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Ha suscitato scalpore la vicenda della ragazza che ha prestato il proprio utero alla madre per permetterle di avere un figlio. Per la verità il caso non è nuovo, ma ha un precedente, in Sudafrica, anche se in quell'occasione i ruoli erano invertiti ed era stata la madre a dare l'utero alla figlia. A prima vista questo scalpore può apparire incomprensibile poiché sono ormai migliaia, nel mondo, i bambini nati con le tecniche della fecondazione artificiale. Inoltre, in genere, la cessione dell'utero avviene per denaro mentre nei casi citati è stata fatta, presumibilmente, per amore e, quindi, per un motivo più nobile. E, allora, che cos'è che disturba? Il fatto, credo, che in casi come questi viene definitivamente scardinata l'immagine della famiglia cosi come eravamo abituati a concepirla: un uomo, una donna e, se il buondio voleva, dei figli. Qui c'è una madre, quella uterina, che è anche sorella di suo figlio e un'altra, quella genetica, che ne è anche nonna. Inoltre c'è una madre che, in un certo senso, ha un figlio da sua figlia e una figlia che lo ha dalla madre. C'è però chi giudica questo guazzabuglio come un passo avanti. Per esempio Giancarlo Zizola scrive sul Giorno: «Ci attende probabilmente una concezione più spirituale e meno biologica dei rapporti parentali: la priorità viene ora assegnata alla figliazione del cuore... piuttosto che a quella del sangue. In questa salita il genitore è soprattutto colui che manifesta una volontà disinteressata e operante di occuparsi del bambino, di assumerlo, e non più il genitore biologico: la verità del cuore prevale su quella del sangue». Sarà, però bisognerebbe chiedere, forse, anche il parere di un soggetto che pur ha qualche diritto: il bambino. Oggi un bambino può avere tre madri (uterina, genetica e sociale) e due padri (biologico e legale}. Nel caso in questione poi il fatto nuovo è che il bambino avrà due madri «contemporaneamente». Mentre infatti quando una donna presta il suo utero a un'altra per denaro essa perlomeno scompare dalla vita del neonato, qui invece, come osserva il filosofo del diritto Sergio Cotta, «le due madri rimangono comunque in scena, perché esiste già una parentela fra di loro e con il bambino; questi dovrà convivere con l'una e con l'altra e farà parte di un singolare triangolo: tra una mamma-nonna e una mamma-sorella». È giusto mettere in una tale situazione un bambino solo perché si vuole averlo? Nè io, diversamente da Zizola, sono convinto che questa voglia nasca sempre da un effettivo desiderio di maternità. Mi sembra anzi che molto spesso tali situazioni tradiscano un'altra degenerazione della civiltà dei consumi: un figlio come oggetto più che come soggetto, qualcosa che si deve avere a tutti i costi perché anche gli altri ce l'hanno, uno status symbol o, comunque, uno strumento e non un fine. Il caso in questione è certamente di questo tipo. Qui non c'era un desiderio inappagato di maternità -la donna ha già due figli- ma, come lei stessa ha detto, la paura di perdere il marito. Sentimento umano, umanissimo, anche questo, resta da vedere se per appagarlo sia giusto mettere al mondo un bambino con due mezze mamme. Ma, d'altra parte, è difficilissimo trovare oggi una regola morale che ponga un limite a questa come ad altre manipolazioni della medicina tecnologica. Ernesto Galli della Loggia, in un recente dibattito alla televisione svizzera con Luigi Firpo, Dino Cofrancesco e il sottoscritto (sia detto di passata: è sintomatico che per discutere in tv di cose serie, in modo serio e non spettacolarizzato si debba ormai emigrare in Svizzera), si diceva convinto che è necessario ritrovare un ethos pubblico che sia in grado di discernere fra i problemi straordinariamente complessi cui ci pone davanti la tecnica. Ma dove andare a ricavare questo ethos? Non certo dall'attuale pensiero laico che si è completamente appiattito sull'industrialismo e sulla tecnologia e ha come unico punto di riferimento la razionalizzazione dell'esistente. Una volta che la tecnica, che della razionalizzazione è il trionfo, ha aperto certe strade qual è il punto che «razionalmente» non si può oltrepassare? Se si sono accettati la fecondazione in vitro e poi il prestito dell'utero di una donna a un'altra, in nome di che cosa vietare questo passaggio fra madre e figlia? Se abbiamo accettato i trapianti di pelle, di rene, di cuore, di tessuti cerebrali, in nome di che cosa proibiremo, quando sarà possibile, il trapianto di un intero cervello? «Se un uomo può fare una cosa, la fa», mi ha detto, una volta, Edoardo Amaldi.L'errore, se di errore si tratta, è stato aprire questa porta e consentire alla tecnologia di sfondare il regno della natura. Adesso è difficile dire alla gente (e chi è poi in diritto di farlo?): ora basta, fin qui sì, più in là no. La tecnologia, abituandoci a dominare la natura in ogni sua forma, ci ha tolto ogni capacità di rassegnazione e di accettazione. In realtà è la nostra stessa condizione di uomini, in quanto esseri limitati, che non siamo più in grado di accettare. Abbiamo trasformato ciò che una volta erano scelte della natura in diritti irrinunciabili. Tutto, si tratti di un rene che ci manca o di un figlio che non viene, ci è dovuto e non importa se per averlo lastrichiamo sempre più la nostra strada di orrori, peraltro razionalissimi. Goya rivisitato: non il sonno, ma il sogno della Ragione ha generato mostri.