin. È stato Bucharin nel '24, tradendo Trotzkij, a consentire a Stalin di prendere il pieno potere. È stato Bucharin nel '32 a salvarlo, passando di nuovo dalla sua parte contro Zinovev e Kamenev e rinnegando i suoi seguaci Smirnov, Riutin, Uglanov. C'è del vero nell'accusa di «doppiogiochista» che nei processi di Mosca fu lanciata contro di lui. Solo che, ironia feroce della storia, il doppiogioco lo fece sempre a favore del suo carnefice dei cui crimini porta, almeno fino a11936, una pesante corresponsabilità. Eppoi perché Bucharin sì e non, poniamo, Preobrazenskij che è stato l'unico dei capi bolscevichi a rifiutarsi di «confessare»? O Zinovev o Kamenev o Piatkov o Radek? Si opporrà che non si può fare tutto in una sola volta. Ma l'impressione è che Gorbaciov usi le «riabilitazioni» più per i suoi fini che per amore della verità, anche perché bada bene a tenersi alla larga dal nocciolo della questione. E il nocciolo è che il totalitarismo staliniano, con la sua scia di orrori, non è una “deviazione” del centralismo democratico, ma sta già tutto nel bolscevismo, nel leninismo, nella concezione del partito unico. Ma questo Gorbaciov non lo può ammettere perché significherebbe togliersi, da sotto, il trono su cui è seduto a da dove manda, giudica e «riabilita» a comodo suo.