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Venerdì sera al Costanzo show il professar Stefano Zecchi, docente di Estetica alla Statale di Milano, persona sensibile e fine, è stato colto da una crisi isterica e, contagiato dal clima anti-leghista che si respira da sempre in quella trasmissione, ha urlato: «Io sono veneziano, di famiglia mitteleuropea, altoborghese, ma dichiaro qui di sentirmi, e di essere, un meridionale». Il pubblico del Parioli lo ha gratificato con un applauso scrosciante. Siamo dunque a tanto? Siamo cioè a un punto di tale persecuzione verso la gente del Sud che qualcuno abbia da sentirsi in dovere di dichiararsi meridionale, pur senza esserlo, così come uno, in un momento di rigurgito antisemita, si dichiarerebbe ebreo per segnalare l'infamia del razzismo? lo non lo credo affatto, ma temo che, dai e ridai, a furia di evocar fantasmi, si arriverà davvero a scatenare l'odio fra italiani se i media del regime continueranno a dare un'immagine completamente distorta della Lega e dei suoi elettori. Contro la malafede, lo abbiamo già scritto, non c'è difesa né argomento. A tutti coloro che invece sono solo frastornati dalla incessante propaganda sentiamo il dovere di cercare di chiarire, ancora una volta, non tanto quelli che sono gli intendimenti della Lega; cosa che riguarda Bassi & company, ma quali sono i sentimenti della stragrande maggioranza di coloro che hanno votato per il Carroccio.  1) Quando gridiamo «Roma ladrona» non ci riferiamo evidentemente ai cittadini romani, ma a Roma come capitale, materiale e simbolica, di questo sistema dove hanno sede le segreterie nazionali di quei partiti corrotti, clientelari e incapaci contro i quali è diretta la nostra protesta. Se la capitale fosse stata a Milano o a Venezia, con gli stessi risultati, noi grideremmo «Milano ladrona» o «Venezia ladrona». 2) Noi non abbiamo nessuna intenzione di venir meno, finché questo paese resta unito, ai nostri doveri di solidarietà  verso le zone più depresse. Chiediamo però che i nostri aiuti arrivino effettivamente ai destinatari e non vengano invece intercettati dai partiti che li usano per comprarsi un consenso che non hanno e per mantenere tali le zone depresse in modo da poter esercitare all'infinito la loro forza di ricatto. Il senso del federalismo e anche questo: avere un quadro più chiaro di come vengono ridistribuite le risorse del paese e poter fare degli interventi che non si riducano a puro assistenzialismo o, peggio, a clientelismo. 3) Anche la secessione -se mai ci si arriverà, cosa che nessuno si augura- è la separazione fra due aree geografiche del paese, diverse per clima, tradizioni, cultura, ritmi, non la grottesca discriminazione tra settentrionali e meridionali che vivono e lavorano insieme al Nord o al Sud. Nessuno di noi si sente in diritto di chiedere la carta d'identità a chicchessia. Nessuno di noi è così rozzo e razzista da considerare quella meridionale una cultura inferiore. Nessuno di noi è così ignorante da non sapere, per esempio, che la lingua italiana, prima che nella Firenze di padre Dante, è nata in Sicilia alla corte di Federico di Svevia. Se una secessione ci dovesse essere non sarà certo sulla base di un'impossibile, oltre che grottesca, discriminazione del sangue, ma nascerebbe dalla constatazione che l'unità d'Italia ha danneggiato tanto il Nord che il Sud (e, per la verità, molto più il Sud del Nord) e che, se non intervengono cambiamenti radicali, è meglio che queste due realtà si separino in modo che ognuna possa svilupparsi secondo le proprie tradizioni, i propri ritmi e le proprie intime tendenze invece di stravolgersi a vicenda. Richiamarsi all' “unità sacra e inviolabile della Nazione”, come ha fatto Scalfaro, è del tutto inutile e retorico. Perché come qualunque altra istituzione anche l'unità di un Paese regge fino a quando essa è utile a coloro che la costituiscono e finché la vogliono. In ogni modo non ci sarà nessuna secessione se la gente del sud troverà la forza di opporsi al sistema politico, clientelare e mafioso, che la tiene da decenni in stato di minorità e che ha tutto l'interesse a continuare a mantenerla in tale stato. Non si chiede alla gente del Sud di votare Lega, se non se ne fida, ma di dare fiato e consistenza a una protesta contro il regime dei partiti come è stato fatto al Nord. E, per la verità, nonostante la difficilissima situazione ambientale qualcosa, e forse più di qualcosa, al Sud si sta muovendo. Il successo della Rete del siciliano Orlando e del milanese Nando Dalla Chiesa va nel senso della rivolta. Così come la poderosa astensione dal voto segnala una protesta contro la partitocrazia che non ha ancora trovato modo di incanalarsi ma che potrebbe trovarlo in un vicino futuro. E qui il discorso torna a Roma. Questa volta però non come Roma capitale, materiale è simbolica, della partitocrazia, ma proprio alla Roma dei cittadini romani. Roma infatti è l'unica realtà d'Italia che non abbia espresso finora alcuna forma di opposizione all'attuale sistema. L'unica che continua a votare imperterrita per la Dc, per il Psi, per il Pds e compagnia cantante. Ora, Costanzo e i romani del Parioli hanno tutto il diritto di disprezzare la Lega, ma hanno anche il dovere di proporre un'alternativa. Oppure dovremo dedurne che questo sistema calza loro a pennello e che la mangiatoia dei partiti è anche la loro mangiatoia.