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La Giornata mondiale dell' Aids, svoltasi il primo dicembre, ha detto e confermato una cosa sola: che siamo nella merda. Le peggiori previsioni sono state rispettate: la malattia è andata al raddoppio. Ricordo che quando nel dicembre del 1986 scrissi su questo giornale il mio primo pezzo sull' Aids i malati, nel mondo, erano 33.217, oggi sono 129.385. La stessa progressione si è avuta per i sieropositivi. Inoltre, come era facilmente prevedibile, e come scrissi già nel lontano 1984 su Il Giorno, l' Aids, a dispetto degli ottimismi consolatori e razzisti, non si è dimostrata affatto una malattia per «soggetti a rischio» ma si è estesa, e sempre più si estenderà, agli eterosessuali. Due anni fa si diceva che il vaccino sarebbe stato trovato nel giro di 5/10 anni, oggi si dice che il vaccino sarà trovato entro 5/10 anni. Una cura efficace ancora non esiste. Si muore di Aids nella stessa percentuale di due anni fa: il 100 per cento. Cosi la Giornata mondiale dell'Aids si è risolta in iniziative patetiche e, in molti casi, grottesche che segnalano una desolante impotenza. Nel Perù è stato stampato un francobollo, in Burkina-Faso sono state organizzate gare ciclistiche, in Botswana partite di calcio, in Ghana hanno suonato le campane, nel resto dell' Africa si sono fatti concorsi scolastici, mostre, gare canore, in Cina la televisione ha trasmesso quiz impostati sull' Aids, nelle moschee della Giordania si è pregato, in Guinea Bissau ha parlato il presidente della Repubblica mentre nelle isole Mauritius sono stati lanciati ottocento palloncini con la scritta «World Aids Day». E non è che nei paesi industrializzati si sia combinato qualcosa di più. Anche in Inghilterra ci si è battuti contro l'Aids lanciando palloncini, negli Stati Uniti trasmettendo canzoni e, un po' dovunque, ci si è affrettati a cogliere l'occasione per vendere adesivi per automobili, stemmi, distintivi, camicie e borse. A Roma un gruppo di illustri personaggi, da Montesano alla Oxa a Morandi a De Gregori a Costanzo, ha partecipato a una manifestazione contro l' Aids mentre in tutta Italia le emittenti radiofoniche invitavano i giovani a «scendere in piazza» come se l' Aids fosse una sorta di «padrone delle ferriere» che si può battere con la protesta e, magari, lo sciopero. L 'unico paese che ha fatto coincidere questa Giornata mondiale dell' Aids con una misura concreta è stato, stranamente, lo Yemen che ha inaugurato ad Aden il suo primo laboratorio di ricerca sulla malattia. In realtà la Giornata mondiale dell' Aids ha rivelato un mondo impaurito, senza bussola, che si affida ai consueti esorcismi e feticci. Il massimo feticcio è l'informazione. In questi giorni ci siamo sentiti ripetere fino alla noia che «l'informazione è decisiva nella lotta contro l' Aids». In un'epoca di mass-media si attribuiscono all'informazione virtù taumaturgiche che non ha, si pensa che possa tutto. Ma quando si esce dalle elucubrazioni linguistiche e strutturalistiche e ci si scontra con la dura realtà ci si accorge che, checchè ne pensi Umberto Eco, dire non è fare. Conoscere non è risolvere. Quando io ben so che ho un cancro che mi porterà a morte che vantaggio ne ho? Dice: ma informazione significa anche prevenzione. Ma di quale prevenzione si tratta? Di quella che, credendo di rassicurarci, ci prescrive il decalogo dell'Organizzazione mondiale della sanità dove si afferma che per salvarsi dall' Aids «basta rimanere fedeli al partner sano o restare casti»? Ma guarda. Chi l'avrebbe mai pensato? È quasi come chiederci di non respirare. È chiaro che se tutti fossero casti l' Aids verrebbe debellato. Ma il problema è proprio questo. Quand'anche si riuscisse a ottenere una cosi profonda trasformazione del costume rimarrebbero pur sempre coppie che si separano, gente che resta vedova, single e, soprattutto, la grande massa di giovani che si affacciano alla vita sessuale. Che cosa devono fare? Impedirsi di cercare un partner? Rimanere casti per tutta la vita? In questo modo si estinguerebbe sicuramente l'Aids, ma probabilmente anche la specie umana. In realtà l'unica indicazione un minimo concreta e possibile che è uscita in questi anni dal gran caos dell'informazione sull' Aids è l'uso del vecchio preservativo. Ma anche qui è bene non farsi eccessive illusioni. Wladimiro Greco in un bell'articolo su Il Giorno ricordava che all'epoca della sifilide imperante, il positivista Mantegazza definì il preservativo «una barriera contro il piacere, un velo contro il contagio». Anche col preservativo bisogna rinunciare a tutti i giochi amorosi, bisogna evitare tutti i contatti fra gli umori del corpo dei partner, bisogna fare un sesso cosi asettico che è quasi peggio del rischio dell' Aids. In una situazione così drammatica, penosa, quasi senza uscita, a noi italiani tocca anche il tragicomico contrappasso di avere, come massimo baluardo contro l'Aids, Carlo Donat Cattin. Uno che è solamente capace, in maniera del tutto episodica e umorale, di denunciare lo sfascio della sanità, come se egli non ne fosse il ministro da oltre due anni, senza peraltro approntare alcuna misura concreta. Quello che non ha fatto Donat Cattin proprio nell'emergenza Aids è sinistramente eloquente. Basti dire che a fronte dei 24 mila posti letto che saranno necessari per i previsti malati di Aids nel 1990 ce ne sono ora solo 6.137 per l'intero settore delle malattie infettive. Donat Cattin deve essere dimissionato. Non possiamo permetterci, foss'anche solo per una questione morale, di affrontare una tragedia come quella dell' Aids con un personaggio da commedia.