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Qualche mese fa di fronte ai ripetuti, violenti attacchi di Berlusconi alla Magistratura ogni volta che viene raggiunto da un provvedimento giudiziario, scrivevo su questo giornale: "La Magistratura è come l’arbitro di una partita di calcio. Dell’arbitro si può dire che sbaglia, che è impreparato, che non ci vede, ma se alcuni giocatori sostengono che è corrotto e non accettano i suoi fischi quando sono contro ma d’altro canto pretendono che siano validi quando sono a favore, la partita finisce rapidamente in una zuffa perchè, prima o poi, anche tutti gli altri giocatori si comporteranno allo stesso modo. Fuor di metafora: si rompe il patto sociale che ci tiene e si scende la ripidissima china dell’anarchia e della guerra civile".

In Italia non siamo ancora alla guerra civile perchè uno psicolabile, con un’aggressione che va condannata senza se e senza ma, ha maciullato il volto del premier riducendolo a una maschera tragica e grottesca. Ma l’episodio non va sottovalutato. Uno psicolabile, proprio perchè gli mancano i freni inibitori, coglie più acutamente il clima di un’epoca. Non siamo alla guerra civile, ma in un clima da guerra civile. E, a mio avviso, la responsabilità maggiore, anche se certo non esclusiva, è di chi ha delegittimato l’arbitro. Non più tardi di due settimane fa, un una sede europea, Berlusconi aveva dichiarato "il Parlamento è stato occupato dal partito dei giudici di sinistra, la Consulta ormai non è più un organo di garanzia, ma politico". Affermazioni così gravi che avevano costretto il pur prudentissimo Napolitano a non fare il solito ammonimento "urbi et orbi" ma a dirigerlo al Presidente del Consiglio, parlando di "violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia volute dalla Costituzione Italiana". E il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, aveva ricordato al premier il primo articolo della Costituzione "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione" (altrimenti il popolo sarebbe legittimato a decidere a maggioranza, putacaso, che tutti quelli che hanno i capelli rossi vanno fucilati).

Ma l’analisi più profonda l’ha fatta Pier Ferdinando Casini che, legando le affermazioni di Berlusconi al no della Camera alla richiesta di arresto del sottosegretario Cosentino, ha detto: "La prima Repubblica non è stata uccisa dai giudici di Mani Pulite. Era già morta molto prima, quando si era chiusa in una difesa cieca della propria classe politica. Nel clima tempestoso di questi giorni una difesa assoluta e corporativa di tutto e di tutti ci metterà, prima o poi, in una situazione insostenibile nei confronti dell’opinione pubblica". Da politico di lungo corso Casini ha colto che, al di là degli "opposti estremismi" dei fan fanatici di Berlusconi e di una parte altrettando fanatica dei suoi oppositori, un’esasperazione dell’opinione pubblica moderata per la pretesa di impunità che la classe dirigente, Berlusconi in testa, avanza per sè e che vuole rafforzare ulteriormente: un un nuovo "lodo Alfano", "legittimi impedimento", la truffa del "processo breve", il divieto delle intercettazioni telefoniche per i crimini di "lorsignori", l’abolizione del reato di "concorso esterno in associazione mafiosa", che, a mio parere, è giusta in sè ma che verrebbe limitata ai politici e agli amministratori pubblici. Parole sagge, moderate e lungimiranti quelle di Casini. Speriamo che siano raccolte dalla maggioranza dei suoi colleghi. Sulla moderazione di Berlusconi, temo, c’è poco da contare.