0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Segue l'articolo pubblicato su Il Gazzettino il 30 dicembre 2011:

Mi ha colpito il sottotono con cui è stata accolta la morte di Giorgio Bocca. Certo le Tv ne hanno dato notizia, ci mancherebbe altro, peraltro offrendo preferibilmente la parola, nei commenti, a personaggi che lo detestavano. 
Certo i giornali hanno affidato il «coccodrillo» alle loro firme migliori anche se poi il tutto è finito nelle pagine più interne (perfino La Repubblica, il quotidiano per il quale aveva lavorato quasi quarant’anni, lo ha relegato alle pagine 35 e 36). Certo Bocca, quasi per fare un dispetto ai suoi colleghi, è morto il giorno di Natale e a Santo Stefano i giornali non escono, ma proprio questo avrebbe potuto dare il tempo per preparare servizi meno frettolosi e più completi. Anche i funerali nella brutta chiesa di San Vittore, cosa bizzarra perché Giorgio era laico, sono stati in tono minore. Io mi aspettavo il gotha del giornalismo italiano. A parte pochi amici c’erano solo quelli che in queste occasioni, per dovere professionale, non possono proprio mancare (il direttore di Repubblica, quello del Corriere). L’orazione funebre, affidata a Natalia Aspesi è stata sbrigativa, come di qualcuno che volesse togliersi al più presto un’incombenza sgradevole.
Quando morì Lucio Battisti i quotidiani gli dedicarono fino a nove pagine. Ora Battisti è stato un cantante che ha attraversato molte generazioni, ma la sua importanza nella storia dell’Italia del dopoguerra non può essere ovviamente paragonata a quella di Giorgio Bocca. C’è una sproporzione evidente. 
Che del resto è ben documentata dal Catalogo dei Viventi, dove lo spazio dedicato ai personaggi, anche infimi, dello spettacolo è infinitamente maggiore di quello occupato dagli uomini di cultura. Si dirà che in Italia non esistono più uomini di cultura. Tant’è che quando si vuole un parere autorevole su questioni sociali o etiche ci si rivolge a Celentano. Può darsi ma proprio perché Giorgio Bocca rappresentava uno degli ultimi esemplari di questa razza in estinzione, la sua scomparsa meritava maggiore attenzione.
Giorgio Bocca era detestato dalla destra. Se chiedevi a un berlusconiano chi proprio non potesse sopportare rispondeva: Di Pietro, Travaglio e Giorgio Bocca. Capisco Di Pietro, per ovvi motivi, capisco Travaglio. Ma Bocca? A parte i giovanili trascorsi fascisti (aveva vent’anni) che in questi giorni gli sono stati ampiamente ricordati, Giorgio Bocca è sempre stato un socialista, anche se molto critico col Craxi degli ultimi anni, e un anticomunista senza se e senza ma. Fu il primo giornalista di sinistra ad andare in Unione Sovietica, mandatovi dal Giorno, e a raccontare al ritorno, con estrema crudezza com’era nel suo stile, quali fossero davvero le «bellurie» del «socialismo reale» attirandosi l’odio dell’allora potentissimo Pci. Nel 1973 pubblicò una splendida biografia di Togliatti dove smascherava non solo la notoria «doppiezza» del «Migliore» ma i suoi autentici crimini fra cui quello, imperdonabile, di aver contribuito, in combutta con Stalin, a tenere Antonio Gramsci nelle galere fasciste. 
La destra dovrebbe dare una medaglia al valore a Giorgio Bocca, invece di denigrarlo. E in ogni caso quando muore un personaggio di questa portata bisognerebbe valutarlo nel complesso della sua opera, lasciando perdere i rancori di una giornata. E per mezzo secolo Bocca non solo ha raccontato, con lucidità e con coraggio, la storia italiana ma ne è stato uno dei protagonisti e un irrinunciabile punto di riferimento.

Massimo Fini