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La settimana scorsa una frangia, probabilmente dissidente, del Flnc, il Fronte di liberazione corso, si è resa responsabile di una serie di attentati che ha siglato con una i grande «R» color ocra (dove «R» non sta per rivoluzione, ma per «rebellion»), ribellione). A Calalonga, pochi chilometri da Bonifacio, un commando ha dato l'assalto al villaggio turistico che un imprenditore romano, Luigi Lancia, sta ultimando in una splendida conca che fronteggia l'isola di Cavallo (quella dei super-vip, nota anche per le criminose imprese di Vittorio Emanuele). I componenti del commando, dopo aver immobilizzato i turisti e gli operai che si trovavano sul luogo, tutti italiani, hanno fatto saltare alcuni bungalow e hanno tentato di incendiare l'albergo. Il giorno dopo gli indipendentisti si sono ripetuti a Balistro prendendo di mira la villa dei Lefevre, importanti banchieri francesi. Poi è stata la volta della villa di Jean-Marie Vernes, «un audace finanziere parigino», come lo definisce il Corriere della Sera, presidente della Beghin Say (Gruppo Ferruzzi), azionista, fra l'altro, della Cinq di Berlusconi. Sul muro di cinta della villa i sabotatori hanno lasciato scritto in lingua corsa: «Fuori la finanza internazionale». Al tritolo gli attentatori hanno preferito una miscela esplosiva di fertilizzanti a simboleggiare, come del resto il color terra della loro «R», il carattere agricolo, contadino della ribellione. Il motivo indipendentista si intreccia infatti con quello ecologista e, in questo senso, gli attentati corsi non sono diversi di quello che, il 10 settembre, ha fatto saltare alcuni tralicci dell'elettrodotto dell'Enel che collega il Piemonte alla centrale nucleare francese Superphenix e che è stato attribuito ai «Figli della Terra». Si tratta di atti di sabotaggio sicuramente riprovevoli, ma io esiterei a definirli sbrigativamente terroristici, li chiamerei piuttosto luddisti. Perche il terrorismo colpisce le persone, il luddismo solo le cose. Nel caso di Calalonga i sabotatori si sono preoccupati, nel modo più scrupoloso, che nulla accadesse ai loro temporanei prigionieri. Nella sua bella cronaca sul Giorno, Wladimiro Greco riporta la testimonianza di una donna, Paola Potenza: «Ci hanno quasi implorato di non uscire dalla casa dove eravamo rinchiusi prima che arrivassero i pompieri. Continuavano a spiegarci che qualche bomba poteva esplodere in ritardo e coinvolgerci nello scoppio». Gli attentatori sono stati definiti «cortesi» e addirittura «premurosi». Quando, all'arrivo del commando, il marito di Paola Potenza si è coraggiosamente scagliato con un attizzatoio contro gli invasori, uno di questi lo ha bloccato: «Fermo, è politica. Non vi faremo niente». E un altro, andandogli incontro con un bicchiere d'acqua, gli ha detto: «Bevi e stai tranquillo, non siamo assassini». Ma poiché la signora Potenza, alla vista delle pistole, rimaneva comprensibilmente agitata, gli eco-indipendentisti le hanno rinfoderate. Non mi pare quindi che sabotatori di questo tipo possano essere definiti “particolarmente odiosi”, come ha fatto qualche esponente dell'intellighenzia di sinistra. Certamente molto meno odiosi di quei terroristi ideologici che per anni hanno insanguinato le strade d'Italia, prendendosela per lo più con povera gente, che non aveva, oltretutto, almeno fino al delitto Moro, alcuna valenza simbolica, spesso sequestrando, torturando e umiliando ferocemente le loro vittime e contro i quali l'intellighenzia di sinistra non ha mai speso, in tempo utile, una parola. A me pare piuttosto che questi sabotaggi siano il segnale d'una profonda e rabbiosa impotenza. Nel caso dell'elettrodotto dell'Enel l'impotenza di chi vede il sistema industriale proseguire imperterrito la propria strada senza minimamente tener conto dei suoi drammatici costi umani. Nel caso  dei corsi, di chi vede distruggere il proprio habitat a tutto vantaggio di altri. La Corsica è infatti ancora uno dei luoghi più belli e vivibili del Mediterraneo. E lo è grazie ai corsi che hanno sempre difeso con orgoglio e cocciutaggine la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria terra, le proprie coste. Ma adesso si sentono sempre più accerchiati e soverchiati dal capitale internazionale, soprattutto francese e italiano, parte del quale, a loro dire, è d'origine mafiosa e contro cui nulla possono legalmente. Di qui le bombe. Proprio la vicenda corsa è significativa nella validità di quel vasto movimento localista e autonomista che ormai percorre per ogni dove il mondo industrializzato e di cui le tanto vituperate Leghe sono l'espressione italiana. È  chiaro infatti che in uno Stato nazionale, basato economicamente sulla libera impresa e sul libero mercato, un'etnia, un popolo, una terra, una regione non ha alcuna possibilità legale di difendersi dall'invasione di capitali estranei anche quando perseguono linee di sviluppo che contrastano con i reali e più profondi interessi di coloro che vivono in loco. Ai primi vanno i profitti, ai secondi, dopo qualche euforia iniziale, rimane la rovina di un luogo che un tempo fu bello. abitabile, godibile, vivibile. Per tornare in Italia la Liguria è il classico esempio di una regione le cui coste sono state letteralmente assassinate per il piacere e gli interessi, soprattutto dei torinesi e dei milanesi. Una regione autonoma o federata o addirittura indipendente potrebbe invece proteggersi meglio. E, in ogni caso, se facesse scelte sbagliate non avrebbe che da incolpare se stessa. «Autonomia significa sviluppo secondo le nostre tradizioni e i nostri interessi», hanno detto i sabotatori di Calalonga. Non mi pare un'affermazione delirante e sarebbe forse bene che gli Stati nazionali, in Francia come in Italia come altrove, ascoltassero con meno sprezzo le ragioni di questi «terroristi gentili» prima che diventino, per esasperazione, dei terroristi veri.