Non dovevamo fare i Mondiali in Italia. Non dovevamo chiederli. E non avremmo dovuto accettarli se qualcuno avesse voluto appiopparceli. Anche a prescindere da quello che è avvenuto dopo, sarebbe infatti bastato un pizzico di sale in zucca per capire che con città come le nostre intasate e sovraffollate (Roma, Milano, Genova, Firenze, Palermo...), con i nostri centri storici, con i nostri problemi di traffico, era una follia trasformare, per anni, l'Italia in un cantiere permanente e sovraccaricarla alla fine con un'overdose di due milioni di turisti in più, quanti se ne aspettano per il «grande evento». Noi non abbiamo bisogno di un turismo massiccio -che è anzi una delle nostre maggiori rovine- ma, caso mai, di un turismo più selezionato che non sarà certo quello che ci piomberà in casa a giugno. Né è convincente il discorso, ripetuto fino alla nausea da tutti, da Carraro a Montezemolo, dai politici agli sportivi, che i Mondiali sarebbero serviti all'Italia per qualificare la propria immagine all'estero. Un paese moderno e democratico non si qualifica per come organizza un Mondiale o un'Olimpiade, queste son cose da lasciare alle dittature o ai paesi del Terzo Mondo, alle Filippine, al Messico. Insomma anche nel 1984, quando -imperante Craxi- baldanzosamente chiedemmo ed ottenemmo i Mondiali di calcio, chiunque avrebbe capito che, anche se tutto fosse filato liscio, i costi sarebbero stati più dei benefici. Però bisogna ammettere che quello che è successo dopo supera ogni più fantasiosa e pessimistica immaginazione. I costi degli stadi son raddoppiati, da 678 a 1.063 miliardi. Per scendere in qualche dettaglio: da 75 a 140 a Napoli, da 90 a 170 a Milano, da 80 a 150 a Roma, cifre sempre provvisorie perché lievitano ogni giorno con un andamento da inflazione brasiliana. Alcuni stadi sono stati ampliati del tutto a fondo perduto, poiché gli spettatori continuano a diminuire e si sa che, con la svendita del calcio alla Tv e per altri motivi diminuiranno ancor più in futuro. Altri sono stati semplicemente rovinati. È il caso di San Siro che, con Wembley e il Prater, aveva il più bel terreno di gioco d'Europa e una struttura bella, originale e funzionale (non per nulla era rinomato come «la Scala del calcio») e che oggi fa pena. Il terzo anello infatti l'ha deturpato architettonicamente e, impedendo alla luce di filtrare, ha rotto il delicato equilibrio geofisico del terreno riducendolo ad un campo di patate (ma è mai possibile che i prestigiosi architetti chiamati a quest'opera dalla Fininvest, Giancarlo Ragazzi ed Enrico Hoffner, non sapessero quello che sa il gestore del più modesto campetto di periferia, che una equilibrata esposizione alla luce è decisiva per la salute del terreno?). È il caso dell'Olimpico, uno splendido stadio immerso nel verde di Monte Mario e ora sconciato nel cemento. Più che raddoppiati sono anche i costi per le cosiddette infrastrutture, da 4.000 a quasi 10.000 miliardi. Si sono costruite opere che non servono a niente, come la «Linea tranviaria rapida» a Napoli. Altre, utili, o addirittura necessarie, sono state fatte male, in tutta fretta, per adeguarsi ai tempi del Mondiale. Ma è concepibile che un paese civile abbia bisogno dei campionati di calcio per mettere mano alle opere di cui ha bisogno e che col calcio non c'entrano nulla? Poi c è stato il prevedibile assalto alla diligenza. L'orgia degli appalti, dei subappalti, degli appaltini, delle tangenti, delle infiltrazioni della camorra e della mafia. La speculazione edilizia ha toccato santuari come Capri. La magistratura ha aperto in- chieste a Roma e a Napoli e non c'è bisogno di essere l'oracolo di Delfi per pronosticare che altre ne aprirà quando i Mondiali saranno finiti e non saremo più sotto la luce dei riflettori di tutto il mondo. I Mondiali hanno provocato, e anche questo era ampiamente prevedibile, innumerevoli crisi nelle giunte delle città designate complicandone la già caotica vita amministrativa. Infine ci sono stati i ventuno morti dei cantieri «mondiali». Ha ragione Luca Montezemolo a far notare che nell'edilizia, in Italia, muoiono dieci persone al giorno, ma non par dubbio che alcune dl quelle morti siano dovute alla fretta, all'ansia, alla necessità di far presto a completare il lavoro. Con tutto ciò stiamo arrivando all'appuntamento con l'acqua alla gola. Gli stadi dovevano essere pronti per il 31 ottobre 1989. Poi, mettendosi in ginocchio davanti alla Fifa, si è ripiegato sul 30 aprile del '90. Adesso ci sono almeno quattro città, Milano, Firenze, Napoli, Genova, che non si sa se saranno pronte il giorno dell'inaugurazione. Se il Mondiale doveva servire a dare un'immagine dell'Italia all'estero, beh, l'abbiamo data. E corrisponde perfettamente, com'è giusto, a ciò che siamo: parolai ottimisti, improvvisatori che confidano nell'eterno stellone, fanfaroni, millantatori, trafficoni litigiosi e ladri, sommamente ladri. Ma come se questa esperienza non fosse bastata -o forse proprio per ciò- il novissimo ministro per il Turismo e lo Spettacolo, Carlo Tognoli, ha seraficamente proposto che la prima Olimpiade raggiungibile sia assegnata all'Italia, a Milano. Ma andate a dar via i ciapp!