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La nuova parola d'ordine adesso è 'pacificazione nazionale'. Ogni dieci anni i cittadini italiani sono perentoriamente invitati a 'pacificarsi'. Con chi? Con i delinquenti. Negli '80 con i terroristi assassini. E, di fatto, questo avvenne grazie a quelle leggi sui 'pentiti' che la cosiddetta classe dirigente fu costretta a varare per non aver saputo, o voluto, affrontare sul campo, 'manu militari', il fenomeno terrorista, essendone anzi stata connivente in alcune sue componenti, politiche e intellettuali, specialmente socialiste. Ragion per cui da noi il terrorismo, a differenza, poniamo, che in Germania dove pur si era presentato in forme ancora più pericolose (la Baader-Meinhof), è durato invece che un anno dieci, facendo tutti i danni che poteva fare. Persino Adriano Sofri, mandante del vilissimo assassinio del commissario Calabresi (agguato sotto casa) condannato, dopo aver goduto di tutte le garanzie immaginabili e anche non immaginabili (un processo di revisione, fatto rarissimo in Italia), a 22 anni di reclusione, prima è diventato, per meriti penali, editorialista del più importante quotidiano di sinistra (La Repubblica) e del più venduto settimanale di destra (Panorama) e poi di quei 22 anni ha finito per scontarne, con vari escamotage, solo sette. Destra e sinistra, ormai lo sappiamo, si ricompattano immediatamente quando c'è da togliere dai guai un loro vip.

Negli anni Novanta dovevamo pacificarci con i ladri e i taglieggiatori di Tangentopoli. La formula era: "uscire da Tangentopoli" con un'amnistia o con qualche provvedimento similare. Come se amnistiando i ladri, i truffatori, gli stupratori si uscisse da Ladropoli, da Truffopoli, da Stupropoli e non si incoraggiasse invece costoro a perseverare nei loro crimini. Com'è puntualmente avvenuto dopo aver trasformato, nel giro di pochissimi anni, i magistrati nei veri colpevoli e i ladri in vittime e giudici dei loro giudici. Oggi non c'è settore della vita pubblica in cui la Magistratura vada a mettere il dito, random, a caso, senza che saltino fuori malversazioni, grandi e piccole. E' come giocare a 'battaglia navale', con ammiraglie, incrociatori e sommergibili, ma senza il mare.

E adesso dovremmo 'pacificarci' con un uomo che (con la sua cricca) da trent'anni viola sistematicamente le leggi, organizza monopoli illegali e antiliberisti, falsifica i bilanci, paga la Guardia di Finanza, corrompe giudici, corrompe testimoni, è stato condannato, sia pur in primo grado, per un reato di concussione di cui non potrà liberarsi perché, nel suo caso, la concussione è 'in re ipsa' (le telefonate alla Questura di Milano per piegarne i funzionari ai suoi 'desiderata').

Ora quest'uomo è stato condannato in via definitiva per una colossale frode fiscale (che è cosa diversa dalla semplice evasione fiscale) ponendo così fine alla sostanziale ipocrisia della 'presunzione d'innocenza' che è un principio sacrosanto del diritto ma che diventa pura e semplice impunità se si riesce, com'è riuscito a Berlusconi, a trascinare i propri processi per decenni.

Adesso c'è una condanna in Cassazione. Di presunzione di innocenza non si può più parlare. La dovrebbe essere finita. E invece no. Quest'uomo, che ha accumulato un potere enorme proprio grazie alle sue illegalità, pretende di essere salvato ancora una volta dalle sue responsabilità. Con qualche formula magica: grazia, commutazione della pena, amnistia 'ad personam'. E così sarà. Nello sberleffo di noi cittadini impotenti e forse anche grati. Perché non siamo che sudditi.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2013