pubblicato sul Gazzettino il 10 dicembre 2010
Non voglio discutere qui dei meriti o dei demeriti di Silvio Berlusconi. Faccio solo delle constatazioni. Berlusconi è stato eletto per la prima volta presidente del Consiglio nel 1994. In quell’anno in Francia c’era Mitterand, in Germania Helmut Khol, statista di primissimo ordine, padre dell’unità tedesca e dell’Unione europea, buttato fuori dalla scena politica per un risibile finanziamento illecito al suo partito (perché in Germania, Paese serio, certe cose non si tollerano), in Gran Bretagna Major, in Russia Chernomirdin. Solo il dittatore della Corea del Nord, Kim Jong, arrivato al potere nello stesso anno, resiste ancora.
Quando fu eletto Berlusconi aveva 65 anni, era nel pieno delle sue formidabili energie che gli hanno consentito, partendo dal nulla, di fare, nel bene o nel male, molte cose nella vita: palazzinaro di successo, imprenditore televisivo di successo, presidente di una grande società calcistica, di avere due mogli e cinque figli. Ma sono passati sedici anni da allora, una vita. In questo tempo ha avuto un tumore alla prostata e subito una delicata operazione al cuore. Non c’era bisogno che fossero gli americani a dirci che è «fisicamente debole». Anzi, per quel che mi riguarda, mi sono doluto che il nostro governo non abbia reagito a questi giudizi impietosi su quello che è, piaccia o non piaccia, il presidente del Consiglio italiano.
Ma è vero che Berlusconi è diventato fragile. Anche la sua smodata smania per le ragazze giovani, per cui non l’ho mai condannato e non lo condanno, anzi lo capisco, è un segno di senilità. Berlusconi ha 74 anni, e se si può fare un lifting della pelle, dei capelli, dei denti, non si può fare un lifting dell’anima.
Se avesse davvero a cuore quello che, nel suo egocentrismo, chiama «il mio Paese», Berlusconi passerebbe la mano. Ma non può. È troppo contrario al suo temperamento. Tutte le volte che si è trovato in difficoltà ha sempre rilanciato, come un bravo giocatore di poker. E finora gli è andata sempre bene. Ma arriva un bene in cui anche il più abile bluffatore viene preso in castagna. Il Tempo, gran signore delle nostre vite, non perdona. Ma Berlusconi, inguaribile bambinone, si illude che il Tempo non esiste, almeno per lui, e nei sotterranei del San Raffaele fa preparare a Don Verzè l’elisir dell’immortabilità. A godersi sul serio Villa Certosa o quella alle Bermude o le tante altre sparse per l’Italia e per il mondo non ci pensa nemmeno. Per lui sarebbe la morte. Perciò insiste a tenersi disperatamente attaccato alla poltrona, mentre tutto gli sta franando addosso, il suo partito, gli alleati, gli amici di un tempo.
A me, dico la verità, Berlusconi di questi ultimi, stanchi, giorni, fa tenerezza; benché, nel mio piccolo, gli sia avversario non da sedici anni ma da molto prima, dal 1988 quando, diventato presidente del Milan, presentò la squadra all’Arena di Milano con contorno di vallette, sciaquette della Tv, girl, cantanti alla moda, come se si trattasse del Super Bowl non del calcio, la nostra più importante manifestazione sportiva nazional-popolare, e scrissi per l’Europeo (3 agosto 1988) un pezzo che iniziava così: «O il calcio distruggerà Berlusconi o Berlusconi distruggerà il calcio» (naturalmente ha vinto lui, come sempre).
Ma la tenerezza non è una categoria della politica. In questo partita, per Berlusconi, sono finiti anche i tempi supplementari. E i minuti di recupero sono agli sgoccioli. Dubito molto che ci sia il tempo per segnare, ancora, l’ultimo gol.
Massimo Fini