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Nei giorni scorsi è morta in Iraq la prima kamikaze occidentale. È una cittadina belga di 36 anni che si è fatta saltare a un posto di blocco insi eme al marito, un marocchino con passaporto belga . È risultato che i due facevano parte di un gruppo terroristico ramificato in varie città fiamminghe, di cui la polizia belga ha arrestato 14 membri: sette sono tunisi ni, gli altri sono belgi a tutti gli effetti (cioè autoctoni, bianchi insomma) e di questi almeno tre non sono convertiti all'Islam, sono solo occidentali che si sono schierati a fianco degli insorti iracheni perché ritengono che un popolo abbia il diritto inalienabile di difendersi da un'occupazione straniera.Questo episodio, all'apparenza marginale, suona come una si nistra campana d'allarme per l'Occidente e sembra confermare una mia tesi secondo la quale potremmo andare incontro, in prospettiva, ad una guerra civile fra occidentali e proprio a causa di alcuni clamorosi errori compiuti negli scorsi anni dall'Occidente nella sua smania di cambiare il diritto internazionale per poterlo utilizzare a proprio comodo.Nel 1999, quando non era in atto alcuna guerra al terrorismo e l'11 settembre era di là da venire, alcuni Paesi della Nato attaccarono la Jugoslavia che era alle prese con un grave problema interno, l'indipendentismo albanese. Lo fecero contro la volontà dell'Onu e violando il principio di diritto internazionale, fino ad allora mai messo in discussi one, della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano. Alla base di questo attacco alla Jugoslavia, come poi di quello all'Iraq, c'era una nuova concezione del diritto internazionale, una concezione globalizzante, secondo la quale esi stono valori etici "universali" superiori a quello dell'intangibilità della sovranità nazionale. E poiché in Kosovo era in atto un "genocidio" (in realtà, in un anno e mezzo di guerriglia c'erano state 205 vittime civili kosovare, ma non è questo il punto), si aveva il diritto, anzi il dovere, di intervenire con la forza.Gli occidentali non si sono resi conto che in questo modo non abbattevano solo il principio dell'intangibilità della sovranità nazionale, ma anche quello dell'appartenenza nazionale. Se infatti esi stono valori sovranazionali "universali" più forti della sovranità nazionale, io non ho più l'obbligo morale di schierarmi sempre e comunque col mio Paese, com'era fino a ieri ("Right or wrong, my country") se ritengo che stia violando valori etici "universali". Ma mentre l'appartenenza nazionale è univoca (io sono italiano o non lo sono, sono belga o non lo sono), i valori ritenuti "universali" sono opinabili. Anche all'interno di uno stesso Paese e di una stessa cultura ciò che è "universale" per l'uno può non esserlo per l'altro o comunque possono esserci gerarchie diverse per cui per alcuni certi valori sono più "universali" di altri. Così, per rifarci alla si tuazione irachena, ci sono occidentali che ritengono la difesa dei "diritti umani" violati da un dittatore un valore "universale" talmente indiscutibile da legittimare l'occupazione di un Paese, mentre per altri occidentali è più indiscutibile il diritto naturale e "universale" di opporsi a un'occupazione straniera, comunque motivata. Il conflitto non è più fra Stati, ma fra universalismi contrapposti, che passa trasversalmente all'interno dei vari Paesi . Per cui, per esempio in Italia, c'è chi - è inutile nasconderlo - sta con gli insorti iracheni contro i nostri soldati. Per ora in Occidente questo conflitto ideologico fra "universalismi" contrapposti è solo politico, e rimane sotto controllo, ma se la globalizzazione dei diritti si espande ulteriormente insi eme all'incrudirsi della si tuazione, potrebbe diventare anche violento. Uno scontro fra occidentali, come la kamikaze belga e i tre belgi-belgi suoi compagni sembrano preannunciare. Insomma gli occidentali, abbattendo il principio dell'intangibilità della sovranità nazionale e, con esso, anche quello dell'appartenenza nazionale con conseguente obbligo morale di schierarsi col proprio Paese, hanno posto le premesse per il possi bile scatenamento, al loro interno, di una guerra civile trasversale e planetaria.