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Commentando la sentenza del giudice di Forlì, Luisa Del Bianco, che ha condannato Marco Pantani a tre mesi di reclusione con la condizionale per frode sportiva, perché trovato con un ematocrito spaventosamente alto: oltre il 60, il Giorno di ieri, in un editoriale non firmato, e quindi di particolarmente autorevole, scrive: «Non ci piace la giustizia che fa spettacolo... non ci piace l'uso strumentale della notorietà altrui». In Francia Richard Virenque, che è l'idolo di casa, il Pantani locale, è stato processato per un'accusa analoga a quella del ciclista romagnolo, attraverso un dibattimento che ha avuto un'eco ben maggiore del processo Pantani, e nessuno si è sognato di dire che si stava facendo «giustizia spettacolo» e che i giudici si stavano arrampicando sulla popolarità del corridore (Virenque poi, trovando la forza di essere un uomo e non solo un atleta di successo, confessò piangendo in aula ciò che per due anni aveva negato e ciò gli valse come attenuante). In Francia Tapie, un imprenditore di primaria importanza, tra l'altro presidente, all'epoca, dell'Olimpique Marsiglia, è stato accusato, processato, arrestato e duramente condannato senza che nessuno, oltr'alpe, si sognasse di dire che i magistrati avevano agito per altri fini che non fossero quelli di giustizia. In Germania è stato messo sotto inchiesta nientemeno che il padre dell'unificazione tedesca e uno dei principali artefici di quella europea Helmut Kohl, è nessuno, né politico né giornalista, s'è permesso di dire che i giudici facevano qualcosa di diverso dal loro dovere. Dove vogliamo arrivare, in Italia, con questa canzone, ormai cantata ogni volta che la giustizia sfiora un uomo politico, un imprenditore, un cardinale, un ciclista famoso, dei giudici che «vogliono finire in prima pagina»? Perché non si dice apertamente che imprenditori, politici, corridori famosi, pop star e, insomma, i Vip devono usufruire di un salvacondotto speciale che li esime dal subire inchieste e processi e dal rispetto della legge dato che è inevitabile che le notizie che li riguardano, nel bene e nel male, abbiano una risonanza maggiore di quello che riguardano un cittadino che non è una «very important person»? E' questa «la legge uguale per tutti» che si vuole? Ed è semplicemente grottesco e vergognoso rovesciare speciosamente l'argomento sostenendo che appunto la «legge non è uguale per tutti» perché ha colpito solo Pantani e non tutti i ciclisti che si dopano, così come nell'inchiesta di Mani Pulite ha colpito solo alcuni tangentisti e non tutti coloro che esercitavano il «pizzo» politico. Anche un bambino dovrebbe sapere che, in qualunque Paese del mondo, anche il più civile e meglio organizzato, la Magistratura, di qualsiasi reato si occupi, di furto o di borseggio, di corruzione e di frode, non può arrivare a sanzionare che una parte minoritaria degli autori dei delitti. Il Paese d'Utopia dove tutti coloro che violano la legge sono raggiunti dai suoi rigori esiste solo nella mente di coloro che ce l'hanno molto confusa o sono in malafede e in nome di una giustizia assoluta vogliono impedire anche quella relativa. La pena, comminata necessariamente solo ad alcuni e non a tutti, serve non solo per il caso specifico e concreto ma anche come deterrente, per dissuadere altri dal commettere gli stessi reati. Se non si capiscono più questi principi elementari del diritto, oltre che di normale buon senso, vuol dire che siamo pronti per una Repubblica delle banane. Tornando a Pantani io sarei ben lungi dal farne una vittima e, tantomeno, un eroe. A differenza di altri campioni che hanno confessato di essersi dopati pur non essendo mai stati trovati, come invece Pantani, positivi ai controlli, come lo svizzero Alex Zülle che lo fece subito, appena scoppiò in Francia lo scandalo Festina, o come Richard Virenque che l'ha fatto solo due anni dopo, in aula, ma l'ha fatto, Marco Pantani si è intestardito a negare l'evidenza con l'appoggio e la comprensione della stampa nazionale, sportiva e non. Pantani si droga come gli altri e più degli altri come dice il suo ematocrito e come dicono certi scatti a ripetizione fatti nel giro del 1998, quando non ce n'era alcun bisogno, perché la gara era ormai vinta, come di uno che sia spinto e obbligato da una forza che non è in grado di controllare. La pianti quindi di fare la vittima. Ma soprattutto la smettano di trattarlo da vittima i giornali che, a differenza del signor Pantani, qualche dovere etico ed educativo lo hanno, in particolare verso i giovani atleti che devono sapere che se ci si dopa oltre a rovinarsi la salute ci si può anche rovinare la carriera e finire in galera.